Jasenovac: tentativi di revisionismo
Mai come quest’anno le memorie divise sul campo di sterminio del regime ustascia sono state così evidenti. L’aria di revisionismo ha prodotto commemorazioni parallele
Le diverse commemorazioni tenutesi in Croazia nel mese di aprile per ricordare il campo di sterminio di Jasenovac hanno offerto un’immagine quanto mai chiara di come l’attuale polarizzazione dello scenario politico sia un frutto avvelenato delle memorie divise e conflittuali del passato e in particolare della Seconda guerra mondiale. Se in molti paesi la memoria dell’Olocausto rischia di essere monumentalizzata e pietrificata nella retorica, oggi in Croazia rappresenta tuttora un tema di violento scontro politico, essendo legata a doppio filo al giudizio storico sullo Stato indipendente croato (NDH) di Ante Pavelić.
Già nel 2015, la neoeletta presidente Kolinda Grabar Kitarović aveva fatto parlare di sé per non essersi recata personalmente alla commemorazione ufficiale a Jasenovac per farvi visita un altro giorno al di fuori dei riflettori, adducendo la giustificazione che la commemorazione non dovesse essere politicizzata. Nei mesi successivi, e con più forza dal gennaio 2016, con l’insediamento del nuovo governo HDZ-Most, è stato notato da più parti il proliferare di fenomeni di apologia dell’NDH, contro cui il governo non ha preso alcuna iniziativa. Anche la compagine stessa è stata nell’occhio del ciclone, in particolare per la nomina del nuovo ministro della cultura Zlatko Hasanbegović, conosciuto per le sue posizioni revisioniste e la sua militanza giovanile nell’estrema destra.
L’apice è stato raggiunto poco prima della metà di aprile, quando il Coordinamento delle comunità ebraiche, presto seguito dal Consiglio nazionale serbo e dalla Lega degli antifascisti, ha deciso di boicottare la commemorazione ufficiale del 22 aprile, la data in cui tentarono la fuga del campo di Jasenovac circa 600 prigionieri, dei quali meno di un centinaio furono in grado di raccontarlo. Motivo della protesta era il nuovo spazio espositivo del memoriale, che non rappresenterebbe l’orrore degli avvenimenti. Tuttavia, più che un fatto specifico emergeva la volontà di protestare contro il generale clima di riabilitazione del regime ustascia che si respirerebbe con sempre maggiore forza in Croazia, simboleggiato da almeno due episodi recenti: la protesta davanti all’Agenzia per i media elettronici, a cui aveva partecipato anche il vicepresidente del parlamento Ivan Tepeš, e la partita Croazia-Israele giocata a Osijek, entrambe accompagnate dall’esposizione di simboli e da canti ispirati al passato regime ustascia.
Aria di revisionismo
Inoltre, storiografia e pubblicistica si sono di recente confrontate sulla stessa natura del campo di Jasenovac. A far discutere è stata in particolare la proiezione del documentario “Jasenovac – istina” [Jasenovac – verità ] di Jakov Sedlar che vorrebbe dimostrare, sulla base di alcuni documenti con ogni probabilità falsi, che nello stesso campo il numero delle vittime dei comunisti dopo il 1945 sarebbe molto maggiore delle vittime dell’NDH. Infatti, da un paio d’anni ormai un fantomatico Društvo za istraživanje trostrukog logora Jasenovac [Società per la ricerca sul triplo campo di Jasenovac] diffonde una teoria secondo cui durante il regime ustascia il sito non sarebbe stato un campo di sterminio ma di smistamento, nel quale i detenuti avrebbero goduto dell’assistenza sanitaria e ricevuto pacchetti dai familiari. Invece, dopo il 1945, il nuovo regime vi avrebbero creato un campo nel quale sarebbero stati uccisi fino a 50.000 soldati croati prigionieri. Alla diffusione di queste idee, anche nelle scuole, lo storico Slavko Goldstein ha reagito con il libro "Jasenovac – tragika, mitomanija, istina" [Jasenovac – tragedia, mitomania, verità] dove si evidenzia come il film sia un insieme di falsità e di documenti falsificati ad arte. Al contrario il ministro Hasanbegović lo ha definito utile per aprire al dibattito temi tabù.
Il boicottaggio della commemorazione ufficiale ha fatto da cassa di risonanza alla memoria offesa delle associazioni rappresentanti le vittime, costringendo alcune voci del governo a puntualizzazioni sulla natura criminale dell’NDH e sui valori antifascisti alla base della costituzione croata. Inoltre, il premier Tihomir Orešković ha espresso disappunto per il fatto che Jasenovac sia ancora un tema divisivo, affermando che “tutti sappiamo quello che è successo”. Tuttavia, la maggior parte dei discorsi è stata basata sull’equazione tra i crimini commessi dall’NDH e quelli commessi dal comunismo, uniti nell’etichetta di totalitarismo: questa è la base retorica del discorso revisionista. Come ha affermato Tomislav Karamarko, “dove si presenta l’apologia del regime ustascia [ustaštvo] bisogna eliminarla, ma non vedete che intorno a noi è tutto un rimpianto del bolscevismo e della Jugoslavia?!”.
Appare difficile comprendere come si possano coniugare antifascismo e anticomunismo spinto in un paese come la Croazia in cui la lotta antifascista è stata nella quasi totalità rappresentata dalla componente comunista.
Inoltre, non è sfuggito a molti come la chiamata al boicottaggio abbia coinciso con la visita a Zagabria di Nicholas Dean, l’emissario statunitense per le questioni riguardanti l’Olocausto. Sebbene nell’incontro con la presidente si sia parlato della restituzione delle proprietà ebraiche, Dean ha dichiarato essere un dovere della presidente condannare il discorso dell’odio, una dichiarazione che è stata letta da molti come un monito pronunciato nel linguaggio diplomatico.
Commemorazioni divise
Ma forse il tratto più caratterizzante della primavera del 2016 di Jasenovac sono state le numerose iniziative nate per contrastare la commemorazione ufficiale. Il 15 aprile il Coordinamento delle comunità ebraiche ha organizzato una sua commemorazione alla quale hanno partecipato anche altri rappresentanti delle minoranze, l’ex presidente Ivo Josipović e diversi ambasciatori. Qui il presidente del Coordinamento Ognjen Kraus si è spinto ad affermare che il clima di oggi in Croazia ricorderebbe sempre più quello dell’NDH e della Germania degli anni ’30. Il 22 aprile una funzione religiosa in ricordo delle vittime serbe si è svolta nel villaggio di Mlaka, a poca distanza dal memoriale. Il 24 aprile, invece, una commemorazione organizzata dalla Lega dei combattenti antifascisti e degli antifascisti ha portato a Jasenovac 2000 persone, il numero più alto dal 1995. A parlare è stato anche l’ex presidente Stipe Mesić, uno dei depositari della memoria antifascista, che ha definito Jasenovac una delle più grandi macchie sulla coscienza croata e ha invitato a chiamare chi si fregia di simbologia ustascia con il suo vero nome.
Altre iniziative si sono svolte a Zagabria, dove il 22 aprile si è svolta una mobilitazione organizzata dalla Lega antifascista e supportata dal Coordinamento delle comunità ebraiche, dal Consiglio nazionale serbo e dal Consiglio nazionale rom, con la partecipazione di 500 persone. In questa occasione Zoran Pusić ha affermato che gli apologeti dell’NDH oggi occuperebbero dei seggi in parlamento. Contemporaneamente l’iniziativa Kulturnjaci 2016 , che da mesi chiede le dimissioni del ministro Hasanbegović, ha proposto la lettura in 25 città croate di estratti tratti dal saggio di Umberto Eco “Il fascismo eterno”
La commemorazione ufficiale
Venerdì 22 si è comunque svolta la commemorazione ufficiale a Jasenovac, alla quale hanno partecipato diverse cariche politiche, tra cui lo stesso Hasanbegović, ma non la presidente, che al suo posto ha inviato il produttore cinematografico Branko Lustig che a Jasenovac perse il padre. Grabar Kitarović aveva nei giorni precedenti più volte criticato la politicizzazione della commemorazione, aggiungendo anche che oltre a coloro che minimizzavano le vittime esisterebbe anche chi le aumenta a dismisura. Presenti erano anche alcuni ex deportati e membri delle comunità ebraica e serba, ma non i loro rappresentanti, e il Consiglio delle associazioni rom.
Tra le corone di fiori se ne trovava anche una della Piattaforma nazionale croata, emanazione della Società per la ricerca sul triplo campo di Jasenovac, che portava la scritta “Alle vittime del campo di Jasenovac dal 1941 al 1951”, periodo che comprenderebbe anche le fantomatiche vittime “dei comunisti jugoslavi”. A deporla è stato Marko Jurić, il conduttore tv sospeso alcuni mesi fa per discorso dell’odio contro il patriarca serbo nella sua trasmissione sulla televisione privata Z1. E a permetterlo sarebbe stata la stessa Nataša Jovičić, direttrice del memoriale dal 2002, ora anche consulente della presidente per le questioni legate all’Olocausto e considerata particolarmente gradita al governo.
Il doppio binario della comparazione tra i crimini dell’NDH e quelli del regime jugoslavo nel 1945 nel nome del verbo del totalitarismo serve a sminuire e relativizzare i primi, ma anche a condannare senza appello il secondo, che, estrapolato da una prospettiva storica, viene considerato come un continuum dal 1945 alla sua fine. Inoltre, come ha dichiarato Alen Budaj dell’Istituto Margel di Zagabria al settimanale Novosti, sarebbe offensiva “la comparazione delle vere vittime di Jasenovac con quelle immaginarie di un altrettanto immaginario campo di concentramento comunista del dopoguerra”.
Nelle settimane centrali di aprile Jasenovac, il sito nel quale il grande architetto belgradese Bogdan Bogdanović scelse di rappresentare il male dello sterminio con un fiore , ha dimostrato di essere ancora oggi un elemento profondamente divisivo per la società croata, alimentatore di memorie opposte. Il livello di scontro, se da una parte diventa emblematico del tentativo di imporre una nuova lettura revisionista più o meno apertamente promosso dalla coalizione di governo, dall’altra mette in luce però una società che pare avere gli anticorpi per contrastarla.
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