Istriana: Rovigno
"Malgrado il boom edilizio dei decenni seguenti, il centro storico di Rovigno su cui spicca il campanile della basilica di San Eufemia, rimane attraente, anche visto da terra. Perché dal mare ho invece ricordi ormai leggendari". Sesta tappa della pedalata istriana
“Rovinj è una cittadina straordinariamente attraente, di tipiche caratteristiche mediterranee, costruita nella antichità su un’isoletta vicinissima alla costa, più tardi riunita alla terraferma”, trascrivo da una vecchia guida jugoslava degli anni Sessanta del Novecento. E, malgrado il boom edilizio dei decenni seguenti, il centro storico di Rovigno su cui spicca il campanile della basilica di San Eufemia, rimane attraente, anche visto da terra. Perché dal mare ho invece ricordi ormai leggendari, nell’accezione amicale, che diventano mitici quando si mescolano a struggenti nostalgie alcoliche.
Quelli di serate trascorse davanti a una carta nautica, illuminata da una candela, circondata da bicchieri di Sangiovese, il santo più amato dai marinai romagnoli. Sono ricordi di veleggiate fatte in due su un piccolo Meteor, un guscio rosso lungo sei metri, una barca in vetroresina progettata nel 1968 dall’architetto olandese Van de Stadt e costruita per vent’anni in serie dal cantiere forlivese SIPLA, quando ancora in Italia si credeva e si praticava una vela popolare. Il mio Skeletrino era del 1972 e nei primi anni Novanta, quando sulla Jugoslavia si addensavano terribili nubi guerresche, noi andavamo di qua e di là di quel piccolo mare che era il nostro grande oceano. Partenza dalla Fossa dei Mulini di Viserba, spesso nel tardo pomeriggio con favorevole Scirocco. Circa 70 miglia, per 55 gradi. Quando arrivava il buio a poppa ci confortava il lampeggio del faro di San Bartolo vicino Pesaro e poi, qualche ora prima dell’alba a prua ci rassicurava quello del faro di Promontore, isolotto antistante la punta meridionale dell’Istria. Pola era la prima tappa, per fare i documenti d’ingresso, poi a seconda del vento si andava a sud verso le isole del Quarnero o a nord costeggiando l’Istria. Indimenticabile l’arrivo in un tardo pomeriggio di fine settembre a Rovigno, con due mani di terzaroli, tormentina e vento al lasco. Un Libeccio di trenta nodi, che alzava onde alte più di tre metri su cui surfavamo con la nostra barchetta, preoccupati e inebriati al contempo. “V’avemo seguito … complimenti! Barca picola, marinai grandi”, ci disse in istrioto, il dialetto locale, uno dei tre vecchi pescatori che ci presero le cime d’ormeggio sul molo.
Perciò questa mattina, dopo aver fatto colazione con un paio di gustosi bomboloni al forno del porto di Val di Bora e un caffè lungo nel vicino bar, mando una Whatsapp-cartolina con il campanile di Sant’Eufemia all’amico Stefano, compagno di quelle avventure marinaresche.
Sulla banchina portuale c’è gran movimento di camion e muletti, di pescatori e facchini. Hanno da poco ormeggiato alcune grandi lampare e stanno sbarcando centinaia di casse di pesce azzurro. Qui, ora, l’Adriatico sembra ancora quella straordinaria peschiera che è sempre stato, malgrado la significativa diminuzione degli stock ittici. Una situazione complessa, di cui troppo spesso e in maniera discutibile viene incolpata solo la sovrapesca, quando da trent’anni a questa parte lo sforzo è drasticamente diminuito senza alcun effetto, neanche su specie che hanno cicli di vita brevi, di due o tre anni.
A Rovigno comunque la pesca rimane un’attività economica importante e qui si rinnova una tradizione antica che merita di essere riscoperta visitando la pescheria e magari acquistando dell’ottimo pesce fresco. La Ribarnica, insieme al mercato delle erbe e alle botteghe alimentari è ancora il cuore pulsante di una Rovigno oggi non troppo affollata. Acquisto pane, cipolle e una scatola di sardine, le storiche Mirela – Jadranska sardina. Quella della salatura e dell’inscatolamento delle sardine è una storia antica a Rovigno. Se già nel Cinquecento esisteva uno statuto che regolava il commercio del barile, mentre è del 1877 il primo impianto industriale ad opera della Société Générale Francaise de Conserves Alimentaires, che diventa poi l’italiana Amplea, la jugoslava Mirna dal 1954, la croata Podravka dalla metà degli anni Novanta. Molte le vicissitudini, anche recenti, ma le sardele a Rovigno si continuano a sbarcare, inscatolare e mangiare, da centocinquant’anni.
Percorro i viottoli della città vecchia su un acciottolato lucido e scivoloso, per una fitta pioggerella. Anche qui molte case sono state trasformate ad uso turistico, anche qui la gentrificazione è in corso. L’abitato s’interrompe in direzione ovest, verso il mare, per lasciare spazio a una bella, silenziosa area verde che circonda la cattedrale e il suo inconfondibile campanile in stile barocco veneziano, sormontato dalla grande statua bronzea di Sant’Eufemia. La santa della ruota, la santa che qui ruota a seconda del vento. La santa che viene dall’oriente, nata e martirizzata a Calcedonia in Asia Minore nel IV secolo, traslata a Costantinopoli, finita misteriosamente in mare e naufragata su queste spiagge nell’anno 800. La pioggia s’infittisce e prolunga la mia sosta dentro alla chiesa. Dalla porta d’ingresso entra anche qualche raffica di Ponente che screzia il mare che vedo, seduto sull’ultima panca, con la schiena rivolta all’altare. Sembra messa apposta per guardare l’Adriatico che occupa un terzo del visibile, mentre il resto è cielo grigio cenere. Del resto guardare il mare è una forma di preghiera. Quella di Rilke: “Soffio antichissimo del mare / vento del mare a notte: a nessuno tu vieni; per chi vegli / resisterti / è una prova: soffio antichissimo del mare”.
PS
Istria e Quarnero è una delle Guide Jugoslavija, pubblicata nel 1964 dall’omonimo editore a Belgrado e tradotte in italiano, francese, tedesco e inglese. Dmitar Čulič è l’autore che descrive queste due regioni come “anticamera ai visitatori che provengono dall’Europa occidentale”, definiti qualche riga dopo “moderni nomadi”. Una guida che non solo racconta città e paesi con testi, fotografie in bianco e nero, cartine e folcloriche litografie, ma che permette anche di capire meglio lo sguardo jugoslavo su queste terre, da sempre “teatro di grandi migrazioni, di conquiste, di commerci”. Uno sguardo e una rappresentazione che si voleva dare al turista, per raccontare “una millenaria civiltà antica, alla quale l’elemento etnico slavo infuse nuova vita”.
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