Istriana: Monte Maggiore – Pinguente – Trieste
Si conclude il viaggio in bicicletta di Fabio Fiori attraverso l’Istria in compagnia dei versi del poeta Rainer Maria Rilke. In questa tappa la salita epica al Monte Maggiore e la sosta a Buzet, la città del tartufo
Il sole è alto e pedalo in una campagna settembrina che profuma di uve e mosti, fichi e more. Questi ultimi sono i miei selvatici e libertari integratori alimentari, motivi di soste sempre prodighe di sapori istriani. Evviva la libertà del pedalabondo! Evviva l’ubertosità istriana! Evviva la bicicletta che permette di viaggiare non solo guardando il paesaggio, ma anche annusandolo e ascoltandolo, qualche volta fermandosi anche per gustalo.
Dopo Chersano la strada scende e attraversa una piana coltivata, terre bonificate negli anni Trenta del Novecento. Il sole è allo zenith e alla mia destra s’alza imperioso il Monte Maggiore. Pedalo in direzione di Vranja, Aurania in italiano, e subito dopo il villaggio attraverso un binario che corre in un paesaggio western. La mia strada secondaria sfiora la nuova A8 che permette, con una lunga galleria, di abbreviare il viaggio per Abbazia e poi Fiume. Io invece do l’attacco alla montagna. Durissimi i primi chilometri, con una pendenza che in alcuni tratti arriva al 15 percento. Procedo pianissimo, sudando e bordeggiando, usando un termine marinaresco. Qui non è il vento che devo risalire, ma la salita che provo ad ammorbidire. Piano, piano comunque supero questa prova, perché poi le pendenze rimangono impegnative ma non proibitive. La strada attraversa boschi prima di latifoglie, poi di conifere, fino quasi a raggiungere Poklon, quattro case e un bar-ristorante a quasi 1.000 m. Da lì la strada principale scende in direzione di Abbazia, mentre io svolto un po’ prima a destra per quella che porta in vetta. Tornanti prima tra il bosco, poi tra una vegetazione bassa, con frequenti precipizi a sinistra, in direzione est. Viste mozzafiato sulle acque del Quarnero, che in linea d’aria distano solo 5 chilometri, con un salto di 1.200 metri! e sulla riviera di Fiume che sempre in linea d’aria sarà a circa 20 chilometri.
Raggiungo la vetta verso le 16 e lascio la bici per godermi, dopo una piccola merenda istriana di pane, formaggio e fichi, un paio d’ore sul sentiero che dalla torretta va sul crinale in direzione sud. Da qui il colpo d’occhio è grandioso. Oggi l’aria è tersa e posso praticamente ripercorrere in pochi minuti tutta la linea di costa istriana orientale che ho pedalato, da Capo Promontore e Punta Salvore. Poi invece salto da Fiume sotto di me a Pola, in direzione sud, per poi arrivare a Trieste che dista di qui solo 50 chilometri, in linea d’aria verso nordovest. Il Monte Maggiore è una lanterna magica istriana; punto cospicuo lo chiamano più pragmaticamente i marinai che navigano nel Quarnero. Trascrivo dal taccuino: “È tardi, sono quasi le 18, ma sono comunque qui sulla torretta che in testa ha la targa con le altezze: Učka – Vojak 1.396 m, Vidikovac 1.400 m. Ci sono ancora le rondini in volo. Una meraviglia infinita in questo cielo attraversato da cirri altissimi e bianchissimi. In basso il Golfo con le sue acque, le sue isole, le sue coste, le sue montagne sull’orizzonte, da nordest a sud, in direzione di Capo Promontore. Quante isole! Quanti ricordi! Quanti sogni!”. E poi il vento, una brezza settentrionale, che quassù fa vibrare i pini mughi e laggiù riempie le vele bianche. Anche qui Rilke mi parla: “Con questo vento viene destino; lascia, / lascia che venga tutto ciò che preme, cieco, / … Porta il nostro destino questo vento. / …”.
La pedalata verso Buzet è relativamente veloce, mentre più problematico è trovare una stanza, visto che non ci sono campeggi. Stanze care, minimo 80 euro, perciò alzo la tenda in un bel praticello al margine del fiume Quieto, l’arteria blu dell’Istria. Lo stesso blu con cui, in bella calligrafia corsiva, il primo proprietario della mia guida Jugoslavija ha scritto Pinguente di seguito a Buzet. Il nome italiano è la translitterazione del Piquentum romano, un castrum fortificato che divenne poi bizantino, veneziano e austriaco. Come “Città del tartufo” la si promuove oggi, ma da sempre è rinomata per la sua cucina: prosciutto, gnocchi, cavriol e zanevero, lievro in paiz, in savor, in garbodolze,buzzolai. Buzzolai che mi porta l’oste, dopo una gustosa cena a base di verdure, formaggi e buon pane casereccio. E sorridendo mi dice: “Meti aqua, meti zuraro, meti farina e faremo bussolai fin doman de matina”, mi diceva mia nonna quand’ero bambino.
Il giorno dopo mi sveglio prima dell’alba per l’ultima pedalata che mi porta a Trieste. Prima di risalire in treno, ritorno al Molo Audace e lì mi rituffo per concludere idealmente questo viaggio. Acque salse, acque salve, acque sacre. Riapro anche la mia indispensabile guida: “Poesie. 1907-1926” di Rainer Maria Rilke. “Il poeta, lui solo, ha unificato il mondo /che in ognuno di noi in frantumi è scisso. / Del bello è testimone inaudito / ma esaltando anche ciò che lo tormenta / dà alla rovina purezza infinita: / e perfino la furia che annienta si fa mondo”. Un mondo istriano che continuerò a esplorare a vela, a pedali e a piedi, per libri e per carte.
Un’Istria che è insieme vila e fata, proteiforme e seducente.
PS
Il viaggio in Istria è anche gastronomico, perché è una terra fertile e prolifiche sono anche le acque che la circondano. A ciò si aggiunge una vera e propria cultura della tavola, molto variegata, perché evolutasi sotto influssi differenti e creativi. Storie e ricette, raccolte e pubblicate per la prima volta nel 1990 da Mary Fast in La cucina istriana, ripubblicato recentemente da Tarka, nella collana “Cucine del territorio”. Un libro in cui le vicende storiche si intrecciano con quelle alimentari perché, qui forse più che altrove, le fratture geopolitiche raccontate dalle mappe spiegano anche “la diversificazione di usi e caratteri derivati nei singoli paesi non solo dallo spirito campanilistico”. L’Istria è una piccola penisola e insieme un grande mondo, culturale e gastronomico.
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