Istanbul per Kiziltan
In esclusiva per Osservatorio Balcani un’intervista a Özer Kiziltan, regista del film Takva (Timor di Dio) vincitore dell’edizione 2007 del Film Festival di Sarajevo. Una Istanbul tra tradizione e modernità
Takva ha avuto molti riconoscimenti in ambito internazionale…
Il film ha ricevuto un’ottima accoglienza all’estero. Ha vinto il premio Swaroski al festival di Toronto, quello FIPRESCI a Berlino, il premio per il miglior attore protagonista a Norimberga ed infine il premio di Sarajevo. Adesso sto lavorando a nuovi progetti, penso ad un nuovo film per l’anno prossimo ma per il momento è ancora presto per parlarne.
Come è nata l’idea del film?
Inizialmente Takva faceva parte di un pacchetto di proposte, 5 film, che alcuni anni fa abbiamo presentato ad una televisione. Poi la televisione si è tirata indietro ed io ho continuato a lavorare alla storia di Takva. Abbiamo cominciato a girare 5 anni dopo, quando si sono presentate le condizioni giuste, un po’ a singhiozzo e con qualche difficoltà siamo andati avanti, fino a completare l’opera. Per un anno ho vissuto nella stessa casa con lo sceneggiatore, abbiamo girato insieme tutta Istanbul per cercare i luoghi adatti per le riprese, ci siamo documentati sulle tarikat (confraternite religiose), la storia, abbiamo letto e parlato con molte persone.
Una Istanbul tradizionale, un han (mercato) tradizionale, mestieri tradizionali, relazioni sociali tradizionali, un ambiente che sta dietro l’angolo ma che ignoriamo…
E’ vero sono situazioni che si vivono ancora oggi ma che non conosciamo. Ad esempio di dergah,(conventi, complessi religiosi), come quella che compare nel film, ad Istanbul ce ne sono 2500. Certo non tutte come quella del film – si tratta del complesso storico, külliye, opera dell’architetto ottomano Sinan. Magari molte sono nelle cantine o nei sottoscala ma ne esistono a migliaia di tarikat come quella. Da un anno era vuoto, non più utilizzato, noi abbiamo chiesto il permesso di farne l’ambientazione per il nostro film. Quello delle tarikat è un mondo strano, di solito non permettono riprese. Noi li abbiamo incontrati, abbiamo presentato il nostro progetto, la nostra prospettiva ed hanno accettato, ci hanno aiutato, non hanno trovato niente da ridire sul nostro copione. Le cerimonie dello zikir(1) sono state proibite dalla repubblica, l’unica ad essere autorizzata è quella dei dervisci rotanti di Mevlana, anche se come attività culturale. Ma in realtà anche se proibite queste cerimonie continuano a svolgersi.
Noi abbiamo partecipato a molti zikir, abbiamo osservato quello che succedeva ed alla fine siamo diventati amici.
Quanto questa tradizione sufi influisce sulla vita dei turchi oggi?
E’ difficile rispondere, probabilmente è un’eredità che ha lasciato tracce disparate, la troviamo nelle nostre nonne, nelle nostre madri. Tutti cercano di essere persone buone, il modo con cui questa tradizione continua dipende dalle singole persone
Dal film emerge tutto il peso che le confraternite hanno in alcuni ambienti della società turca…
L’organizzazione delle tarikat è molto forte, ci sono aspetti positivi ma anche relazioni di potere. Hanno relazioni economiche, culturali e con i partiti politici. Adesso sembra che tutti siano membri di una tarikat, soprattutto nel mondo politico. Le relazioni tra le tarikat ed il mondo politico sono sempre esistite, nell’epoca ottomana ed anche in quella repubblicana. Certo adesso le tarikat sono costrette a crearsi un proprio capitale ed uscire allo scoperto, adesso hanno cominciato ad assumere un volto pubblico.
Quali sono state le reazioni all’uscita del film, soprattutto dagli ambienti religiosi?
Sia positive che negative, da tutti gli ambienti. In genere però sono state reazioni positive, questo ci ha dato la conferma che abbiamo lavorato nel modo giusto.
Muharrem è il protagonista…
E’ una persona che vive all’interno di uno stile di vita tradizionale, lo stesso che si vive ad Istanbul dalla sua conquista. Credo però che non sia uno stile di vita esclusivo degli ambienti musulmani, credo che anche ebrei e cristiani abbiamo vissuto in un ambiente simile, caratterizzato anche da una cultura ed una economia chiuse in se stesse. Siamo partiti da qui, cercando di riflettere lo stile vita di una persona come Muharrem, un uomo che vorrebbe "solo essere una persona buona".
Io credo che sia una situazione comune, il conflitto che si scatena al momento in cui una persona con i suoi valori, la ricerca di sé, si scontra con la realtà del mondo esterno. Il film avrebbe potuto svolgersi all’interno di un’organizzazione politica, non necessariamente in un ambiente religioso. Credo che tutti noi ci troviamo nella situazione di Muharrem.
Certo il fatto che lui provenga da un ambiente tradizionale di quel tipo rende la storia più tagliente per così dire. Il problema è come si concilia la nostra volontà di essere persone migliori con la nostra vita nel mondo del lavoro, nelle incombenze quotidiane come l’andare a fare la spesa, nel tipo di relazioni sociali che abbiamo. Di fronte a queste difficoltà anch’io mi stupisco di come possiamo comportarci.
Da giovani eravamo tutti idealisti, innocenti, avevamo dei valori, morali, politici o culturali. Poi siamo costretti a trovare compromessi con la vita e se non ci riusciamo cosa succede? A questo dovremmo pensare, secondo me impazziremmo.
L’aiutante di Muharrem è un ragazzo che viene dal Kosovo, raccoglie fondi per la guerra, ha una bandiera dell’UCK…
Abbiamo voluto mettere in discussione il rapporto tra religione e nazionalismo. Certo il ragazzo ha un atteggiamento molto critico verso la religione. Perché il Kosovo? Perché si tratta di una realtà geografica vicina alla nostra, una realtà molto calda, che ha delle ripercussioni anche sulla Turchia, come sull’Italia del resto. E’ anche una storia nostra.
Anche Muharrem viene dai Balcani?
Sì, la sua famiglia in epoca ottomana è emigrata ad Istanbul dall’Albania. Io non ho un approccio sociologico, sono solo mie osservazioni personali. Ho l’impressione che gli emigrati provenienti dal Caucaso – mio padre viene dalla Georgia, mia madre dalla Crimea – si siano integrati nella società turca. Anche quelli che vengono dai Balcani certo che si integrano ma conservano qualcosa, ci tengono a dire: Io sono albanese, io sono bosgnacco. Certo anche perché l’emigrazione dai Balcani è ancora qualcosa di attuale, continuano ad arrivare qui, dai Balcani, dalla Bulgaria, le relazioni con quelle terre sono ancora calde.
Qual è il ruolo del costruttore che induce in tentazione Muharrem?
Veramente non lo so nemmeno io, forse qualcuno che cerca di approfittare delle opportunità economiche che derivano dall’avere buone relazioni con una tarikat o forse il diavolo che deve indurre in tentazione Muharrem, non lo so veramente. Ma è un personaggio che non mi piace.
Il successo di Takva è un altro segno della vitalità del cinema turco?
Non mi piace vedere questa cosa da una prospettiva nazionalista, turca, credo che sia stata una cosa fatta bene. Mi basta dire che ho fatto il film che avrei voluto vedere, non so dire che posto abbia nel cinema turco.
Lei non è solamente un regista cinematografico. Adesso ci troviamo in una pausa delle riprese di una serie televisiva che sta dirigendo. Le serie televisive sono un fenomeno che ha assunto una dimensione impressionante nella televisione turca…
Sì, ogni canale nazionale trasmette all’incirca una decina di serie televisive alla settimana, nel complesso nelle tv nazionali si producono più o meno un centinaio di serie. E adesso hanno cominciato a farlo anche alcune televisioni locali. Le serie sono diventate una fonte di incassi fondamentale per la televisione.
In Turchia c’è una lunga tradizione di passione per il cinema, e adesso le persone a casa guardano le serie televisive. Nel medio termine è una tendenza che continuerà, i grandi canali hanno già programmato le serie per i prossimi tre anni. Tutti sono contenti, le televisioni, gli spettatori, i pubblicitari, ed hanno chi ci lavora, è ormai una vera industria quella delle serie televisive.
Sul piano estetico i canoni delle serie televisive stanno influenzando anche quelli del cinema. Io comunque cerco, non so quanto ci riesca, a tenere distinti il cinema e la televisione, perché hanno regole diverse.
(1) Rituale mistico le cui caratteristiche variano a seconda delle diverse tarikat. L’obbiettivo è quello di raggiungere uno stato di trance, di unione mistica con la divinità.
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