Istanbul: le proteste degli studenti
Gli studenti dei licei e scuole di Istanbul e di altri centri in Turchia protestano contro le forti infiltrazioni della politica nel sistema scolastico
"A.A.A. cercasi urgentemente preside non asservito ad alcun sultano”. Un “annuncio di lavoro” insolito quello distribuito in uno dei licei più rinomati di Istanbul, il Galatasaray, la scorsa settimana, in chiusura dell’anno scolastico. Una delle tante rimostranze attuate negli ultimi giorni dai liceali contro un sistema di istruzione che rischia di esplodere e dove la politica, già come passato, continua a imprimere fortemente il proprio marchio.
Le dichiarazioni di protesta diffuse a catena dagli studenti liceali hanno ricordato le mobilitazioni caratterizzate dall’ampia partecipazione giovanile di Gezi Park del giugno 2013. Le condizioni del paese sono profondamente cambiate da allora; la società è stata risucchiata in una polarizzazione sociale e politica ancor più profonda, mentre l’ambito della libertà di espressione e di stampa è stata ridotta a oltranza. Gezi Park continua però a mantenere la sua centralità, sia come simbolo di un modello diverso di società e sia perché recentemente il presidente Recep Tayyip Erdoğan ha riaffermato la necessità di portare a termine il progetto edilizio che aveva fatto nascere le manifestazioni tre anni fa.
I liceali protestano
Anche le proteste di questo giugno sono iniziate con un gesto simbolico, a opera dei diplomandi di una delle migliori scuole statali di Istanbul, il Liceo Istanbul Erkek. L’istituto, è diventato “scuola progetto”, ossia uno di quei licei dove da un anno a questa parte il preside e gli insegnanti non sono più selezionati in base ad un sistema di meriti e graduatorie, ma con nomina ministeriale. E gli studenti della scuola, durante il discorso di fine anno del preside, hanno deciso di voltargli le spalle per contestarlo, ispirando a catena la reazione di altri istituti superiori di Istanbul e di altre città.
Tra i 40 licei inclusi in questo piano di nomine, 11 si trovano proprio a Istanbul, e comprendono – oltre agli istituti superiori già menzionati – altri licei di spicco della città, istituti professionali e religiosi. L’obiettivo dichiarato dalle autorità è quello di fare in modo che queste scuole ricevano la consulenza delle università, facciano da pionieri e progetti e percorsi formativi speciali, ricevendo un supporto informatico e infrastrutturale molto più esteso.
I liceali che stanno vivendo il “progetto” sulla propria pelle denunciano invece una politica che indica la volontà di porre le scuole sotto uno stretto controllo. Gli studenti del Pertevniyal, un’istituzione scolastica che vanta una storia lunga 145 anni, descrivono ad esempio il “progetto” come “la trasformazione delle scuole progredite del paese in istituti per allevare delle pecore senza alcun principio”. L’appello per dire “basta a questo andamento” lanciato dai licei di Istanbul ha trovato eco anche in una decina di istituti superiori distribuiti tra Izmir, Ankara, Eskişehir e Samsun e altre 371 scuole superiori raccolte sotto l’Unione nazionale dei liceali (TLB, un organo dell’Unione giovanile nazionale kemalista TGB).
E se tra i vari problemi elencati dagli studenti delle diverse scuole compaiono "l’annullamento dei festival musicali scolastici, la schedatura degli studenti, l’obbligo della preghiera, gli atteggiamenti sessisti, e ultimo, ma non per importanza, la persistenza di un sistema educativo all’antica e svuotato di contenuti”. Per il presidente del TLB, Bora Çelik, “le pratiche retrograde messe in atto nelle scuole, le pressioni dei presidi, i divieti, sono problemi che riguardano tutti i licei”, non solo quelli inclusi nel programma delle “scuole progetto”. “Diffondere la lotta per avere un’istruzione gratuita, laica, scientifica e nazionale e prendere in mano la situazione è responsabilità di tutti”, aggiunge Çelik.
Erdoğan pensa alla cospirazione
Secondo il presidente Recep Tayyip Erdoğan le proteste dei licei sono architettati da “forze esterne”, con rimando alla struttura “parallela”, ossia al movimento dell’imam Fethullah Gülen, che Ankara ritiene essere tra i responsabili delle manifestazioni di Gezi Park del 2013 e anche un’organizzazione terroristica . “Dopo tutto quello che abbiamo vissuto, assistiamo ancora alla provocazione delle università e dei licei da parte di forze esterne (…) La Turchia non ha più bisogno di nuovi Gezi e di forze parallele, ma di crescere e svilupparsi”, è stato il commento del presidente agli appelli dei liceali.
Ma mentre i liceali respingono le teorie che li vedrebbero manipolati da forze esterne, educatori e rappresentanti sindacali denunciano da tempo un’altra tendenza, quella mirata a trasformare diversi istituti scolastici in licei e scuole medie con curriculum religioso, anche nelle circoscrizioni dove non vi è una tale richiesta da parte di genitori e studenti. Attualmente ci sono circa 1 milione e 200mila studenti che frequentano le scuole medie e superiori religiose, che ammontano a circa 3300 in tutto il paese. Ecevit Öksüz, presidente della Fondazione per i diplomati delle scuole religiose, giustifica la diffusione di questi istituti scolastici con un “alto numero di richieste”, mentre Kâmuran Karaca, a capo del sindacato per la scuola Eğitim-Sen afferma invece che “è in atto una forzatura mirata a trasformare il curriculum di tutte le scuole in quello dei licei religiosi”.
Un’istruzione scadente
Con tutto ciò, una grande maggioranza degli studenti risulta avere anche degli scarsi risultati a scuola. Secondo i dati del Programma per la valutazione internazionale degli studenti (PISA) del 2016 pubblicato dall’Organizzazione per la cooperazione economica e lo sviluppo (OECD), la Turchia risulta al 45esimo posto su 64 paesi presi in esame. La stessa prova nazionale di accesso all’università – assai criticabile per il format a quesiti e basato su un sistema mnemonico – indica dei valori molto bassi, con una percentuale di risposte corrette (arrotondate) al 19% per le lettere turche, al 7,9 per la matematica e al 4,7% per le scienze. “Siamo stati inerti e ciechi di fronte al processo che ha reso l’istruzione sempre più scadente”, scrive la giornalista Mehveş Evin, aggiungendo che “non è solo una questione riguardante l’ ‘islamizzazione’ dell’istruzione” ma “il dominio generale di un’estrema ignoranza”.
Un’ignoranza che può anche far stragi in un paese dove la libertà di espressione si paga a caro prezzo e che non risparmia nemmeno le università. E allora il consiglio di una docente universitaria ai suoi studenti di includere la Bibbia tra i testi classici da leggere rischia di essere tacciato come propaganda missionaria. Oppure la teoria del “Grande Altro” di Jacques Lacan, utilizzata per analizzare la politica di Erdoğan durante una lezione, potrebbe finire per diventare una giustificazione per accusare la stessa docente di vilipendio al presidente, come di recente accaduto alla prof. Zeynep Sayın Balıkçıoğlu. La docente è stata licenziata dalla prestigiosa Università Bilgi, senza troppi complimenti, perché uno studente ha registrato e rimontato una selezione della sua lezione, utilizzata poi per denunciarla.
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