Islam e Balcani: al di là dei luoghi comuni
Pubblichiamo un’interessante recensione di Luisa Chiodi al libro Le Nouvelle Islam balkanique. Les musulmans, acteurs du post-communisme 1990-2000, con un’intervista all’autrice.
Ci si era dimenticati in Europa occidentale della presenza dei musulmani nei Balcani sino a quando la guerra in Bosnia li ha tragicamente riportati alla nostra attenzione. Benché l’opinione pubblica nei paesi dell’UE si sia schierata a difesa di popolazioni musulmane nel corso delle guerre nella regione, la loro riscoperta è passata attraverso l’uso di facili categorie e molta superficialità. Oggi l’attualità ci porta di nuovo a riflettere sull’eredità musulmana dell’impero ottomano nella regione ma questa volta la capacità di comprendere è ulteriormente ridotta dalla propaganda della guerra internazionale al terrorismo islamico. La gran parte dei mass media italiani ha trovato nel pericolo islamico una nuova occasione per presentare i Balcani come l’eterna fonte di guai alle nostre porte.
Il libro* curato da Xavier Bougarel e Nathalie Clayer, balcanologi del CNRS di Parigi, colma un vuoto grave e significativo di conoscenze. Il testo, purtroppo ancora non tradotto in italiano, analizza in 500 pagine dense di informazioni la complessa realtà dell’Islam nei Balcani negli anni Novanta ovvero in un periodo di profonda e drammatica trasformazione. Le nouvel Islam balkanique approfondisce in particolare il rapporto tra Islam e politica portando all’attenzione del pubblico tre aspetti cardine di questo tema: l’emergere delle popolazioni balcaniche musulmane come attori politici autonomi; la natura multiforme dell’Islam balcanico e infine il suo ritorno nel seno dell’Islam mondiale. Valendosi della collaborazione di altri sette studiosi, i curatori dedicano la prima parte del libro all’analisi di casi-studio nazionali mentre nella seconda parte esaminano il ruolo dell’Islam mondiale nei Balcani.
È utile ricordare che i musulmani, praticanti e non, del sud-est europeo sono circa 8 milioni distribuiti nei diversi paesi della regione. I dati riportati dal libro, come segnalano gli autori, sono del tutto approssimativi mancando statistiche recenti e considerando gli effetti devastanti degli avvenimenti politici del decennio appena trascorso. In ogni caso i musulmani nella penisola sono una minoranza in un’area a maggioranza ortodossa anche se in alcuni casi costituiscono delle minoranze geograficamente compatte come in Bulgaria o delle maggioranze come in Albania. In secondo luogo le popolazioni musulmane del sud-est europeo appartengono a quattro principali gruppi etno-linguistici ovvero si dividono tra albanofoni, slavofoni, turcofoni e zigani. Infine, anche sul piano strettamente religioso l’Islam dei Balcani non è affatto omogeneo poiché accanto ad una maggioranza sunnita di rito hanefita (1), si trovano importanti gruppi di aleviti e bektasci, confraternite mistiche che hanno in comune alcuni riti particolari e la devozione per Alì, genero di Maometto.
Partendo da questi dati, Bougarel e Clayer presentano la prima importante osservazione negando l’esistenza della cosiddetta ‘dorsale verde’ dell’Islam, che senza soluzione di continuità congiungerebbe l’Europa al Medio-Oriente passando attraverso i Balcani. Si tratta difatti di una forzatura ideologica visto che l’Islam balcanico costituisce un mosaico di diverse componenti etniche, linguistiche e religiose disperso geograficamente sul territorio. Purtroppo, a parlare in questi termini oggi non sono più solo i nazionalisti della regione ma anche autorevoli fonti di informazione italiane come il Corriere della Sera che l’8 novembre scorso riferendosi ad un rapporto del Viminale paventava la costituzione di tale minacciosa dorsale ‘nelle immediate adiacenze delle nazioni europee’ (2).
La novità degli anni Novanta è invece quella che viene definita come ‘passaggio al politico’ delle popolazioni musulmane dei Balcani. Questo turbolento decennio infatti vede il loro coinvolgimento attivo nella sfera pubblica attraverso partiti politici, organi di stampa, associazioni culturali, forum di intellettuali etc. Le vicende dell’Islam politico nei Balcani, tuttavia, si sviluppano secondo traiettorie diverse nei vari paesi e contesti regionali ed internazionali. Per questa ragione gli autori esaminano separatamente i vari paesi descrivendo nel dettaglio l’intreccio tra vicende politiche e questioni religiose. Il capitolo di Bougarel si occupa del caso bosniaco dove l’Islam resta schiacciato tra l’identità culturale e l’ideologia politica. Rajwantee Lakshman-Lepain analizza il ruolo dell’Islam nella liberalizzazione religiosa e politica dell’Albania. I casi di Macedonia e Kossovo sono presentati congiuntamente nello studio di Nathalie Clayer. Gli ultimi due studi infine approfondiscono il ruolo delle minoranze musulmane di Bulgaria, nel capitolo di Nadège Ragaru, e di Grecia con il contributo di Joelle Dalègre.
Il libro lascia in secondo piano l’analisi sociologica dell’Islam nei Balcani per concentrarsi invece sulle relazioni tra gli attori religiosi e gli attori politici. Dall’esame dei vari casi gli autori estrapolano tre modelli con cui schematizzano i rapporti di forza tra i due gruppi: in alcuni contesti l’Islam è solo una risorsa simbolica usata per legittimare pratiche clientelari da parte di politici; in altri casi si assiste ad una nazionalizzazione della religione ad opera di gruppi nazionalisti; infine quando l’Islam viene considerato come trascendente l’appartenenza nazionale diventa un strumento di re-islamizzazione delle popolazioni. Non solo i tre modelli di relazione tra attori politici e religiosi si possono presentare nello stesso paese ma capita che lo stesso attore politico possa combinarli in momenti diversi.
E’ questo il caso dell’SDA di Izetbegovic in Bosnia che, partito da premesse panislamiste, nel corso degli anni aggrega correnti di nazionalisti musulmani e da ultimo crea reti clientelari intorno alle quali organizza il proprio potere sulla comunità musulmana del paese. Questa politicizzazione dell’Islam favorita dalla guerra, sottolinea Bougarel, è imposta con metodi autoritari dalla leadership politica di Izetbegovic ma finisce per ritorcerglisi contro. La nazionalizzazione dell’Islam è invece il fenomeno più comune tra le comunità albanesi di Kossovo e Macedonia, dove l’Islam in linea generale resta in posizione secondaria rispetto all’identità nazionale. In ogni caso, notano gli autori, la politicizzazione delle popolazioni musulmane della regione non supera le divisioni etniche, e la guerra di Bosnia come quella di Kossovo non generano significative mobilitazioni regionali a base religiosa. Nemmeno sul piano delle alleanze politiche, quindi, la ‘trasversale verde’ non viene mai alla luce.
D’altro canto la politicizzazione dell’identità musulmana è cosa differente dalla re-islamizzazione la quale, osservano gli autori, si spiega come reazione alla secolarizzazione dei decenni precedenti così come va messa in relazione con le drammatiche vicende politiche del decennio. Senza dubbio assistiamo ad una espansione delle attività delle istituzioni religiose in ciascun paese, ma i cinquant’anni di secolarizzazione autoritaria dei regimi comunisti non sono reversibili. Le istituzioni religiose non hanno più il monopolio sull’interpretazione dell’Islam e sono soggette a contestazioni da parte delle diverse correnti religiose interne o straniere, da intellettuali o da singoli credenti. Il ritorno al passato non si realizza anche in seguito ai nuovi rapporti stabiliti in questi anni con i protagonisti dell’Islam mondiale. Come mette in luce Nathalie Clayer nell’ intervista realizzata per l’Osservatorio sui Balcani, tali legami sono molto diversificati e restano comunque in secondo piano rispetto a quelli con l’Occidente sul piano sia economico che politico e culturale. A livello religioso, invece, gli attori extra-regionali hanno un ruolo rilevante attraverso il lavoro capillare attuato da organizzazioni umanitarie, predicatori, centri culturali, borse di studio, etc. Tuttavia, non si può dire che i considerevoli investimenti finanziari comportino un ampio successo delle strategie di re-islamizzazione nella regione. La creazione di nicchie di islamisti attivi tra la popolazione musulmana si deve soprattutto ai rapporti con l’elite politica in alcuni momenti particolari. Come spiega Bougarel nel capitolo dedicato alla Bosnia, anche qui dove la guerra ha rafforzato l’identità religiosa dei musulmani non si è assistito ad una reale re-islamizzazione della società o dello stato. Nemmeno il panislamismo di Izetbegovic e la guerra sono riusciti ad influenzare stabilmente i costumi e le pratiche individuali o a generare un’ondata di fondamentalismo. Nelle campagne la religiosità tradizionale rappresenta un ostacolo alle concezioni militanti ed ideologiche dell’Islam. Solo a livello urbano, ai margini, tra le file degli intellettuali o dei giovani scolarizzati, l’Islam si sostituisce all’ideologia comunista. In ogni caso, la re-islamizzazione nei Balcani, spiegano gli autori, è parziale oltre che conflittuale e l’affiliazione nazionale ha sempre la meglio su quella religiosa.
La seconda parte de Le nouvel Islam balkanique si concentra quindi sullo studio delle politiche dei vari attori dell’Islam mondiale nei Balcani. Il capitolo di Silvie Gangloff esplora il ruolo della Turchia nella regione a livello economico, diplomatico e militare; Ferhat Kentel esamina le interazioni, simboliche e non, tra la società turca e le popolazioni musulmane dei Balcani; l’analisi di Alireza Bagherzadeh invece smonta le interpretazioni culturaliste a proposito del coinvolgimento dell’Iran nella guerra di Bosnia; infine il capitolo di Jérôme Bellion-Jourdan è dedicato alla comprensione della realtà delle reti islamiche transnazionali. In ognuno di questi casi emerge con chiarezza il fatto che anche l’Islam mondiale non costituisce un monolite, ma al contrario è una composita realtà in cui giocano un ruolo stati, individui e svariate organizzazioni non governative con culture politiche e religiose diverse tra loro. Questi approfondimenti dipanano la matassa dei rapporti tra i numerosi attori che compongono il mondo musulmano internazionale, ed esaminano la complessità degli interessi in gioco.
Gli autori, dando conto della mobilitazione del mondo musulmano mondiale per i Balcani a partire dal 1992, legano queste vicende alle trasformazioni della scena internazionale dopo la guerra fredda. È interessante notare come tre anni prima del conflitto in Bosnia le popolazioni musulmane di Kossovo e Bulgaria fossero state travolte dalla crisi dei rispettivi regimi. Si trattava dei primi segnali di cosa sarebbe avvenuto nelle trasformazioni politiche post-comuniste nell’Europa sud-orientale. Tuttavia allora non vi fu reazione del mondo musulmano né alla cancellazione dell’autonomia kossovara da parte di Milosevic nel marzo dell’1989, né all’esodo di centinaia di migliaia di turchi dalla politica assimilatrice della Bulgaria di Zhivkov nel maggio dello stesso anno.
È solo con l’esplosione della guerra in Bosnia che gli appelli alla Umma, la comunità di credenti, si moltiplicano nel mondo musulmano profondamente diviso dalla guerra del Golfo. Tra il 1992 ed il 1995 la Bosnia diventa una fonte di mobilitazione per l’Islam mondiale, in sostituzione delle cause tradizionali quali l’Afghanistan dove la guerra di liberazione si trasforma in guerra civile e la Palestina alle prese con il processo di pace. La costruzione del conflitto in Bosnia come "causa islamica", alimentata dall’SDA di Izetbegovic, diventa un catalizzatore per la politica estera di alcuni stati mediorientali, attrae nel paese numerose organizzazioni caritative che distribuiscono aiuti umanitari e vede coinvolti oltre 4.000 combattenti stranieri per i quali la guerra di Bosnia costituisce una guerra santa per difendere la comunità musulmana dai suoi nemici.
A dispetto del richiamo all’unità della Umma, spiega Jérôme Bellion-Jourdan, il mondo musulmano resta una costellazione di attori antagonisti. Vi è competizione, ad esempio, tra Iran e Arabia Saudita nella strategia di egemonizzare l’Islam locale. In altre occasioni, la mobilitazione in favore della Bosnia serve all’espressione delle rivalità politiche interne a paesi terzi. E’ questo il caso dell’Egitto dove il movimento di opposizione al governo del Cairo, ovvero i Fratelli Musulmani, usa la mobilitazione internazionale per legittimare se stesso e delegittimare le autorità che non compiono il ‘dovere islamico di solidarietà’ di aiutare i fratelli di Bosnia. D’altro canto tra le ONG islamiche sul terreno vi sono contrasti per accrescere l’influenza presso la popolazione in Bosnia. ma a volte anche per il riconoscimento presso gli stessi governi occidentali come nel caso di Muslim Aid e Islamic Relief in Gran Bretagna. La stessa nebulosa di combattenti volontari che affiancano l’esercito bosniaco, tra cui molti reduci dall’Afghanistan, è composta da attori diversi che cercano di accrescere il proprio capitale sociale sul piano locale e internazionale.
Tra i musulmani di Bosnia questi legami internazionali ricevono un’accoglienza contraddittoria. Se la fornitura di aiuti umanitari così come di armi risulta essenziale alla sopravvivenza, non mancano incomprensioni reciproche, aperto conflitto e risentimento. Si lamenta in particolare la trasposizione nel paese di rivalità politiche altrui e l’imposizione di interpretazioni dell’Islam estranee alla tradizione locale. Le pratiche religiose esteriori come il velo, la barba e l’assidua frequentazione delle moschee, osserva Bellion-Jourdan, sono in linea generale abbandonate alla fine del conflitto.
Una volta raggiunti gli accordi di Dayton, gli Stati Uniti impongono la trasformazione dell’immagine pubblica dei combattenti islamici da ‘eroi valorosi’ in quella di ‘terroristi’, ponendo il gruppo dirigente intorno ad Izetbegovic in seria difficoltà. Sarajevo sceglie quindi una via intermedia offrendo un riconoscimento discreto e simbolico ai mujaheddin mentre organizza la loro partenza dal paese. La maggior parte dei combattenti così come delle ONG islamiche lascia la Bosnia, ma restano nel paese alcuni nuclei di stranieri che ottengono la cittadinanza grazie ai rapporti clientelari stabiliti con l’SDA. L’intreccio di interessi tra questi esponenti radicali ed il potere politico locale consente la creazione in alcuni villaggi della Bosnia centrale di isole di radicalismo islamico dove attività criminali e fenomeni di banditismo restano inizialmente impuniti. A partire dal 1997, Sarajevo inizia una campagna di repressione di questi fenomeni, con arresti ed espulsioni. Secondo Bellion-Jourdan, l’SDA inizialmente riesce a monopolizzare le risorse esterne per rafforzare il proprio potere ma poi deve fronteggiare effetti inaspettati. La re-islamizzazione della Bosnia promossa dai vari ed eterogenei gruppi esterni produce l’effetto inverso a quello del progetto panislamico originario, e le identificazioni all’Islam si diversificano anziché convergere. Infine, l’articolazione degli interessi cambia e gli attori stranieri alimentano la contestazione al potere politico di Izetbegovic accusato di avere svenduto la Bosnia agli americani.
Se negli anni dal 1992 al 1997, Izetbegovic in Bosnia, così come Berisha in Albania, si appoggiano all’Islam mondiale per rafforzare la propria posizione nei rapporti di potere locali, successivamente lo scenario internazionale cambia. Quando scoppia la crisi in Kossovo gli Stati Uniti non sono più disposti a tollerare le ingerenze del mondo islamico nella regione come avevano fatto in Bosnia, dove l’embargo alla fornitura di armi veniva sistematicamente violato per portare aiuto ai musulmani. All’intervento militare diretto della NATO in Kossovo Washington associa la pressione sui dirigenti politici albanesi perché non accettino collaborazioni in questo senso. D’altro canto, gli stessi dirigenti dei paesi musulmani non manifestano entusiasmo per la causa del Kossovo. L’Iran è oramai impegnato in un processo di normalizzazione delle relazioni con l’Occidente, mentre in Turchia la politica ‘neo-ottomana’ del presidente Ozal è soppiantata da correnti nazionaliste e avanza il progetto di integrazione europea. La solidarietà della Umma al Kossovo si manifesta comunque sotto forma di aiuto umanitario e sul piano religioso attraverso le ONG islamiche, ma per i giochi politici locali di Pristina l’Islam resta un fattore secondario.
Nel fornire tale complessa analisi delle relazioni tra attori religiosi e politici nella regione, il libro scritto e pubblicato prima dell’11 settembre 2001 non trascura il ruolo dei combattenti ‘afgani’ e la stessa rete di Osama Bin Laden. Tuttavia, come spiega Nathalie Clayer nell’intervista realizzata per l’Osservatorio, i discorsi di oggi sulla minaccia islamica nei Balcani sono ampiamente esagerati. In ogni caso questi attori rappresentano solo un aspetto della presenza dell’Islam mondiale nei Balcani. La debolezza di molti degli stati della regione ha chiaramente consentito ad esponenti di gruppi terroristici internazionali di far perdere le proprie tracce in Bosnia e in Albania negli anni scorsi. D’altro canto la CIA non ha trovato ostacoli nei Balcani quando si è trattato di catturare ed estradare presunti terroristi negli ultimi anni.
Infine, l’analisi offerta dal libro sul ruolo dell’Islam mondiale stimola l’interesse per uno studio comparato sull’intervento umanitario dell’Occidente e del mondo Islamico. Molti sono i paralleli tracciabili, a partire dal fatto che entrambi hanno fornito una lettura ideologica dei conflitti nella regione: per l’Occidente si è trattato di odi ancestrali, per il mondo musulmano di una guerra di religione. In secondo luogo, in entrambi i casi la mobilitazione della società civile internazionale è passata attraverso il forte incoraggiamento dei mass media. Infine, entrambi hanno cercato di imporre alle popolazioni locali la propria visione del mondo ed il proprio modello di società, così come hanno spesso teso a svalutare la cultura e la tradizione locale.
Opera collettiva di profondi conoscitori della materia, Le nouvelle Islam balkanique, per la ricchezza delle informazioni proposte non è riassumibile in poche pagine ma merita un’attenta lettura per la quale sarebbe auspicabile una traduzione in italiano. Gli scaffali delle librerie che oggi si sono arricchiti di numerosi volumi dedicati all’Islam ancora una volta trascurano i Balcani, che si preferisce liquidare con luoghi comuni. Eppure dovrebbe essere diffusa la consapevolezza che esiste un Islam europeo. o per meglio dire che ne esistono diversi ed i Balcani ci offrono l’occasione per iniziare a conoscere questa civiltà. Quale forma prenderà l’Islam europeo dei Balcani nei prossimi anni, concludono i curatori, dipenderà dalla capacità dei musulmani della regione di trovare una collocazione nella nuova Europa, sperando che questa lo consenta.
Vedi anche:
Note:
(1) L’hanefismo è una delle quattro scuole giuridiche dell’Islam sannita. Fondata da Abu Hanifa nel VIII secolo divenne la scuola ufficiale dell’impero ottomano. Fino agli anni ’90 era la sola scuola presente nei Balcani.
(2) Vedi, Fiorenza Sarzanini, ‘Soldi e Moschee, Osama avanza nei Balcani’, Corriere della Sera, 8 novembre 2001. Leggi anche l’acuto commento di Andrea Ferrario sul tale diffusione di notizie allarmistiche e tendenziose circa il pericolo Islamico nei Balcani nel n.500 di Notizie Est.
(*) Xavier Bougarel e Clayer Nathalie (a cura di), (2001), Le Nouvelle Islam balkanique. Les musulmans, acteurs du post-communisme 1990-2000, Maisonneuve e Larose, pp.509, Euro 28,83.
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