Irak: i primi morti della missione bulgara
Cadono i primi soldati bulgari in missione in Irak. A Kerbala sono cinque i militari a rimanere vittima di un attentato. Ed intanto a Sofia c’è chi inizia a pensare che l’alleanza agli USA sta costando un prezzo troppo alto …
Da Sofia scrive Tanya Mangalakova
Cinque rangers bulgari hanno perso la vita a Kerbala in Iraq tra il 27 e il 28 dicembre scorso, quando un’autobomba è esplosa nel campo bulgaro. Un trasporto d’acqua ha colpito la recinzione della base indiana, dove il battaglione bulgaro è di stanza. L’infernale esplosione ha colpito a morte il capitano Georgi Hristov Kachorin, il sergente Ivan Hristov Petrov, il secondo sergente Anton Valentinov Petrov, Svilen Dimitrov Kirov e il colonnello Nikolay Saraev morto ieri nell’ospedale di Baghdad a seguito delle lesioni riportate nell’attentato. Altri 27 militari sono rimasti feriti , dei quali 17 sono tutt’ora in gravi condizioni e sono stati trasportati in elicottero presso l’ospedale americano di Baghdad.
L’opinione pubblica si è lamentata particolarmente per il silenzio di diverse ore mantenuto dal governo bulgaro a seguito dell’incidente, lasciando le famiglie dei circa 500 soldati di stanza in Iraq. Il premier bulgaro Simeone, il ministro degli esteri Solomon Passy e il ministro della difesa Nikolay Svinarov non sono apparsi subito in pubblico per calmare la società bulgara e le famiglie dei soldati, tutti e tre gli alti funzionari bulgari non hanno rinunciato alle loro vacanze natalizie.
Riportate i nostri soldati a casa!
È il titolo dell’articolo di Martin Karbovsky pubblicato dal quotidiano "24 Chassa" il 28 dicembre. "I soldati bulgari sono carne da macello nel gioco geostrategica, sono i manichini della NATO, i bersagli più facili. Con l’attacco ai nostri pochi preparati soldati gli iracheni possono dimostrare la loro forza di resistenza e rivendicare le loro perdite per la sconfitta militare e la cattura del loro dittatore. Questa guerra non è leale da entrambi i lati delle barricate, e la cosa meno leale è il vostro motivo per essere lì – pagamenti e obblighi che non esistono. Come emigrati potete avere molti soldi, così, tornate a casa, questa guerra non è vostra. Siamo stati coinvolti in un conflitto ma dobbiamo liberarcene adesso: la guerra tra ebrei e arabi non ci riguarda, la guerra degli USA contro il mondo nemmeno".
Qualche giorno prima dell’attacco alla base bulgara di Kerbala era intervenuto sull’argomento Irak il Presidente Parvanov. "La guerra in Irak condotta dagli USA non solo non ha posto fine al terrorismo internazionale ma rischia, per alcuni versi, di averne accentuato la vitalità". Lo ha affermato in un’intervista alla radio bulgara "Darik". Parvanov non ha cambiato idea quindi rispetto ai giorni nei quali la Bulgaria scelse di essere al fianco degli USA e lui fu tra i pochi a sostenere la posizione della Russia, della Francia e della Germania. "Dovremo favorire il dialogo tra Europa e Stati Uniti" ha aggiunto Parvanov.
Non a caso l’intervista al Presidente bulgaro verteva sull’Irak. Quest’ultimo è un argomento da prima pagina sui media bulgari. Non solo perché la Bulgaria ha preso parte alla missione militare contro il regime di Saddam Hussein, non solo perché è stata ammessa tra i 63 stati che ricostruiranno il Paese ma anche e soprattutto per i rischi che il contingente bulgaro deve affrontare quotidianamente in Irak.
Una breve cronologia della presenza bulgara in Irak
Il contingente bulgaro fa parte della forza multinazionale presente in Irak ed è attualmente sotto commando polacco. Il contingente – arrivato in Irak nell’agosto del 2003, in seguito ad una decisione del Consiglio dei Ministri del 22 maggio dello stesso anno – è costituito da 478 uomini ed è stanziato nelle vicinanze della città di Kerbala, città santa sciita, un centinaio di chilometri da Baghdad. Compito dei militari bulgari quello di controllare quest’ultima.
Un prezzo troppo alto per la lealtà alla NATO
I media bulgari sono stati estremamente attenti a riportare qualsiasi incidente accaduto ai militari a Kerbala. Anche prima della tragica fine dei cinque militari bulgari si era verificato più di un incidente. La situazione è resa ancora più difficile dal fatto che si tratta della prima missione bulgara all’estero e scarso è stato l’addestramento specifico.
Sino ad ora sono stati spesi per il mantenimento del contingente bulgaro in Iraq 30 milioni di euro, secondo alcuni troppo per un piccolo Paese come la Bulgaria. Ma coloro i quali sostengono la missione affermano che ritornerà utile aver dimostrato la propria fedeltà alla NATO ancor prima di farne parte.
L’opinione pubblica bulgara è divisa tra chi è pronto ad accettare questo "prezzo" e chi si è invece espresso in senso contrario. Le posizioni si sono polarizzate dopo la morte dei tre militari bulgari lo scorso 27 dicembre. Questa polarizzazione era stata prevista dal direttore esecutivo dell’Istituto Euro-Atlantico, Konstantin Dimitrov in un’intervista per un settimanale bulgaro specializzato in questioni legate alla sicurezza. "Non dimentichiamo che è un’operazione complessa e rischiosa", aveva affermato quest’ultimo.
Reclutamenti difficili
"Cinquanta militari rifiutano di partire per Serbala", riporta lo scorso 22 dicembre il quotidiano bulgaro Sega citando le parole del generale Nikola Kolev, a capo dell’esercito bulgaro "ciononostante non ho dubbi che si riuscirà a formare un secondo contingente disposto ad andare in Irak. Stiamo tra l’altro accordandoci con l’Università di Sofia per arruolare interpreti dall’arabo", ha aggiunto Kolev.
Kolev non ha risparmiato però critiche agli Stati Uniti per come viene gestita la situazione post-bellica. In particolare nota, in un’intervista a BTV, che gli USA non sembrano avere una chiara visione politica dell’Irak del futuro né alcun piano per la ricostruzione.
La difficoltà principale nel reclutare militari disposti a partire è legata al fatto che, data la legge vigente, possono essere inviati solo militari che diano il proprio consenso alla missione. Si parte quindi solo su base volontaria. Lo stesso Kolev ha già proposto che la legge venga modificata e che ogni soldato bulgaro possa essere inviato senza un suo espresso assenso in missioni all’estero. "Altrimenti – nota Kolev – può essere rallentato il processo di professionalizzazione dell’esercito e la Bulgaria rischia di non essere in grado di adempiere ai propri doveri di alleato NATO".
1,7 miliardi di dollari di crediti
L’Irak è debitore nei confronti della Bulgaria di 1,7 miliardi di dollari. Restituzione dei quali in pochi credono ancora in Bulgaria. La cattura di Saddam Hussein ha però ravvivato gli animi e in molti sperano che le grandi potenze si accordino sul debito estero iracheno e che parte di questo debito possa venir restituito. "Dopo la cattura di Saddam avverrà la restituzione del debito" aveva assicurato il Ministro degli esteri bulgaro Solomon Passy. Il quotidiano "Sega" commenta che il credito nei confronti di Baghdad ammonta al 12,5% del PIL bulgaro. La Francia si è già detta disposta a rinunciare a 3 miliardi di dollari che l’Irak le deve, aggiunge "Sega", sostenendo che questo potrebbe implicare una maggior disponibilità di risorse per ripianare il credito bulgaro. "La miglior soluzione per il credito bulgaro nei confronti dell’Irak è quello di venderlo" ha affermato invece nei giorni scorsi Krassen Stanchev, direttore dell’Istituto per l’economia di mercato, ha dichiarato per la sezione bulgara della BBC che "se viene venduto subito si può recuperare sino al 10% della somma".
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