Inquinamento a Sarajevo, intervista a Anes Podić
Lo scorso dicembre Sarajevo è stata la capitale più inquinata al mondo. Quali sono i fattori principali di inquinamento della capitale bosniaca? Ce lo spiega in questa intervista Anes Podić, coordinatore di Eko Akcija
Eko Akcija è una delle associazioni ambientaliste più attive nel panorama bosniaco, particolarmente attenta al monitoraggio dell’inquinamento atmosferico. Nei giorni in cui Sarajevo figurava tra le città più inquinate del mondo abbiamo incontrato Anes Podić, coordinatore dell’associazione, che ci ha accolto con una cartella piena di grafici e cifre.
Quale è la situazione dell’inquinamento dell’aria nel cantone di Sarajevo?
Questi (mi mostra i dati) sono i dati del PM10 di Sarajevo, partendo dal 2014 fino ai giorni nostri. Evidentemente il periodo invernale è più problematico. Nel 2014 abbiamo toccato i 400, e così è stato anche negli anni successivi, fino a toccare i 500. Solo nel 2017 abbiamo avuto più fortuna per le tante giornate di vento.
Uno dei problemi che abbiamo è la soglia d’allerta delle polveri sottili. Anche se non sono direttive obbligatorie, una serie di paesi e città della regione le ha applicate. La Bosnia Erzegovina ha adottato la legislazione europea solo nelle parti che le interessano. Sulla carta tutto sembra OK, ma poi alcune parti importanti mancano del tutto.
I livelli di allerta si stabiliscono in modo che quando si raggiungono, anzitutto si compiono delle misure per diminuire l’inquinamento, e poi per proteggere la popolazione: si chiudono le scuole, si fa in modo che le donne incinte restino a casa, ecc. Noi invece in Bosnia Erzegovina non abbiamo queste soglie. Non esiste un ministero dell’Ambiente a livello statale, esistono ministeri a livello di Entità. E il ministero della Federazione di BiH non ha stabilito le soglie di allerta, ma ha lasciato che lo facessero i Cantoni.
La situazione è tale che i Cantoni o non hanno alcuna soglia di allerta, come nel caso dei Cantoni di Tuzla e Zenica che, secondo i dati a nostra disposizione, sono tra i più inquinati; oppure hanno una soglia di allerta di 400 microgrammi, come nel caso del Cantone di Sarajevo. Ma 400 microgrammi sono 5 volte la soglia di Parigi! E perché sono arrivati a 400? Perché hanno guardato le statistiche e pensato che la soglia di 400 non si sarebbe mai raggiunta (ride).
E invece la soglia è stata raggiunta nel dicembre 2016. Con che iniziativa avete reagito allora?
Abbiamo creato una app per smartphone. La gente nel telefono leggeva: pericolo, pericolo, pericolo… E quando la gente ha visto continuamente questo messaggio, ha fatto pressione sul governo cantonale per fare qualcosa. E lì il governo ha istituito le targhe alterne. Ma poiché si è alzato un polverone, il giorno dopo ha ritirato il provvedimento. E a chi ha dato la colpa? A noi che abbiamo creato l’app, accusandoci di diffondere panico e notizie false. Eppure guarda [mi indica il grafico, ndA]: Parigi è lì, noi qui. Se questo fosse successo in Europa occidentale, ci sarebbe stato l’esercito nelle strade, la polizia non avrebbe permesso alla gente di uscire per strada, sarebbero rotolate le teste di vari ministri. Da noi, invece, è colpa di chi diffonde le informazioni.
Quando avete iniziato concretamente a occuparvi di inquinamento dell’aria?
Eko Akcija è stata fondata nel 2009, l’intenzione era di occuparci di aree protette. La Bosnia Erzegovina è ricchissima di natura. Tuttavia nel 2013 il cantone ha adottato il piano per la riduzione delle polveri sottili, e allora abbiamo iniziato a interessarci, guardato i dati disponibili, confrontati con gli standard mondiali e… è arrivato lo shock. L’inverno del 2013 è stato inquinatissimo, e la reazione del governo è stata questa: la rappresentante dell’Istituto per la Salute Pubblica della FBiH consiglia di “mettere la sciarpa davanti alla bocca e al naso”. Non aveva la minima idea che queste polveri sono microscopiche e che non serve a nulla una sciarpa.
Dall’Istituto Idrometeorologico della FBiH invece ci è arrivata la spiegazione che l’inquinamento non è così pericoloso per la salute, che la vita in città è questa. La frase, testuale, è stata questa: ‘È il tributo da pagare per vivere in città’.
All’epoca abbiamo chiesto la chiusura delle scuole e altre misure. Ma la risposta dell’allora premier del Cantone Suad Zeljković è stata questa: "Se alcuni genitori vogliono prolungare le vacanze invernali, che vadano a sciare". E sempre reazioni di questo tipo.
Nel 2013 le istituzioni ancora negavano e facevano finta di non sapere. Dopo cinque anni di campagna, non possono più negare, e danno delle istruzioni migliori. Almeno nessuno dice più di mettere la sciarpa davanti al viso.
Dopo le elezioni di ottobre c’è una nuova maggioranza al cantone di Sarajevo, con partiti che provengono soprattutto dal centrosinistra. Può portare a qualche cambiamento?
In verità quello che ci manca è una diagnosi esatta dei problemi. Solo negli ultimi tempi si è cominciato a fare ricerche, ma ancora non basta. Non abbiamo una diagnosi della situazione, nel senso di sapere da che fonte sappiamo cosa. Questi partiti politici non hanno una linea comune. Ora nei colloqui per la formazione del governo avranno tanti punti su cui discutere, ma dov’è il punto sull’ambiente? Non c’è. L’unico punto è applicare il piano che aveva già preparato l’SDA [il partito al potere nel precedente governo, nda] e i loro consulenti, che non servirà a pulire l’aria ma solo a dare ancora soldi e affidare studi ai consulenti stessi.
Qual è il fattore fondamentale dell’inquinamento dell’aria a Sarajevo?
Il fattore determinante resta il riscaldamento domestico. Quest’anno l’uso di carbone è aumentato perché è aumentato il prezzo della legna. La Bosnia Erzegovina è uno dei maggiori produttori di legname in Europa, e si preferisce esportarla, perché rende di più, facendo così aumentare il prezzo sul mercato locale. Per questo molti passano al carbone, che secondo le raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità dovrebbe essere vietato completamente. Ma a Sarajevo, una delle misure del governo è stata di autorizzare la vendita di carbone con meno percentuale di zolfo. Questo non vuol dire nulla: il carbone con meno zolfo produrrà polveri sottili come quello con più zolfo. Solo un divieto completo avrebbe senso.
Però, certo, prima dovete dare alla gente un’alternativa. Ad esempio, un legname con il prezzo controllato. Magari a Sarajevo non si nota, ma fuori dalle città la gente è così in difficoltà economica che l’acquisto della legna può essere per loro il momento decisivo dell’inverno. Solo quando acquistano la legna, sanno che passeranno l’inverno senza problemi.
Un altro problema è quello dell’efficienza energetica. Questo andrebbe fatto con la sostituzione delle stufe e delle caldaie. Si potrebbe fare un piano di sostituzione obbligatoria in 60.000 appartamenti, ma senza pagare per tutti. Chi ha abbastanza soldi paga per sé… Un piano del genere costerebbe meno di 25 milioni di euro. E il bilancio annuale del cantone è di 475 milioni di euro.
Quali sono altre misure che suggerireste di applicare?
La città di Graz nel 1992 ha abbassato il limite di velocità a 30 km all’ora. I nostri, invece, ancora mantengono i 50 all’ora. Le ragioni per diminuirlo sono: primo, meno incidenti; secondo, le macchine producono più emissioni quando accelerano, e questo è spesso il caso a Sarajevo. Da Ilidža [sobborgo alla periferia di Sarajevo, ndA] al centro ci sono quindici semafori. Ti fermi almeno cinque volte, se ti va bene. E se acceleri, l’emissione aumenta, se invece rallenti, l’emissione si riduce. Eppure i nostri esperti sostengono che il traffico va velocizzato! (Ride).
I nostri esperti non sanno che Graz ha un numero di abitanti simile a Sarajevo, è simile in molti aspetti geografici. A Graz ci sono soglie di allerta, e si resta sempre sotto i 70 microgrammi. D’altronde tutti hanno dei limiti, che variano da città a città anche perché le fonti di inquinamento non sono ovunque lo stesso. Noi indichiamo Parigi nei nostri grafici perché un paio d’anni fa Parigi ha avuto una grande crisi di inquinamento, però poi ha applicato la soglia, come più o meno in tutta l’Unione Europea, tranne in Polonia dove c’è una soglia di 300, ma perché hanno molto carbone e la lobby dell’industria.
Tutti patiscono per l’inquinamento, l’Europa occidentale è stata molto colpita dall’inquinamento. Pensate a Londra nel 1952, ai cinque giorni di smog in cui muoiono 12.000 persone. Ma cosa fa allora Londra? Succede che nel 1956 si adotta una legge con una serie di limitazioni. Si stabiliscono le cosiddette “zone senza fumi”, dove non si possono più bruciare combustibili grezzi, ma solo combustibili puliti che non fanno emissioni.
A Sarajevo, alla fine degli anni ’60, i problemi erano più gravi di adesso. La popolazione era quadruplicata in venti anni, tante fabbriche, tutte con caldaie a carbone. Eppure, nel 1969 sul giornale Oslobodjenje [principale quotidiano di Sarajevo, ndA], comparve una lettera di alcuni medici, che raccontavano che negli ospedali arrivavano diversi bambini malati. E si scatenò un polverone. L’intera comunità cittadina, guidata dall’allora elite comunista, si impegnò a risolvere i problemi per mantenere la gente sana. E nell’estate 1972 si vietò il carbone. Ma prima, in modo da non lasciare che la gente morisse di freddo, si assicurarono alternative più pulite: nafta, olio combustibile, gas. In tutta la città si montarono piccole pompe dove si comprava la nafta. Alcune si trovano ancora in giro per la città, come dei reperti archeologici. Si organizzarono persino corsi nelle comunità locali per imparare ad usare il riscaldamento.
All’epoca Sarajevo diminuì l’inquinamento del 30 per cento grazie a queste misure. Poi si chiese un prestito alla Banca Mondiale, prima volta che la Banca Mondiale finanzia un progetto per l’ambiente. L’accordo fu raggiunto nel 1976. All’epoca spendemmo per la ricostruzione dell’acquedotto e il mantenimento dell’aria l’equivalente di un anno di bilancio di oggi. Oggi sarebbe totalmente impensabile.
Oltre al riscaldamento e al traffico, ci sono altri fattori di inquinamento?
Non c’è più molta industria, ma quella che c’è non è regolamentata. Il meccanismo di controllo dei permessi ambientali non funziona. In Unione Europea almeno ci sono delle multe importanti per le imprese che non rispettano i limiti. Qui invece le multe massime sono di 10.000 marchi [poco più di 5 mila euro]. La Mittal a Zenica, nel 2016, ha pagato in tutto 6.000 marchi [poco più di 3.000 euro] di multa. A Sarajevo ci sono tanti esercizi commerciali, soprattutto ristoranti, che cuociono sulla brace, che produce molto inquinamento, ne abbiamo a centinaia, e non c’è nessuna regolamentazione.
La Bosnia Erzegovina ha grandi problemi ambientali, non solo quello dell’aria. Abbiamo discariche che emettono un’enorme quantità di gas che crea enormi problemi di salute. La discarica municipale di Sarajevo è stata costruita dopo la guerra, poi dopo il 2008 ha iniziato a saturarsi, oggi nel raggio di alcuni chilometri quotidianamente gli abitanti sono travolti dai miasmi. E poi abbiamo discariche selvagge sparse peri il paese. Il 30 per cento della popolazione bosniaca non è coperto dalla raccolta dei rifiuti.
In tutto questo, abbiamo una strategia dell’UE per i Balcani Occidentali che non ha un punto sull’ambiente. Ci sono energia, migranti, cooperazione internazionale, formazione, ma non c’è l’ambiente.
E abbiamo un governo che ci continua a dire "Ma per risolvere questo servono soldi. E non ci sono". Eppure costruiamo autostrade. Adesso si stanzieranno alcune centinaia di milioni di marchi, per la costruzione di nuove autostrade. Esiste uno studio dell’Agenzia Giapponese per lo Sviluppo del 2001, secondo cui l’unico tracciato davvero utile nel territorio bosniaco è la Sarajevo-Zenica. Eppure ora si costruisce oltre Zenica, 4 chilometri di autostrada costano 67 milioni di euro, e si fa in modo di garantire il guadagno al costruttore. Se non c’è abbastanza traffico, risana lo stato. E naturalmente non ci sarà abbastanza traffico, quindi dovremo pagare noi.
Un altro esempio: ogni mattina da Vogošča [sobborgo di Sarajevo ndA] al centro città c’è una coda terribile, la sera in senso inverso. Ogni giorno su quella strada passano circa 30.000 veicoli. Ora il governo vuole costruire una strada Vogošča-centro che costerà circa 150 milioni di euro. Con quei soldi potrebbero riammodernare la linea del tram e quella ferroviaria, acquistare nuovi mezzi.
La sostanza è che le città ormai vengono viste come un insieme di immobili con cui si deve guadagnare, e non come un luogo in cui vivono persone con i propri bisogni. Questo è il problema principale.
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