Tipologia: Intervista

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Area: Albania

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Innovazione in Albania: il ruolo delle università

I cluster d’innovazione che coinvolgono autorità pubbliche, settore privato e accademico sono la chiave per ridurre la fuga di cervelli dal paese e promuovere lo sviluppo locale. Ne abbiamo parlato con Jolta Kacani, professoressa all’Università di Tirana 

27/10/2022, Serena Epis -

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Su che aspetti dell’innovazione si focalizza il suo interesse?

Una delle materie che insegno è metodi di ricerca. Mi concentro sulla cosiddetta tecnologia finanziaria per studiare come nuovi sistemi e meccanismi finanziari aiutino le imprese ad affrontare e gestire le loro attività quotidiane. Una delle aree centrali del mio lavoro è la digitalizzazione: aiuto le imprese ad operare online, senza dover produrre ogni documento su carta, offrendo know-how insieme a capacità di gestione contabile e finanziaria. 

Come descriverebbe l’ecosistema dell’innovazione in Albania? 

L’Albania ha un gran potenziale d’innovazione, anche se ogni settore ha un ritmo di sviluppo diverso. Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, il settore tecnologico-finanziario o quello dei servizi, per esempio, sono più innovativi del ramo manifatturiero – dove siamo ancora nella fase della produzione senza valore aggiunto, probabilmente perché l’economia albanese è per lo più basata sul settore terziario. 

Chi sono i principali attori dell’innovazione? 

Credo siano i giovani, provano a portare nuove idee, sviluppare nuove tecnologie e avere un approccio più all’avanguardia. Altri motori d’innovazione sono gli incubatori o i centri d’innovazione, o tutti quelli che supportano lo sviluppo delle start-up. 

Dieci anni fa, l’idea delle start-up qui non esisteva nemmeno, ma negli ultimi anni ne sono state create diverse, soprattutto nel settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Tuttavia hanno difficoltà ad ottenere fondi sufficienti, e questo ha certamente un impatto sul loro sviluppo: la parte più difficile è rimanere competitivi nel mercato e sopravvivere nei primi 5 anni. Le imprese che ce la fanno, provano poi a muoversi su una nuova scala. 

Ci sono anche start-up che lavorano completamente online e non operano solamente nel nostro paese, ma anche in tutti i Balcani. Gran parte di queste sono gestite da giovani; come ho detto, sono molto inclini all’innovazione e provano sempre a portare nuove idee e soluzioni in aree che non erano state nemmeno prese in considerazione prima. 

Poi anche il mondo accademico è parte dell’ecosistema. Per esempio, alla Facoltà di economia dell’Università di Tirana organizziamo concorsi e diamo premi per incentivare gli studenti a sviluppare le loro idee. C’è anche un Centro d’Innovazione per Imprenditori dedicato all’industria turistica che promuove programmi comuni con un gruppo di imprese che aiuta gli studenti con i loro progetti, finanziando le proposte più innovative. Investiamo tanto anche nel fornire ai nostri studenti metodi di ricerca nuovi e innovativi. 

Comunque sia, la quantità di budget statale dedicato alla ricerca e allo sviluppo è molto limitata – solo l’1% del PIL – ed è un problema. Questo è il motivo per cui cerchiamo di identificare nuove modalità di cooperazione con le grandi imprese.

Come influisce la fuga di cervelli sull’Albania? 

La fuga di cervelli è un problema che affligge molti paesi in Europa, seppur in gradi diversi. Certo, alcuni paesi come l’Albania ne sono stati più colpiti, specialmente dopo le crisi degli ultimi anni. Credo che il dilungarsi della fase di integrazione europea abbia un ruolo importante. 

Comunque, una tendenza interessante è che, come gli albanesi se ne vanno, altre persone si stabiliscono nel paese: italiani, indiani e tedeschi si trasferiscono qui per lavorare. Quindi mentre gli albanesi se ne vanno, giovani stranieri vengono qui da noi. 

Quale sarebbe una buona strategia per attrarre personale qualificato? 

Ad esempio, nelle università, è molto difficile attrarre personale qualificato, principalmente perché abbiamo risorse limitate. Ci sono molti giovani che hanno studiato all’estero e vorrebbero tornare per lavorare nella ricerca, ma sono riluttanti per i salari troppo bassi: molte persone qualificate provano così ad ottenere contratti part-time anziché full-time, per poter lavorare anche con grandi aziende. 

Penso che questo abbia a che fare anche con l’età. I giovani, all’inizio della loro carriera, potrebbero essere pronti a lavorare molte ore al giorno per crescere e avere uno stipendio migliore, ma quando raggiungono una certa posizione nelle loro vite professionali e magari iniziano a pensare a metter su famiglia e via dicendo, potrebbero essere più propensi a sistemarsi e lavorare in università. 

Inoltre la pandemia ha avuto un effetto positivo sulla fuga dei cervelli, sempre più persone che lavorano per aziende internazionali trovano più conveniente vivere qui. Conosco dipendenti di compagnie americane o europee che vivono qui perché è più economico e sono più vicini alle famiglie, hanno la loro casa e non devono pagare l’affitto. 

Parlando dell’aspetto finanziario, sono disponibili fondi pubblici o privati per supportare l’innovazione? 

I finanziamenti sono sempre limitati. Ci sono linee di finanziamento del settore pubblico che sono state introdotte a livello legislativo; sono fondi per la fase iniziale di start-up di diverse categorie. 

Per quanto riguarda il settore privato, per esempio, molte imprese o start-up fanno affidamento a sovvenzioni straniere provenienti da donatori internazionali o da agenzie di aiuto allo sviluppo. Tuttavia, dato che le sovvenzioni stanno diminuendo ogni anno, le persone cercano alternative: partnership congiunte, “angel investors” o “venture capitalists”, anche se questi finanziamenti restano limitati. 

Lavorare con le istituzioni finanziarie o il settore bancario è difficile perché spesso richiedono standard molto alti – più di un anno di attività, un business plan dettagliato ecc. – e non offrono tassi speciali per queste categorie di imprese. 

L’Albania ha recentemente aperto il negoziato di adesione all’UE. Che ruolo ha l’Unione Europea nello sviluppo dell’innovazione? Che cosa pensa della Strategia di Specializzazione Intelligente (S3) finanziata dall’UE? 

Ho saputo dell’S3 per la prima volta nel 2018. Facevo parte come rappresentante dei Balcani occidentali in un gruppo di esperti della DG REGIO, incaricato di fare analisi sui processi di specializzazione intelligente, con particolare riguardo alle politiche di coesione europee. Il nostro obiettivo era quello di introdurre il concetto di “smart” all’interno delle strategie di sviluppo dei paesi. Il mio contributo riguardava specialmente l’agenda digitale dei Balcani occidentali e l’integrazione dei mercati nazionali nelle catene globali del valore (GVCs). 

La mia impressione è che qui le persone non capiscano cosa sia la specializzazione intelligente. La cosa più rilevante è quindi dare priorità a settori chiave per il paese e poi provare a favorire un effetto domino in altri ambiti. 

Perché ritiene che le persone ne sappiano così poco a riguardo?

Il problema è che non c’è comunicazione né informazione che diffonda il concetto di specializzazione intelligente, sarei quindi sorpresa se gli imprenditori conoscessero come funziona. Ora che il processo di negoziazione è iniziato, credo che parleremo di più di specializzazione intelligente e forse sarà più facile digerire e incorporare questo concetto all’interno della nostra strategia di sviluppo. 

 

Questo materiale è pubblicato nel contesto del progetto "La mobilità del capitale umano dei e dai Balcani: quando l’innovazione riesce a frenare la fuga di cervelli" cofinanziato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (MAECI). Il MAECI non è in alcun modo responsabile delle informazioni o dei punti di vista espressi nel quadro del progetto. La responsabilità sui contenuti è unicamente di OBC Transeuropa. Vai alla pagina del progetto

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