In Croazia, le rinnovabili ancora poco sfruttate
Aumento della produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili: è questo uno degli obiettivi che i paesi membri dell’UE devono raggiungere entro il 2020. Ma in Croazia non tutto sta procedendo come dovrebbe. E all’orizzonte c’è già lo spettro delle prime sanzioni di Bruxelles
Il rapporto tra la Croazia e gli standard energetici UE era iniziato bene: infatti, già nel 2008, ben 4 anni prima dell’ingresso formale nell’Unione, il governo di Zagabria aveva varato il Programma nazionale per l’efficienza energetica per il periodo 2008-2016 che era già adeguato alla normativa europea (Direttiva UE 2006/32/EC).
E addirittura, stando al giudizio di “The Coalition of Energy Saving” (un gruppo che rappresenta 30 paesi europei, 400 associazioni, 150 imprese), il Piano d’azione per il risparmio presentato dalla Croazia, accanto a solo quelli di Irlanda e Danimarca, era risultato attuabile e credibile. Quelli degli altri stati membri, in base al giudizio di CES, “non solo mostrano scarsa ambizione, ma sono così poco credibili nel percorso indicato per raggiungere l’obiettivo vincolante da esporli a procedure di infrazioni e possibili multe”.
Rallentamento
Poi, come capita spesso a chi raggiunge un obiettivo (il Programma del 2008 era stato infatti anche una carta d’imbarco per l’adesione del paese all’UE), la Croazia “si è seduta” e non ha proceduto con gli adeguamenti. E richiami all’ordine non sono tardati. Il 22 luglio scorso Bruxelles ha inviato una lettera in cui preannuncia sanzioni alla Croazia causa il mancato inserimento delle nuove direttive europee nella legislazione nazionale. Il termine naturale scadeva il 5 giugno scorso, quello di riparazione il 22 settembre prossimo. Una scadenza che, con l’estate di mezzo, la Croazia difficilmente riuscirà a rispettare. E il ritardo potrebbe costare 1,8 milioni di euro.
Ma gli errori commessi finora dalla Croazia non sono soltanto di natura amministrativa e formale. Il citato Programma nazionale per l’efficienza energetica per il periodo 2008-2016, adottato nel 2008, prevedeva tre Piani d’azione triennali: tutto bene con il Primo, valido per il triennio 2008-2010, che è stato approvato nel febbraio 2010 (rivisto nell’ottobre 2009 e nel marzo 2010), ma il Secondo, che doveva essere pronto nel 2011 (per il periodo 2011-2013) è stato varato soltanto nel febbraio 2013, a ulteriore prova della scarsa attenzione croata nei confronti del comparto energetico. Una ripresa si è verificata il 30 luglio scorso quando è stato varato anche il Terzo Piano d’azione (2014-2016), un documento essenziale per assicurarsi i fondi strutturali europei.
Oltre a prevedere ottimisticamente il raggiungimento degli standard previsti per il 2016, il Terzo Piano d’azione ha il pregio di introdurre un sistema di misurazione e verifica dei risultati ottenuti, assente nel Primo e nel Secondo piano d’azione. Infatti, se si va a verificare l’effettiva attuazione del Secondo piano d’azione, si nota che degli oltre 30 programmi, attività e progetti previsti nel campo dell’efficienza energetica, solo un programma è stato adottato.
Anche dall’analisi fatta dai media attenti al risparmio e al rinnovamento energetico risulta che la maggior parte dei risultati positivi conseguiti con i due piani precedenti è scaturita da attività non programmate, casuali ed episodiche e non come conseguenza della sistematica applicazione delle misure previste dai Piani. Ed è mancata anche la comunicazione.
Obiettivi fuori portata
Inoltre, rimane sempre attualissima la questione del patrimonio immobiliare pubblico: entro il 2020, la Croazia, secondo la direttiva europea sull’efficienza energetica, dovrebbe rinnovare e riadattare (in termini di adeguamento al risparmio energetico) il 20% degli edifici di proprietà statale, con una progressione che prevede il raggiungimento di almeno il 6% entro il primo gennaio 2016. Un obiettivo che, senza un approccio serio, al momento attuale sembra fuori portata.
Ma l’impegno sull’efficienza energetica delle strutture è improrogabile e ha per riferimento il pacchetto legislativo "clima-energia" che la Commissione europea ha assegnato a tutti gli stati membri e che, attraverso la formula 20-20-20, punta al raggiungimento di un traguardo non poco ambizioso: un risparmio energetico del 20%, una riduzione dei gas serra (causa primaria del riscaldamento globale) del 20%, rispetto ai valori del 1990, e un aumento del 20% dell’energia elettrica proveniente da risorse rinnovabili (che probabilmente salirà al 30% entro il 2030 in base alle ultime proposte della Commissione europea).
Ma come farà la Croazia a raggiungere i target se attualmente la percentuale di produzione di energia elettrica proveniente da fonti rinnovabili ha raggiunto solo il 5% della produzione totale?
Numeri e fondi
Ad ogni modo, per raggiungere la quota del 20% di energia lorda prodotta da fonti rinnovabili, l’Unione Europea, con la direttiva "clima-energia" (2009/28/CE) ha introdotto la possibilità per tutti gli stati membri di prevedere incentivi per l’industria e i cittadini. E se qualcosa è stato fatto nel campo dell’energia solare (136 impianti) e degli impianti eolici (14 impianti), in Croazia i ritardi più gravi si registrano nell’utilizzo della biomassa (3 impianti, nonostante le grandi potenzialità in questo campo) e dell’energia geotermale (1 solo impianto).
Certo, occorrono investimenti, ma bisogna anche tenere presente il fatto che Bruxelles ha già ammonito Zagabria per l’incapacità di attingere, con progetti validi, dalla cassa comunitaria.
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