Imprenditori in Serbia. Mission impossible?
Se le istituzioni sono inefficienti o corrotte e se vi è una mancanza di certezze legali, è difficile fare business. E lo è ancora di più per le piccole aziende. Un’intervista a Žarko Milisavljević, presidente dell’Associazione delle piccole e medie imprese della Serbia
Quali le misure adottate dal governo della Serbia a favore delle piccole e medie imprese?
Non vi è nulla che accade se non tanta retorica. Le piccole e medie imprese in Serbia o sono aziende con una lunga tradizione o aziende di gente che con sforzi enormi tenta di sopravvivere. Non è facile essere imprenditori in Serbia. In particolar modo dopo l’arrivo delle grandi multinazionali che hanno causato una dilatazione dei tempi di pagamento. I pagamenti sono divenuti incerti, mentre le minacce di non pagare certe… tutto questo è un’agonia per le piccole e medie imprese.
Ma vi sono provvedimenti adottati per favorirle… politiche, sussidi?
E’ proprio qui il grande errore dei politici in Serbia. Vi sono sussidi o finanziamenti per il start up delle aziende, aiuti alla creazione di occupazione… ma vedono come beneficiare solo le aziende che sono ai loro inizi. Per chi già lavora e paga le tasse invece non c’è nulla, se non il delirio della raccolta delle tasse e un costante aumento dei costi fissi quali acqua, servizi, l’elettricità.
Quindi cosa si dovrebbe o per meglio dire potrebbe fare?
Occorre fare una radicale riforma della tassazione. E’ da 50 anni che in Serbia il sistema di tassazione non si tocca. Si sono susseguiti i regimi politici ma il sistema di tassazione è rimasto sempre lo stesso. Non si fa altro che aumentare le tasse, sovrapporle e creare condizioni difficili all’operato delle piccole e medie imprese, in particolare al settore artigiano che è più che dimezzato rispetto a 10-20 anni fa.
E per quanto riguarda le microimprese? Rappresentano più del 90% delle PMI e spesso sembra che non ricevano sconti di alcun tipo …
La questione principale è che non abbiamo politici all’altezza delle sfide economiche all’orizzonte. Una classe politica che non conosce le esigenze e i punti di vista degli imprenditori, che si comporta in maniera arrogante quando è al potere, vi è inoltre enorme corruzione e assenza di regolamentazione… e la magistratura… anch’essa è corrotta.
Lei insiste molto sulla corruzione…
Sì, perché ha proporzioni epiche… e la gente si sente del tutto incapace di opporvisi. Il governo non è in grado di combatterla e, al contrario, vi contribuisce. E le microimprese, che rappresentano il 95% di tutte le aziende in Serbia, soffrono molto di questo. Ogni nuova imposta, anche solo di 10 euro, per queste realtà aziendali può risultare insormontabile.
Vi sono piccole realtà imprenditoriali con pochissimo capitale, spesso il frutto di risparmi personali, investiti per ricavarne il minimo per sopravvivere. E questi capitali sono stati tassati decine di volte: quando per la prima volta sono stati investiti, quando incontrano un mercato tendenzialmente monopolista e corrotto, quando i provvedimenti pubblici sono concepiti solo per favorire chi è già privilegiato.
In questo contesto si salva il sistema bancario?
Non direi, spesso vengono applicati tassi da usura e chi si è trovato nelle condizioni di dover accedere a finanziamenti con il 20% di interessi non è mai riuscito a restituire nemmeno gli interessi, figurarsi il capitale. Ed è anche per questo che vi è uno stato generale di insolvenza dove ciascuno deve soldi a qualcuno. Ma la colpa principale di questo stato di cose è dello Stato, delle sue aziende pubbliche che controllano strade, ferrovie, energia… Sono loro ad aver avviato questa catena di insolvenza e a non aver pagato per prime i loro debiti.
Non vi sono sistemi di controllo? Modalità per punire chi è insolvente?
Certo, vi sono controlli. Ma alla fine le regole sono applicate in modo non uniforme e gli ispettori spesso comminano multe ai più piccoli, a chi non ha una copertura politica. E questi ultimi rischiano di gettare la spugna, concludendo che in Serbia non è possibile avere una propria attività imprenditoriale.
Poi vi è una foga generale, volta ad attrarre capitali stranieri a cui viene garantito tutto: 10.000 euro per ogni posto di lavoro creato, terreni detassati, servizi gratis…
Ma è solo una fuga dalla realtà. Se non sei nemmeno in grado di creare le condizioni affinché i tuoi propri cittadini, che conoscono il contesto, facciano qualcosa, se non sei in grado di sfruttare questo capitale umano, allora non potrai mai avere stabilità sociale ed economica. Tutte queste grandi multinazionali vengono per prendersi i sussidi. Sanno che i nostri governi sono molto corrotti. Quando tutto finisce, se ne vanno. Si è già visto prima.
Ma cosa possono fare le stesse PMI per aumentare la propria competitività? Cosa manca ancora?
Penso ci manchi lo spirito d’iniziativa. Penso che siamo ormai stanchi di aspettare un cambiamento, stanchi di tutte queste tasse, stanchi di controlli repressivi … qui il sistema legale protegge i debitori, non i creditori.
Allo stesso tempo vi è molta demagogia fatta con i lavoratori convinti che siano gli imprenditori quelli responsabili della crisi economica e del loro basso tenore di vita.
Ma se io stesso imprenditore sono alla frutta, se non riesco a pagare i miei arretrati e non mi pagano i crediti che ho in giro, non riesco a pagare nemmeno gli stipendi. I profitti stanno precipitando, la disoccupazione è attorno al 20%. Vi sono stime che dall’inizio della crisi nel 2009 siano andati persi 500.000 posti di lavoro. Per la fine di quest’anno inoltre ci si aspetta inflazione a doppia cifra. Questo toglie ogni prospettiva. Ma questa è una crisi tutta serba. Non è, come vorrebbero farci credere i politici, un travaso della crisi globale. Non si può incolpare sempre gli altri.
Riescono le PMI a farsi sentire in modo efficace?
Abbiamo fatto proposte al governo. Alcune di queste ultime, con elementi operativi al loro interno, sono state anche adottate. Ma sono tutte misure limitate e ottenute solo a seguito di enormi sforzi da parte dei nostri associati. Ciò che però non siamo riusciti ad ottenere è di essere considerati un partner sociale.
Sostanzialmente manca un dialogo istituzionale effettivo. Con il governo il dialogo ha carattere informale, attraverso contatti personali, a livello di favori reciproci, della serie “io ti gratto la schiena poi tu gratti la mia”. E ne risulta un sistema informale di presa di decisioni, una gestione informale delle cose, una governance informale e anche l’economia rischia di rimanere solo informale…
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