Immaginare l’Europa
Movimenti civici che superano i confini nazionali, populismo e costruzione della casa comune europea. Ne abbiamo parlato con il sociologo Paul Blokker, partendo da quanto sta accadendo con la "Conferenza sul Futuro dell’Europa"
Da alcuni anni lei si interessa dell’azione politica transnazionale e ha appena curato un volume – Imagining Europe – dal sottotitolo “contestazione transnazionale e populismo civico”, come affronta questo tema?
Mi sono avvicinato ai movimenti transnazionali per via del mio interesse verso la costituzione europea, che seguo dall’avvio della Convenzione Europea sul futuro dell’Europa all’inizio degli anni 2000 in poi.
Negli ultimi anni mi sono interessato al progetto di Varoufakis DiEM25 perché, formalmente o meno, fin dal titolo di quel progetto c’è l’idea di creare un’assemblea costituente dei cittadini per una costituzione europea.
Poi grazie ad un progetto di ricerca che ho coordinato all’Università Karlova di Praga ho cercato di unire lo studio del processo di costituzionalizzazione dal basso in Europa con la ricerca sul populismo. DiEM 25 infatti presenta sia un lato costituente, sia uno semi-populista.
"Imagining Europe" include le ricerche fatte dai miei collaboratori a Praga che hanno esaminato sia il lavoro dei vertici del movimento – non Varoufakis direttamente ma varie persone intorno a lui – sia quello degli attivisti locali. Ci sono altri contributi sui movimenti transnazionali, con ricerche sul populismo, soprattutto populismo di sinistra. L’ultima parte approfondisce la dimensione costituente, la dimensione del costituzionalismo transnazionale, un tema poco studiato da chi si occupa di movimenti sociali.
Quando ho cominciato il progetto nel 2018, ancora non c’era nell’aria la Conferenza sul Futuro dell’Europa. Abbiamo potuto seguirla dall’inizio e studiare quella componente di attivismo della società civile, dei movimenti transnazionali che cercano in qualche modo di contribuire al processo della conferenza. Ad esempio Citizens Take Over Europe (CTOE), una delle coalizioni più importanti a livello europeo che cerca di avere qualche impatto sulla conferenza.
E ci riesce?
Non è sempre facile dirlo, però credo che qualche impatto ce l’abbia. Ad esempio, la plenaria della Conferenza sul Futuro dell’Europa che si è appena tenuta aveva tutti i working groups, i gruppi di lavoro più ristretti, in streaming. Cosa che inizialmente non era prevista, le altre plenarie non lo prevedevano. Si tratta di un risultato della pressione che CTOE ha fatto perché la conferenza sia pubblica, trasparente, sennò che conferenza per i cittadini è?
Un po’ come il concetto di Pierre Rosanvallon della contro-democrazia, la democrazia anche come forza di monitoraggio dall’esterno da parte della società su che cosa fanno le istituzioni. Ed è importante perché altrimenti le istituzioni europee si rinchiudono, non fanno le cose in modo trasparente e partecipativo. Sostengono di volerlo fare, a parole, ma la realtà è diversa.
Nessuna istituzione di norma è davvero aperta, no?
Nel caso delle istituzioni europee, il Parlamento europeo è più aperto, però anche lì si potrebbe fare di più…
Cosa evidenziano i suoi lavori rispetto al ruolo di questi attori collettivi nell’integrazione europea?
Secondo me forse l’aspetto più importante che emerge, e che ci insegna molto anche sul processo di integrazione europea in senso lato, è quanto sia difficile collegare il locale, la sfera più vicina al cittadino, con quella europea. Non solo guardando alla Conferenza sul futuro dell’Europa ma anche, come mostrano alcuni dei capitoli del libro, nell’organizzazione, nella mobilitazione dei cittadini da parte dei movimenti sociali in generale.
Per esempio DiEM25, io li seguo a Firenze, e noto come siano molto distanti a livello locale dall’agenda di DiEM25 transnazionale. Fare combaciare il lato europeo, l’idea di una comunità transnazionale davvero con i problemi dei cittadini nella vita quotidiana, è molto difficile.
C’è un gran distacco fra il sogno erotico dell’intellettuale cosmopolita e le richieste dei cittadini stessi. Questo secondo me non è solo interessante da un punto di vista della mobilitazione transnazionale dei movimenti ma è altrettanto importante per capire quanto è difficile un’integrazione europea che veramente coinvolga i cittadini.
La difficoltà viene da esigenze pratiche o da visioni del mondo?
Tutti e due credo. Per esempio se il DiEM25 cerca di mobilitare persone sul territorio lo fa di solito attraendo persone che sono interessate all’agenda politica di sinistra, sinistra-radicale, per cui in Italia vuol dire che tutto il bacino di comunisti, post-comunisti e così via si presentano, ma quelli hanno un’agenda non necessariamente europeista e sono molto legati spesso a questioni del territorio, il che non è necessariamente l’agenda politica transnazionale. Per cui c’è un aspetto pratico, ma c’è anche un aspetto politico, di identità politica.
Nel libro c’è un capitolo di Antje Scharenberg, una ricercatrice che ha fatto un lavoro etnografico di questi movimenti e spiega benissimo quanta diversità c’è dentro le varie anime di in un movimento come DiEM25 o ad esempio European Alternatives che è un’altra rete europea transnazionale. C’è di tutto e di più, ci sono quelli che lottano per i diritti per i migranti, ci sono quelli che sono più vicini al femminismo, ci sono quelli che sono più la sinistra dell’area mediterranea, ci sono quelli dell’Est Europa e hanno tutti posizioni diverse che non necessariamente si sovrappongono. Per cui è pratica, ideologia, identità politica, contesto dei problemi che le persone vivono… aggregare tutto questo a livello transnazionale è veramente difficile.
Questo nel caso di quello che possiamo chiamare transnazionalismo orizzontale, cioè dove ci si mette in relazione tra società civili di vari paesi. Se invece pensiamo a quello verticale, cioè all’uso di norme europee a livello locale per portare avanti istanze come il matrimonio paritario, in questo caso invece ha funzionato…
Questa per me è una dimensione interessantissima, non sono solo interessato alle costituzioni ma anche ai anche diritti umani, e a me fa impressione che un movimento come DiEM25 in realtà utilizzi pochissimo questa dimensione verticale.
Manca il tentativo di utilizzare quello che è possibile normativamente da parte dell’Ue, ma anche da parte per esempio del Consiglio d’Europa, della Convenzione Europea per i Diritti Umani, c’è pochissimo dibattito su come si potrebbero utilizzare questi strumenti per difendere certe cause. Anche questo è impressionante, sembra che ci sia una specie di barriera, credo anche perché ci vuole una expertise molto specifica.
Nei fatti ci sono molte realtà che utilizzano questo transnazionalismo verticale, di casi ne ho in mente parecchi…
Forse uno dovrebbe fare una distinzione fra questo tipo di movimenti che sono quasi issue based, che hanno un’agenda precisa attorno ad una questione specifica e che sono spesso molto informati su come fare un contenzioso strategico alla Corte europea, e quelli che si potrebbero definire movimenti macro-democratici, che sono interessati alla partecipazione dal basso, a cambiare le istituzioni democratiche, a stimolare strumenti di partecipazione.
Quando l’obiettivo è più preciso, per esempio matrimoni LGBT o cose del genere, si vede molto di più questa mobilitazione anche delle norme europee. Quando invece si parla di un progetto politico democratico molto più ampio, cioè in un certo senso quando si cerca di costruire una comunità europea politica, io trovo sorprendentemente assente questa dimensione, in realtà non ho mai lavorato in modo esplicito su questo aspetto per cui ringrazio per questa osservazione che è interessante.
Rispetto alla Conferenza sul Futuro dell’Europa, al di là delle difficoltà, vede aspetti che possano avere un effetto di approfondimento del processo democratico a livello europeo? Oppure le difficoltà sono maggiori degli effetti e dell’efficacia rispetto alla democrazia europea?
E’ molto difficile dirlo, la Conferenza non è ancora finita e non finirà prima di maggio… se uno prende una visione un po’ più ampia di cosa è successo negli ultimi due anni io credo che gli effetti siano notevoli. Un anno e mezzo fa non si sapeva neanche bene se sarebbe partita la Conferenza. Circa la proposta del Parlamento Europeo di creare le citizens agoras o forum deliberativi non era sicuro che sarebbero stati parte integrante della Conferenza… quello che cerco di dire è che in realtà ci sono stati progressi notevoli. Ad esempio oggi vari attori dentro la Commissione Europea, già prima nel Parlamento Europeo e anche in governi specifici come quello della coalizione tedesca, indicano una volontà politica di cambiare le istituzioni, magari persino di istituzionalizzare un’assemblea dei cittadini permanente in qualche modo. Poi è molto importante vedere che forma prenderà, perché in realtà lo slogan è "assemblea dei cittadini", ma se diventerà una consultazione come quelle che già conosciamo allora è stato tutto inutile. Però sembra che ci sia una volontà di fare una cosa più ampia e questo potrebbe portare a cambiamenti importanti.
Uno dei problemi è ovviamente che c’è una resistenza forte, cioè c’è un sovranismo non solo dei populisti di destra. Anche nelle istituzioni c’è una forma mentis pietrificata, congelata. Per questo nel libro che si chiama Imagining Europe parliamo dell’importanza dell’immaginazione, di cercare, di pensare al processo europeo in un modo più innovativo, fuori dagli schemi che conosciamo ormai da decenni.
Secondo me i movimenti sociali possono essere molto importanti e proporre cose che non verrebbero mai da parte delle istituzioni. Lo si nota persino nel Parlamento Europeo, perché se si parla di che peso dovrebbe avere la voce dei cittadini in questa conferenza, tantissimi parlamentari europei si sentono attaccati, perché loro sono i rappresentanti dei cittadini, loro sono stati eletti.
Dal mio punto di vista se si vuole democratizzare l’Ue si deve fare molto di più e prendere sul serio la capacità critica di un cittadino medio di contribuire al processo decisionale. Se non si vuole fare questo secondo me c’è il rischio di una apocalisse lenta ma piuttosto sicura, perché è chiaro che pochi cittadini in Europa sono innamorati del progetto europeo.
E’ importante e potenzialmente molto arricchente questo esperimento deliberativo, la preoccupazione che abbiamo noi è che questi processi funzionano bene su istanze precise a cui poi seguono misure precise, se invece si interrogano i cittadini su cose ampie, poi si rischia che non segua nessuna misura concreta.
Anche qui c’è stato in parte un sabotaggio da parte dei governi, soprattutto quelli populisti. Perché ovviamente è molto poco pratico mettere sul suo tavolo tematiche enormi e poi dire "i cittadini devono scegliere di che cosa vogliono parlare".
Io stesso sono stato consultato dalla Commissione, dal segretariato a luglio dell’anno scorso con 70 altri accademici europei e dovevamo individuare delle tematiche su cui concentrare il processo deliberativo. Ma alcuni governi non volevano questa influenza esterna da parte degli esperti. Il risultato è un processo di deliberazione su tutto e si, quello difficilmente può funzionare.
Per cui sono d’accordo che in questo caso si poteva fare molto meglio. Però ci sono che in alcuni casi, anche su tematiche molto complesse a livello costituzionale come è accaduto in Irlanda qualche anno fa, i cittadini possono deliberare in modo serio. A livello europeo per vari motivi è stato un processo organizzato all’ultimo momento, soprattutto credo perché il triangolo istituzionale – Commissione, Consiglio e Parlamento – è in eterno conflitto.
Io seguendo in streaming devo dire ho respirato tanta emozione da parte dei cittadini coinvolti e nell’insieme anche solo questo mi è sembrato estremamente positivo. Lei che ha partecipato direttamente ha avuto la stessa impressione?
Si sono d’accordo, c’era coinvolgimento che trovo molto bello. Però allo stesso tempo è aperta la questione su che cosa succederà con tutte le raccomandazioni emerse e questo ovviamente crea frustrazione, dà fastidio: si investono tre fine settimana in un lavoro faticoso di 10-12 ore al giorno e poi si presentano le idee emerse… ma chi dà certezza su che cosa ne faranno? Questo può essere molto pericoloso. Trascurare le raccomandazioni che sono emerse da questa conferenza sarebbe un grave errore.
E’ un rischio che ho visto in altri ambiti: con il coinvolgimento dei giovani per esempio, l’argomentazione che si diffonde è "mi avete utilizzato, sono uno strumento di facciata" e si crea un cortocircuito pericoloso. C’è una forte volontà di essere coinvolti, di fare la differenza, che dovrebbe essere presa sul serio. Il pericolo che vedo è che succeda come ai tempi della costituzione europea dei primi 2000 che poi naufraga tutto per altri vent’anni…
Sì allora è stata un’esperienza molto pesante e per questo secondo me non fare nulla ora comporterebbe dei rischi, un contraccolpo molto importante. I populisti direbbero: "Guardate che è successo, la democrazia ha senso solo a livello nazionale".
Conferenza sul Futuro dell’Europa
La Conferenza sul futuro dell’Europa è un esperimento di democrazia partecipativa dell’Ue frutto di un accordo tra le tre istituzioni principali – Parlamento, Consiglio e Commissione – volto a coinvolgere i cittadini europei nella riflessione e definizione del futuro comune. La sua componente fondamentale è costituita da una piattaforma digitale multilingue su cui cittadini ed organizzazioni della società civile possono condividere proposte su temi quali l’ambiente, la salute, l’economia, la migrazione, lo stato di diritto etc. Raccolte le proposte grazie alla piattaforma, ai forum deliberativi e agli eventi, le istituzioni europee si sono impegnate a dare loro seguito, nell’ambito delle rispettive competenze. Vai ad un articolo sui primi risultati emersi
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