Il ritorno dell’orso sulle Alpi
Nell’immaginario collettivo l’orso è tra gli animali selvatici con cui l’uomo si è confrontato di più nel corso della storia. Dopo lo sterminio di questo grande mammifero, la sua reintroduzione in diversi paesi europei ha suscitato entusiasmo ma anche perplessità
In passato l’orso popolava tutto il continente europeo, con eccezione delle isole Sardegna, Corsica, Irlanda e Islanda. Intorno al Settecento si registrò però una forte riduzione della presenza di questo grande mammifero, a causa della colonizzazione delle aree montuose mediante l’allevamento, l’agricoltura e la deforestazione. Al drammatico spopolamento contribuì anche la persecuzione da parte dell’uomo, dovuta sia al timore nei confronti dell’animale, sia alla diffusione della caccia.
Nell’area corrispondente all’attuale Slovenia a inizio Novecento non era rimasta che una quarantina di orsi. Per contrastare questa progressiva sparizione, furono gradualmente introdotte diverse misure. Alcune partirono proprio dai Balcani. Ad esempio, in Slovenia nel 1935 il predatore fu dichiarato specie protetta, nel 1953 il periodo di caccia fu regolamentato e nel 1962 fu vietato l’uso di esche avvelenate. Politiche che ottennero un certo successo: ora esistono circa 4000 esemplari sulle catene montuose delle Alpi Dinariche e del Pindo, che si estendono dalla Slovenia alla Grecia. Questa stima si riferisce al periodo 2012-2016 e proviene da uno studio realizzato per il Parlamento europeo nel 2018 dall’Istituto norvegese per la ricerca sulla natura.
Sulle Alpi italiane, i primi tentativi di ripopolamento avvennero in Trentino – nel 1960 e nel 1969 nei pressi della Val Genova e nel 1974 in località Selva Piana, nei pressi della Valle dello Sporeggio. Questi tentativi però fallirono: intorno agli anni Novanta rimanevano solo 3-4 individui nella zona del Gruppo del Brenta, in Trentino. Nel 1996 è iniziato un nuovo sforzo di ripopolamento in quelle zone, sostenuto dai finanziamenti dell’Ue con il progetto Life Ursus: tra il 1999 e il 2002, vennero introdotti 10 orsi di provenienza slovena. Questa volta il tentativo ebbe successo.
Lo conferma Claudio Groff, coordinatore del Settore grandi carnivori della Provincia autonoma di Trento: “La popolazione di orsi delle Alpi centrali, attorno al Trentino, è relativamente piccola e isolata e conta attualmente 52-63 esemplari; poi sono da segnalare gli orsi nell’area di confine tra Friuli, Carinzia e Alpi slovene, che sono una decina”. Per quanto significativa rispetto al passato, si tratta di una percentuale minima rispetto alla popolazione di orsi dell’intera Europa: si ritiene che l’Unione europea ospiti tra i 15.000 e i 16.000 esemplari.
L’incertezza sulle misure da adottare
La reintroduzione dell’orso ha spinto a regolamentare il suo rapporto con l’uomo. I due principali testi normativi di riferimento sono la Convenzione di Berna sulla conservazione della vita selvatica e dell’ambiente naturale in Europa (1982) e la Direttiva 92/43/CEE “Habitat”. La Convenzione di Berna classifica gli orsi come una specie "rigorosamente protetta", mentre la direttiva “Habitat” la elenca tra le specie di interesse comunitario per cui è necessario creare zone speciali di conservazione e garantire una protezione attenta.
Tuttavia questi obblighi sono piuttosto generici. Per questo, tra il 2006 e il 2008 la Commissione europea ha elaborato delle linee guida sui piani per la gestione dei grandi carnivori in Europa. In particolare, l’obiettivo era quello di far chiarezza sul concetto di “status di conservazione soddisfacente” di una specie. Secondo la direttiva “Habitat”, questo status esiste quando la specie “continua e può continuare a lungo termine ad essere un elemento vitale degli habitat naturali cui appartiene; l’area di ripartizione naturale di tale specie non è in declino né rischia di declinare in un futuro prevedibile; esiste e continuerà ad esistere un habitat sufficiente affinché le sue popolazioni si mantengano a lungo termine”.
Nonostante questi sforzi normativi, secondo gli autori dell’ultimo rapporto commissionato dal Parlamento europeo in Europa non c’è ancora accordo sul modo di interpretare lo “status di conservazione soddisfacente” e le misure previste dalla Convenzione di Berna. Tra gli altri animali, queste incertezze mettono a rischio la salvaguardia degli orsi bruni.
Quando l’orso provoca dei danni
Quando si parla di orsi, un altro tema molto dibattuto sono i danni, effettivi o presunti, che provocano ad allevamenti e coltivazioni. Il tema è delicato e spesso strumentalizzato. Per esempio, secondo un’inchiesta realizzata dal network di reporter Birn, in Macedonia negli ultimi 5 anni lo stato ha versato oltre 3 milioni di euro a seguito di cause intentate da agricoltori ed allevatori per danni da orso. Tuttavia, l’improvviso aumento delle richieste di risarcimento rispetto al passato lascia pensare che ci sia chi cerca di lucrare avviando processi legali anche quando i danni subiti non sono stati causati dagli orsi.
In Slovenia, secondo l’Agenzia dell’Ambiente, nel periodo 2005-2008 i risarcimenti hanno raggiunto i 590.793 euro. Solo in Trentino in 17 anni sono stati spesi 1,27 milioni di euro, secondo i dati forniti dall’ex assessore della Provincia di Trento all’agricoltura, turismo e caccia in risposta a un’interrogazione.
Attualmente gli stati europei sono alla ricerca di soluzioni per arginare i danni prodotti dall’orso. Tra i rimedi considerati ci sono per esempio l’introduzione di recinzioni elettrificate e la promozione del pascolo, e dunque della presenza di pastori e cani. Questi strumenti comportano un aumento dei costi, che però secondo gli esperti è preferibile al risarcimento dei danni causati dall’animale, anche per aumentare l’accettazione sociale della presenza dell’orso sulle montagne.
Come garantire una buona convivenza
Il rapporto potenzialmente conflittuale con l’uomo e le sue attività rimane il problema principale legato alla presenza dell’orso sulle Alpi. “Se la tolleranza scende sotto una certa soglia questa specie potrebbe scomparire a causa del bracconaggio – chiarisce l’esperto della Provincia autonoma di Trento Claudio Groff –. È indubbio che se ci sono orsi ci sono anche alcuni incidenti, e di conseguenza c’è la paura: se l’uomo decide che sono rischi sopportabili, gli orsi rimangono, altrimenti no”. In realtà i contatti conflittuali tra l’uomo e l’orso sono piuttosto sporadici. È per questo che, nelle regioni in cui il carnivoro è stato reinserito, la popolazione locale è spesso disposta a tollerarlo.
In Europa ci sono dei sistemi molto diversi per gestire la presenza dell’orso. “L’Europa si può dividere in due blocchi: quella “occidentale” comprende Trentino, Abruzzo, Pirenei e Asturia. Qui ci sono popolazioni piccole e isolate e la gestione è improntata alla conservazione – quindi compensazione e prevenzione dei danni e monitoraggio, tutte attività volte alla conservazione dell’animale. Si spara agli orsi solo in casi estremi, se c’è pericolo – spiega Groff –. L’altro blocco comprende tutta l’Europa dell’est e la Scandinavia. Qui la gestione è venatoria e la caccia all’orso rappresenta un vero e proprio business. Dove la caccia è consentita gli orsi sono più accettati per due motivi: in primis, sono paesi con ampie regioni poco abitate, che permettono un controllo molto più facile dell’animale; in secondo luogo gli orsi non erano mai scomparsi da quelle aree, quindi la popolazione non ne ha paura. Vengono visti come un’attrazione turistica”.
“Da noi purtroppo l’aspetto turistico non è ancora partito e quindi si vede l’orso solo come una scocciatura – continua l’esperto della Provincia autonoma di Trento –. Da noi, dove il numero di orsi è esiguo, sparare anche solo ad un esemplare comporta dei grossi problemi, perché va a incidere sulla capacità riproduttiva della specie. L’abbattimento deve essere quindi l’ultima ed estrema ratio”.
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