Il ritorno dei Non allineati
Nel 2011 potrebbe essere Belgrado la sede delle celebrazioni dei 50 anni del Movimento dei non allineati. La diplomazia serba sta lavorando in questa direzione. Ma molti commentatori si chiedono quali vantaggi potrà portare quest’iniziativa
La diplomazia serba lavora come "sotto l’effetto di doping". E’ questo il giudizio che il settimanale londinese "The Economist" ha espresso poco tempo fa commentando la febbrile attività del governo di Belgrado nell’ambito delle relazioni internazionali. Dopo le importanti visite di Biden e Medvedev, la missione in Cina, gli incontri con svedesi, estoni, turchi, il fervore diplomatico nelle ultime due settimane ha portato Tadić prima a Roma, a colloquio con Berlusconi, poi a Berlino per confrontarsi con la cancelliera Merkel.
Il presidente serbo in questi mesi ha fatto riferimento a quattro colonne fondamentali per la politica estera serba – Stati Uniti, Russia, Unione Europea e Cina – tuttavia il panorama sembra allargarsi sempre più. Da una parte è aperto ai paesi balcanici confinanti, dall’altra si è rivolto ad un’arena politica che da molto tempo non compariva più nelle agende del potere belgradese: il Movimento dei non-allineati (MNA).
La Serbia sembra voler raccogliere il patrimonio in termini di posizione e di relazioni internazionali che fu della Jugoslavia titina. La SFRJ ricopriva un ruolo guida per molti paesi del terzo mondo ed in quegli anni per la prima volta un leader espresso dai Balcani si affermò anche all’esterno della realtà regionale. Nonostante la fine della contrapposizione bipolare il MNA continua ad esistere anche oggi, ne fanno parte 118 paesi membri effettivi e 17 con lo status di osservatori. Nel riprendere una politica estera dal piglio particolarmente dinamico Belgrado si ripropone come punto di contatto tra Est e Ovest e, riavvicinandosi ai Non allineati, si volge anche alle altre repubbliche post-jugoslave, con le quali condivide tale eredità.
Nel luglio scorso i Non allineati si sono incontrati alla XV Conferenza, a Sharm el-Sheikh in Egitto. Il vertice ha visto il presidente Tadić e il ministro degli Esteri Jeremić impegnati in fitti incontri bilaterali, tenutisi ai margini della conferenza. Il vertice ha rappresentato soprattutto l’occasione per il lancio ufficiale della significativa proposta di tenere la prossima conferenza – quella del cinquantenario dalla nascita del movimento – nella capitale serba.
Nel 2011 a Belgrado come nel 1961, quando il MNA si riuniva per la prima volta e Tito accoglieva i nuovi leader dei paesi postcoloniali come Nehru, Nasser, Sukarno, Nkrumah. Tale convergenza rappresentava una reazione al sistema di "coesistenza competitiva" che vedeva le grandi potenze imporsi negli spazi aperti dal crollo del sistema coloniale. Secondo uno schema triangolare rispetto al bipolarismo del mondo sviluppato il terzo mondo sceglieva il neutralismo, auspicava una coesistenza pacifica e soprattutto rivendicava indipendenza e non interferenza. I non allineati si ritrovarono nuovamente a Belgrado proprio nel 1989, mentre quel sistema bipolare andava crollando, trascinando con sé di lì a poco anche il paese che era stato di Tito.
Il prossimo summit in terra balcanica potrebbe rappresentare un’occasione di collaborazione per le ex repubbliche jugoslave. Jeremić, a fine estate, ha inviato una lettera alle diplomazie dei paesi vicini allo scopo di invitarli a partecipare all’organizzazione dell’evento. Il testo inoltrato sottolineava: "l’incontro servirebbe a rimarcare una parte significativa della nostra storia comune in funzione dell’ulteriore affermazione e del benessere di noi tutti".
Le prime reazioni alla proposta sono state positive e da settembre si è cominciato a discutere più a fondo della questione. Rispetto all’iniziativa Montenegro e Bosnia Erzegovina hanno dimostrato un esplicito interesse, mentre il ministro degli Esteri sloveno Zbogar ha espresso apprezzamento pur escludendo che la Slovenia, anche in quanto membro Ue, possa essere direttamente coinvolta come paese organizzatore.
Anche la Croazia sembra orientarsi verso una risposta positiva. In realtà da tempo nel paese si discute sulla possibilità di rinunciare al ruolo nel Movimento, soprattutto dopo l’ingresso nella Nato. Tuttavia Mesić, che fu nel ’91 per alcuni mesi segretario generale del MNA, a Sharm el-Sheikh ha sostenuto come l’essere membro della Nato "non pregiudichi al paese la possibilità di essere presente nel Movimento dei Non-allineati in qualità di osservatore". Rimane il fatto che il mandato del presidente è in scadenza nel 2010, una circostanza che rende più complessa l’assunzione immediata di una posizione ufficiale.
A Belgrado un rafforzamento dei rapporti con i non-allineati è visto soprattutto in funzione dell’impegno per la difesa dell’integrità territoriale nazionale. Due terzi degli stati membri delle Nazioni Unite fanno parte del MNA, è quindi comprensibile quanto questa politica sia importante nel tentativo di limitare il riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo. Tra di essi solo alcuni hanno riconosciuto la dichiarazione di Priština, mentre molti hanno sostenuto l’appello della Serbia alla Corte internazionale di giustizia.
Secondo la diplomazia serba questo impegno non rappresenterebbe un problema rispetto al cammino europeo del paese. Jeremić ha dichiarato: "La Serbia intende diventare membro dell’Unione europea, ma continua a condividere i valori che ispirano l’attività dei Non allineati". Non va tuttavia dimenticato che altri paesi, come Cipro e Malta, una volta divenuti membri comunitari hanno rapidamente abbandonato il movimento.
Oggi nei Non allineati hanno infatti un ruolo di primo piano paesi come Iran e Cuba, di certo non particolarmente benvisti dal blocco euro-atlantico. L’assemblea si è spesso espressa contro gli Stati Uniti e il loro monopolio nelle grandi organizzazioni internazionali, reclamando in particolare la riforma dell’Onu. Al di là delle decise prese di posizione rimane comunque difficile capire quale possa essere il reale peso politico dell’organizzazione in un sistema-mondo certamente multipolare, ma dominato in questo momento da altri attori.
Permangono oggi le difficoltà di coesione e di definizione identitaria che hanno caratterizzato il movimento fin dalla sua origine. Nonostante l’importante ruolo svolto nell’affermazione di principi fondamentali, già negli anni ’60 e ’70 erano presenti difficoltà legate al raggiungimento di una sintesi ideologica che non fosse definita solamente in negativo, in contrapposizione al sistema globale. Nella sostanza il Movimento si presenta soprattutto come un mosaico di rapporti bilaterali che sia economicamente che politicamente faticano a trovare una dimensione omogenea, condivisa da arabi, africani, asiatici e sudamericani. Le contraddizioni e l’immobilismo spinsero, già nel corso della guerra fredda, molti "non allineati" ad avvicinarsi de facto alle superpotenze.
Rispetto all’iniziativa di Tadić e Jeremić non sono mancati commentatori che hanno sottolineato l’anacronismo della mossa politica. "Tadić non è Tito" titolava con enfasi il belgradese "Danas" dopo la proposta lanciata dal presidente ai non allineati. Altri hanno ricordato come la Serbia di oggi non sia la Jugoslavia e come il mondo sia molto diverso da quello degli anni ’60-’70, concludendo che, per queste stesse ragioni, l’idea di affermarsi come ponte tra Est e Ovest risulterebbe poco realista.
La disinvolta politica estera di Tadić sta certamente riaffermando la posizione della Serbia sul piano internazionale ma rischia di rivelarsi infruttuosa proprio per la mancanza del peso politico necessario a capitalizzare questo gioco su più sponde. D’altra parte tale strategia permette certamente di guadagnare consensi in campo interno e di non alienarsi il sostegno delle diverse anime dell’opinione pubblica.
I dubbi sull’effettivo tornaconto di un’operazione dispendiosa, in termini di impegno e di risorse, come quella del 2011, ad esempio, non mancano. E’ tutto da verificare se, al di là della questione del riconoscimento del Kosovo, ciò porterà ad esempio all’apertura di nuovi mercati per l’economia serba. Più coerente sembra lo sforzo diplomatico nello spazio post-jugoslavo, area geopolitica dove le relazioni si stanno gradualmente ricostruendo e all’interno della quale Belgrado può ambire ad un ruolo di primo piano.
Nei giorni scorsi l’Olanda ha preannunciato che potrebbe presto togliere il proprio veto allo sblocco dell’Accordo di associazione e stabilizzazione, anche senza la cattura di Mladić. Ciò porterebbe ad un’importante accelerazione sulla strada che porta la Serbia verso l’Unione Europea. Sarà quindi interessante capire che tipo di evoluzione conoscerà il quadro diplomatico articolato da Belgrado di fronte a questi primi sviluppi concreti nelle prospettive di integrazione.
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