Il ritmo dei bazar
Crocevia culturale ed etnico e luogo d’incontro per eccellenza, la čaršija è anche il luogo dove trovare alcune delle radici più profonde del patrimonio musicale dei Balcani. Una nostra analisi
Ritmi veloci, armonie che fanno ballare anche chi non ne sa proprio nulla di danze tradizionali. Ma anche melodie lente, lamentose, sentimentali. Il patrimonio musicale balcanico va molto oltre il marchio che spiana la strada nel mercato della world music. Al di là della sua versione “esoticizzata”, si tratta probabilmente del risultato più evidente di quel crocevia culturale ed etnico che sono stati per secoli i Balcani.
Si intrecciano infatti in modo organico elementi provenienti dall’est Europa, ritmi turchi, ritmi medio-orientali e qua e là un tocco di musica occidentale. Buona parte di quel patrimonio, come affermano gli esperti, si è sintetizzato nel luogo d’incontro per eccellenza: le čaršije*, i bazar tradizionali.
Ottomani e non solo
Ciò che contraddistingue dal punto di vista musicale i Balcani rispetto al resto d’Europa è proprio la coesistenza di più elementi di natura diversa e anche l’enorme varietà di ritmi: spicca un sapore orientale che accomuna tutti e fa pensare all’Impero ottomano, per secoli uno spazio aperto, senza barriere interne e caratterizzato da continue migrazioni e comunicazione tra i popoli che vi vivevano. Da qui deriva la somiglianza tra le musiche di Paesi diversi – e lingue diverse – ma che fanno parte dello stesso spazio balcanico ex ottomano.
E’ questa la tesi di musicologi come Eno Koço, docente presso l’Università di Leeds, che spiegano fenomeni di comunanza, come quelli ben evidenziati dal documentario “Di chi è questa canzone” (“Ćija je ovo pesma”), con l’influsso ottomano e gli schemi della musica urbana turca e la mutua comunicazione tra popoli e culture, aventi come punto di riferimento Istanbul.
“I balcanici andavano in Turchia, erano in particolare continuamente in contatto con la musica urbana di Istanbul. Poi, una volta rientrati, riproducevano canzoni rispettando gli schemi della musica turca”, afferma il musicologo. Le canzoni – che animano tante discussioni, nel documentario citato, sull’enorme dilemma di “chi ha rubato la musica a chi?” – sono un risultato di tale riproduzione culturale. “Ma non è detto che sia la stessa canzone", precisa Koço, "spesso si tratta di melodie simili, e canzoni diverse, che circolano tra più Paesi. Come il caso preso in considerazione dalla regista bulgara Adela Peeva”.
L’Impero ottomano non si limitava, però, solo ai Balcani e alla Turchia europea, ma comprendeva anche il Medio Oriente, spazio altrettanto aperto a scambi e incontri. E spesso i ritmi balcanici richiamano quelli mediorientali. “Ma questo non è solo legato all’appartenenza comune all’Impero ottomano” sostiene Markelian Kapidani, musicista, che nella sua musica mescola ed elabora ritmi tradizionali. “La simbiosi tra i Balcani e il Medio Oriente è ben precedente all’Impero ottomano, e pare abbia inizio sino dai tempi di Alessandro Magno, poiché questa parte del mondo è sempre stata un crocevia, uno spazio aperto”.
Çarshije, della gioia e del dolore
Nei testi di molte canzoni tradizionali si narra di ragazze che escono nella çarshija, di čaršije immense, di mele delle çarshije, di guerrieri che si incontrano nella čaršija, di corredi da comprare nella çarshija, ma anche di assassini e di ubriachi che, con i loro delitti e scorribande, rimangono per sempre nella memoria delle čaršije. Canzoni di gioia, ritmiche, come l’aheng albanese, dai testi semplici e umoristici, che ironizzano sui rapporti familiari e sociali in città. O canzoni d’amore romantico, con un ventaglio di figure stilistiche dal significato erotico: le donne diventano cipressi slanciati, dal viso chiaro come la luna e gli uomini vigorosi come falchi o uccelli romantici dalle ammirevoli doti canore.
Ma vi sono anche canzoni d’amore doloroso, che mettono in versi l’essenza dell’animo balcanico, il fatalismo e una forte spiritualità, vicende che si dice siano davvero accadute e che hanno ispirato cantanti e musicisti.
Da sevdah, parola turca di origine araba – da cui è possibile che derivi anche la saudade portoghese – sono nate, ad esempio, le sevdalinke delle čaršije bosniache. Rappresentano la sintesi dell’eleganza urbana e del senso artistico ottomano. Sono canzoni intime e discrete. Ma molto difficili da “esportare” poiché non superano le barriere linguistiche: nei testi raccontano vicende che sono importanti da ascoltare quanto la musica e il loro ritmo.
In un’antologia di sevdalinke potrebbe venir racchiuso tanto materiale antropologico quanto in un manuale di storia ottomana e post-ottomana. Un manuale scritto dal basso, de-ideologizzato. Le storie a volte chiare a volte misteriose narrate nelle sevdalinke hanno spesso stimolato scrittori e artisti. Non da ultimo Miljenko Jergović, uno dei massimi scrittori balcanici contemporanei, che in una delle sue opere più interessanti ha ricostruito le storie che sintetizzano alcune tra le più belle sevdalinke di Sarajevo.
Nei bazar nei secoli si sono poi cantate canzoni che hanno caratteristiche prettamente turche. E’ il caso della ćalgija e della musica urbana di Scutari o di Valona, in Albania. Vi sono poi canzoni senza testo. Sono spesso lamenti, come il kabà, musica che esprime lutto e profondo dolore, eseguita con un clarinetto o con un violino. Nata – si dice – da un famoso clarinettista rom da qualche parte nell’Albania meridionale, il quale, afflitto per la perdita della moglie non trovava più né lacrime né parole per piangerla ed esprimeva il proprio dolore con il suono straziante del proprio clarinetto.
La musica, del resto, era parte integrante della vita della çarshija, scorreva tra kafane e piazze. Era qui che si andava a trattare coi musicisti da portare a matrimoni, battesimi o circoncisioni. E i musicisti erano quasi sempre rom e/o ‘Balcano Egiziani’. Molta della comunanza pan-balcanica si deve proprio a loro e alla loro mobilità. Di loro in alcuni Paesi si dice che nascano con il violino in mano. Tuttora i migliori interpreti della musica urbana balcanica appartengono a questa minoranza, la quale, nonostante questo, è largamente bistrattata.
Evoluzione
Non c’è accordo tra i musicologi su quando sia nata la musica urbana ottomana. Le canzoni che fanno parte dell’attuale patrimonio culturale risalgono all’ultimo secolo dell’Impero ottomano, ma sono probabilmente il risultato di lunghe elaborazioni e trasformazioni avvenute di generazione in generazione. E potrebbero essere anche il risultato di una sintesi di elementi ottomani e pre-ottomani. Altri influssi in particolar modo a inizio ‘900, sono stati quelli occidentali, che hanno comportato persino la nascita del genere lirico ottomano, molto praticato in alcune città albanesi.
In seguito, nel corso del XX secolo, questo tipo di musica tradizionale è stato trattato con particolare riguardo anche dai regimi socialisti, in nome della conservazione della cultura nazionale e del patrimonio popolare. Generi certamente sopravvissuti anche in quanto parte dell’identità urbana. Ora è difficile prevedere quale ne sarà il destino. I loro interpreti sono sempre meno, anche se non mancano i giovani che si dedicano a reinterpretare questa tradizione. Ma il mercato regionale sembra non volerne più sapere, preferendo generi più di massa, quale il turbofolk.
* Per facilitare la lettura si è scelto di usare il termine in versione ‘bchs’ (čaršija) nei testi riguardanti la Bosnia Erzegovina e la Serbia; in quelli sull’Albania, l’ortografia albanese (çarshija); invece per i bazar in Kosovo e Macedonia vengono usate indifferentemente entrambe le diciture.
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