Il progetto Salute Zdravstvo, una storia transfrontaliera
Autismo, CUP transfrontaliero, percorsi per gestanti: tra Italia e Slovenia, partendo dalla salute dei cittadini, si è superata la frontiera. Un’intervista
Si è chiuso a fine novembre 2022 il quinquennio che ha gettato le basi di una collaborazione sanitaria fra Italia e Slovenia, e nonostante non poche difficoltà burocratiche e linguistiche il progetto ha ottenuto notevoli risultati in un territorio dove la frontiera non è quasi più percepita dai cittadini. A Maja Radovanović, project manager del progetto Salute Zdravstvo gestito dal Gruppo europeo di cooperazione territoriale GECT (consorzio costituito più di dieci anni fa tra i comuni di Gorizia in Italia e di Nova Gorica e del comune Šempeter-Vrtojba in Slovenia), siamo partiti chiedendole quale sia stata la soddisfazione più grande:
“Il progetto l’abbiamo gestito senza troppi intoppi, se non per l’arrivo della pandemia che ha bloccato molte attività come la ginnastica delle gestanti in piscina e altri incontri di persona. Ma si trattava di un progetto molto lungo e corposo, dal budget di 5 milioni di euro, con numerosi enti pubblici coinvolti da entrambe le parti del confine. Eppure i risultati sono stati tangibili, e soprattutto hanno dato vita ad un percorso che sta proseguendo e proseguirà. Per parte mia, la soddisfazione più grande è stata quella di vedere buoni frutti concreti del confronto: mettendo in dialogo esperti e medici italiani e sloveni, e portandoli a visitare altre realtà come ad esempio la Danimarca e la Gran Bretagna, abbiamo potuto introdurre sul territorio delle pratiche nuove, che hanno migliorato la qualità della vita degli utenti e l’offerta dei sistemi sanitari”.
Il progetto aveva cinque linee di lavoro: CUP transfrontaliero, maternità, autismo, salute mentale e inclusione sociale. Può fare qualche esempio concreto?
L’incontro delle migliori pratiche dei due paesi e il confronto con l’esterno hanno prodotto grandi risultati, non solo in termini umani ma anche di infrastrutture. Quello che mi ha colpito di più è stato un risultato ottenuto sul percorso della gravidanza fisiologica, dove abbiamo introdotto la pratica di incontri a piccoli gruppi con le ostetriche. In Slovenia il termine “ostetrica” corrisponde all’italiano “nonna”, e questo incide anche sulla mentalità: si pensa sempre a una signora in là con gli anni, mentre la figura professionale dell’ostetrica, che può anche essere un uomo, è poco conosciuta e considerata. Grazie ad una pratica importata dalla Danimarca, abbiamo introdotto invece l’abitudine delle gestanti di farsi coinvolgere in incontri prima del parto, dove possono porre domande, chiedere consigli, confrontarsi, partecipare ad un percorso che accompagna al parto. Ecco, questo è uno dei nostri risultati più concreti.
Come hanno risposto i medici e gli esperti che avete coinvolto nei gruppi di lavoro transfrontalieri?
L’obiettivo era riuscire ad avvicinare i due sistemi sanitari senza voler stilare alcuna classifica, ma mettendoli a confronto per farli dialogare e promuovere collaborazioni, scambi, sinergie. E il nostro approccio da esterni ha cercato di facilitare innanzitutto il dialogo. Tutti i medici, le ostetriche, gli psichiatri, gli operatori sociali, hanno messo al primo posto l’utente, il paziente, che in questo nostro territorio attraversato dalla frontiera spesso si muove da sé da una parte all’altra. Il confronto e il dialogo quindi si svolgevano su basi concrete, scientifiche, mediche, tenendo in considerazione i bisogni dei pazienti. L’area territoriale è ristretta, è tutto vicino, ma prima nessuno degli esperti conosceva che cosa avveniva dall’altra parte, anche se magari i pazienti erano già abituati a cercare a Nova Gorica quello che non trovavano a Gorizia.
Si può dire che il progetto è servito a prendere atto di una situazione esistente?
Certo. La mobilità c’era già prima, e noi non abbiamo fatto altro che darle riconoscimento ufficiale, e renderla palese anche alle istituzioni, ai medici, alle strutture ospedaliere. Quei gruppi di lavoro hanno dato il via a uno scambio che non potrà che continuare, e ci auguriamo che arrivino altre infrastrutture sull’esempio di quelle che abbiamo messo in piedi grazie al progetto, tipo la sartoria sociale, la sala attrezzata per gli incontri con i bambini autistici e i due info point nell’ambito dell’inclusione sociale. La frontiera è davvero una linea che nei tre comuni sembra ormai non esistere.
C’è tuttavia qualcosa che non è riuscito come volevate?
Certo. Paradossalmente, le attività che hanno coinvolto persone si sono rivelate più facili da gestire, e i risultati più concreti. Per il CUP invece c’è stata qualche difficoltà. Si tratta del centro unico di prenotazione, che volevamo integrare tra Italia e Slovenia, sviluppando una piattaforma in grado di gestire prenotazioni e ticket riferiti a due sistemi sanitari nazionali, ma con riferimenti locali e regionali diversi e quindi troppo complessi per poter essere integrati. Purtroppo non ci siamo riusciti del tutto: pur funzionando le prenotazioni, c’è qualche intoppo sui ticket e sulla copertura assistenziale, visto che il sistema sanitario sloveno ancora non riesce a dialogare con quello italiano, che per di più funziona su base regionale.
Questa la conferma che al cambiamento rispondono meglio le persone che non le strutture burocratiche?
Sì. Proprio così. Per riuscire nell’intento, avremmo avuto bisogno probabilmente di qualche altro anno… In ogni caso, nella relazione finale che identifica anche lacune e insuccessi, abbiamo indicato questo punto come stimolo di lavoro per il futuro. Vero è che esiste un regolamento europeo che imporrebbe l’uniformità di alcune pratiche, ma purtroppo non viene implementato. Un altro versante di lavoro sarebbe quello delle traduzioni dei referti, mancano ancora i fondi.
Lavorando su un terreno così delicato come quello dei bisogni sanitari a livello transfrontaliero, forse è cambiata la sua idea di frontiera?
Alla fine abbiamo avuto la conferma che, nella percezione della gente che vive qui, la frontiera per lo più quasi scompare: è qualcosa di invisibile, e semmai ce ne accorgiamo quando c’è qualche intoppo, per lo più burocratico. Per quanto mi riguarda comunque penso che vivere al confine sia un privilegio: puoi vivere le cose migliori di entrambe le nazionalità, per me è qualcosa di bello. Un po’ come per questo progetto: il percorso è stato difficile, ma i risultati danno soddisfazione.
Il progetto
A dicembre 2015 la Commissione europea ha individuato l’Investimento Territoriale Integrato (ITI) per lo sviluppo del territorio transfrontaliero dei comuni di Gorizia, Nova Gorica e Šempeter-Vrtojba con un finanziamento totale di 10 milioni di euro (85% FESR, fondo europeo di sviluppo regionale e 15% cofinanziamento nazionale), assegnando al GECT GO il ruolo di Organismo Intermedio (OI). Il GECT GO può agire con competenza sul territorio di entrambi gli stati membri. Oltre al progetto in campo sanitario è stato finanziato anche lo sviluppo del parco transfrontaliero lungo l’Isonzo.
editor's pick
latest video
news via inbox
Nulla turp dis cursus. Integer liberos euismod pretium faucibua