Il professore di geografia che ha detto no al Cremlino
Era un insegnante di geografia, a Mosca. Ma nel parlare della guerra in Ucraina ai suoi ragazzi non ha seguito le linee guida dettate dal Cremlino. E’ stato licenziato ed ha lasciato il paese. La storia di Kamran Manafly
(Pubblicato originariamente dal portale Meduza *)
Kamran Manafly è un insegnante ventottenne di Mosca. O meglio, lo era fino a quando poco tempo fa ha perso il lavoro dopo essersi rifiutato di sottostare alle linee guida statali su come parlare dell’ "operazione speciale militare russa in Ucraina" con i suoi studenti. L’istituto scolastico l’ha licenziato per "comportamento immorale", e un addetto alla sicurezza l’ha in seguito aggedito fisicamente quando ha tentato di recuperare gli effetti personali dal suo ufficio. Dopo pochi giorni il preside lo ha minacciato di farlo processare per "tradimento della patria". Meduza ha parlato con Manafly sia del licenziamento che della conseguente decisione di abbandonare la Russia. Quanto segue è la sua storia, raccontata in prima persona.
Ho ventotto anni e insegno geografia da sette. Ho trascorso gli ultimi due anni presso la scuola numero 498 nel distretto Tagansky di Mosca. Si tratta di una scuola superiore come tante.
Mi sono laureato all’Università Statale Tver. Sono entrato nel dipartimento di geografia perché c’era la possibilità di svolgere un tirocinio all’estero. Quando si è uno studenti del primo o del secondo anno, c’è la possibilità di viaggiare in Europa, e si tratta di una cosa abbastanza insolita, specialmente per l’Università Statale di Tver.
Durante il primo anno del master, ho lavorato con i bambini per la prima volta alle Olimpiadi Internazionali di Geografia. È stato tutto molto interessante. In seguito, ho seguito una formazione pedagogica aggiuntiva e poi sono andato a lavorare in una scuola.
La conoscenza di base che i bambini russi ottengono a scuola penso che sia molto buona. Molti dei libri di testo di geografia e studi sociali sono di alta qualità. In molte scuole si respirava una certa libertà. Dopotutto, nessuno sa cosa accade in classe una volta che la lezione inizia. Ovviamente, ogni insegnante può sviluppare il pensiero critico degli studenti e insegnare a modo suo.
Alcuni anni fa, come altri insegnanti, ho lavorato ai seggi elettorali. Il mio lavoro consisteva nel mostrare alla gente dove andare a votare. Altri hanno invece lavorato direttamente con le schede elettorali. I colleghi di altre scuole mi hanno detto che i conti non tornavano, e di come hanno chiuso i seggi elettorali e fatto uscire tutti i presenti per poi riscrivere tutto. In una riunione prima delle elezioni, il nostro principale ci ha anche detto: "Votate per Russia Unita!", ma non ci hanno fatto fotografare le schede elettorali come hanno invece fatto in altre scuole.
Dopo il 24 febbraio [quando la Russia ha lanciato un’invasione su larga scala dell’Ucraina] tutto è diventato molto più rigido. Non riconoscevo nemmeno più dai loro comportamenti chi gestiva la scuola. Ci hanno inviato delle linee guida sull’"operazione speciale", come la chiamano, sulle origini del conflitto, e così via. Avremmo dovuto raccontare e mostrare tutto questo ai bambini. Naturalmente, mi sono rifiutato. [Non ci sono stati problemi in un primo momento], come ho già detto, dal momento che non controllavano cosa effettivamente veniva fatto in classe.
Ma pochi giorni dopo l’inizio della guerra, [i funzionari a capo della scuola] hanno riunito tutti gli insegnanti e ci hanno detto che non era permesso manifestare le nostre opinioni, dal momento che siamo "dipendenti dello stato". Questa frase mi ha davvero colpito. Non credo che i lavoratori statali dovrebbero essere servi dello stato. Ci hanno detto che dovremmo parlare ai bambini solo secondo queste linee guida, e che Dio vieta che chiunque esprima un’opinione personale. E questo pure mi ha colpito. Per legge, le scuole dovrebbero essere un terreno neutrale, mentre qui ci stanno costringendo a fare propaganda.
Come ogni persona rispettabile con una coscienza o senso di compassione ed empatia, io stesso sono contro la guerra. Questo è ciò che insegniamo ai nostri figli, dopotutto. Valorizzare la vita umana sopra ogni altra cosa. È la missione della scuola essere propulsione di pace.
Fin dall’inizio [della guerra], i bambini mi correvano incontro nei corridoi facendomi domande. Volevano sapere cosa stava accadendo e quali erano questi due nuovi paesi [le auto-proclamate repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk, che ora la Russia riconosce]. Accadevano questo tipo di cose. In un modo o nell’altro, la guerra saltava fuori durante le lezioni, e penso che sia proprio per questo che ci hanno mandato tutte quelle linee guida. Ho cercato di rimanere neutrale e spiegare la situazione senza schierarmi politicamente. Ho detto che molte cose stavano andando male, ma ho detto ai bambini di trarne le conclusioni da soli. I giovani di oggi sono stupendi; sono molto più amanti della pace rispetto alle generazioni più anziane. Non capiscono affatto perché qualcuno dovrebbe andare laggiù e uccidere altre persone.
L’8 marzo ho postato una foto su Instagram, dove ho scritto che dobbiamo vivere in modo da non essere tormentati dalle nostre coscienze. Ho delle mie opinioni personali, che non coincidono con quelle dello stato. Non mi sono addentrato in alcuna questione politica specifica, e non ho mai usato la parola "guerra". In seguito la preside della scuola, Tamara Gordzeiko, mi ha convocato e mi ha detto di cancellare il post. Come sempre, si trattava di un ordine, non una richiesta. Quando ho rifiutato, ha detto che mi avrebbe licenziato.
Il giorno dopo, sono andato a scuola per salutare i ragazzi e raccogliere i miei effetti personali. Su ordine della preside, c’erano dei sorveglianti all’ingresso che si sono rifiutati di farmi entrare. I ragazzi mi hanno visto proprio in quel momento, hanno letto il mio post su Instagram e hanno capito tutto.
I funzionari della scuola hanno chiamato la polizia, che infine mi ha scortato all’interno per recuperare le mie cose. Ero già un emarginato: tutti i dipendenti della scuola distoglievano lo sguardo e non mi salutavano nemmeno, per essere sicuri di non dare l’impressione di conoscermi, Dio non voglia!
Nel pomeriggio ho avuto bisogno di tornare nell’edificio. Mentre stavo camminando lungo uno dei corridoi, una delle guardie private della mattina mi ha aggredito. Ha urlato oscenità contro di me e poi ha iniziato a picchiarmi. Sono riuscito a tirare fuori il telefono e accendere la videocamera. Quando se ne è accorto, si è calmato un po’. Ma ho presentato comunque una denuncia alla polizia.
Questo è successo intorno alle quattro. I bambini avevano già lasciato la scuola, ma c’erano ancora molti insegnanti presenti che hanno visto cosa stava accadendo. Si sono immediatamente spostati nei loro uffici per evitare di aiutare o intervenire. Questo è quello che mi ha depresso di più. Nessuno ha detto una parola. O hanno paura o sostengono questa linea. Su 150 persone che lavorano nella scuola, solo una persona – una giovane donna che è anche lei un’insegnante – mi ha contattato per confortarmi.
Il giorno dopo, la preside mi ha detto che non avrebbe permesso che mi dimettessi, dicendo che mi avrebbe invece licenziato per aver organizzato una manifestazione che includeva dei minori. Con questo si riferiva al fatto che [dopo essere stato informato circa il mio licenziamento] mi sono permesso di scattare alcune foto fuori dalla scuola insieme ai miei ex studenti. Alla fine, mi hanno licenziato per "comportamento immorale".
In seguito, ho contattato "Uchitel", il sindacato indipendente degli insegnanti, e abbiamo iniziato a mettere insieme i documenti per contestare il mio licenziamento in tribunale. Ma poi è successo qualcosa di veramente spiacevole, e ho deciso di abbandonare il paese: la preside della scuola, Tamara Gordzeiko, ha riunito tutti gli insegnanti per parlare di me. All’incontro [gli amministratori della scuola] hanno mostrato alcune fotografie personali che avevo pubblicato su Instagram dagli Stati Uniti e da un viaggio alla Corte Europea dei Diritti Umani, e hanno condiviso queste foto in gruppi chat gestiti dai genitori degli studenti, costringendo i bambini a cancellare i commenti di supporto sotto il mio post e minacciando di segnalarli al dipartimento di delinquenza minorile della polizia.
Hanno raccontato a tutti le più banali, ridicole storie dell’orrore riguardo al fatto che io sarei un agente del Dipartimento di stato statunitense, su come l’Occidente mi finanzi e su come avrei degli affari collegati con l’Occidente. Poi il preside ha detto che avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per farmi sbattere in prigione per 15 anni, perché sono un "traditore della madrepatria" e persone come me dovrebbero stare dietro le sbarre. Lei è una deputata di Russia Unita al consiglio comunale locale, quindi le sue parole mi hanno innervosito. E dopo che la mia storia ha iniziato a circolare, avrebbero potuto incastrarmi per qualsiasi cosa.
Non ho ancora deciso quale sarà la mia prossima destinazione. In questo momento sono in una fase transitoria, ma molto probabilmente opterò per un paese occidentale. Spero tanto che sarò in grado di insegnare in un altro paese, ma in questo momento voglio solo andare in un posto sicuro e trovare un po’ di pace. Dopo una buona notte di riposo, inizierò a pensare a cosa fare. Idealmente, mi piacerebbe continuare a lavorare e crescere.
Penso che la situazione dell’istruzione in Russia non farà che peggiorare. Appena quattro anni fa il preside precedente mi aveva concesso un viaggio pagato attraverso l’Europa e l’America per frequentare vari progetti pedagogici. Ora è diventato tutto inutile. La repressione è peggio che mai, il sistema educativo è sempre più soggiogato ad un regime totalitario. C’è più controllo sui bambini, più controllo su ciò che imparano e su ciò che leggono. Hanno introdotto lezioni in classe in tema di social network, spiegando quali è possibile utilizzare e quali non si dovrebbe. Il sistema scolastico sta cercando di dettare le regole della vita ai ragazzi.
Sono in contatto con insegnanti di altre scuole, e un collega mi ha detto che loro sono costretti a indossare i nastri di San Giorgio a forma di lettera Z. Ovviamente, ci sono insegnanti che resistono, ma iniziano immediatamente a subire pressioni. Se in passato agli insegnanti era permesso di avere le proprie opinioni, ora non è più così.
* Articolo originale pubblicato sul sito indipendente russo Meduza – è possibile sostenere il sito tramite questa pagina .
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