Il porto delle nebbie
Grandi affari attorno ai moli fluviali di Belgrado: un faraonico progetto immobiliare firmato da due archistar, il riemergere del passato con la svendita a privati dei beni di Stato nell’era Milosević, le denunce dei piccoli azionisti. Il Consiglio serbo per la lotta alla corruzione mette il dossier in mano ai giudici
Svolta d’inizio estate per le inchieste sulle privatizzazioni in Serbia. Il Consiglio per la lotta alla corruzione, ente governativo creato dal governo Đinđić nel 2001, e la sua presidente Verica Barać, hanno deciso, ai primi di giugno, di cambiare metodo.
Visto che i dettagliati report che il Consiglio stilava su alcuni controversi casi di privatizzazione di aziende statali non portavano a nulla. E visto che l’esistenza stessa del Consiglio era messa in dubbio in ogni occasione, la Barać si è rivolta direttamente ai giudici. A partire da un dossier: quello sulla vendita del Porto di Belgrado.
Privatizzazione pilotata, un regalo da 21 milioni di euro
Il Consiglio ha denunciato così alla Procura Speciale contro il crimine organizzato 17 persone per danno all’erario pari a 21 milioni di euro. Per l’accusa, il governo avrebbe venduto le sue azioni del porto fluviale di Belgrado (40%) a soli 9 euro l’una, un prezzo risibile rispetto ai 23 euro del valore reale. Così lo Stato avrebbe danneggiato 4.000 piccoli azionisti, costretti a vendere alla stessa cifra.
“Nell’azione illegale sarebbero coinvolte istituzioni e funzionari statali, per aver ceduto il 40% delle azioni del Porto fluviale della capitale serba, di proprietà dello Stato, ad imprenditori potenti – ha spiegato Verica Barać al quotidiano Blic – abbiamo presentato prova diretta dei legami tra grande capitale, criminalità organizzata e potere politico in Serbia”.
Tempo due giorni ed è stata querelata dallo stesso Porto di Belgrado per “insinuazioni” e danni causati “da una campagna pubblica compromettente”. Lo scontro è cominciato.
Nell’affare i due maggiore tycoons serbi?
Il Porto di Belgrado fu acquistato a settembre 2005 dalla società lussemburghese Worldfin, creata pochi mesi prima della transazione – secondo gli atti in mano al Consiglio anticorruzione – con appena 31.000 dollari di capitale. Per acquistare il Porto pagò però circa 40 milioni di euro. Da dove venivano quei soldi? E perché gli organi competenti non se lo chiesero?
Titolari della società Wordfin – sempre secondo il Consiglio presieduto dalla Barac – sarebbero al 50% Milan Beko e, per la quota restante, l’attuale presidente del Porto di Belgrado Ivana Veselinović, ex vice presidente della Delta Holding, e i figli di Milorad Mišković, Marko e Marija.
Dunque fin dall’inizio i due tycoon serbi per eccellenza, Mišković e Beko, sarebbero stati dietro l’acquisto del porto della capitale?
Sarebbero stati loro i ‘potenti imprenditori’ che lo Stato intendeva favorire a spese dei cittadini?
Per ora al Porto negano: “La compagnia è stata rilevata da un fondo di investimenti in Lussemburgo”.
Il capitale di Subotić
Ma a marzo 2010 erano arrivate clamorose rivelazioni da Stanko Subotić detto “Cane”, ritenuto il re del contrabbando di sigarette nei Balcani e inquisito in Serbia.
Dalla sua latitanza dorata in Svizzera aveva telefonato ad una nota trasmissione di B92 e mandato un segnale.
Dichiarò infatti, tra le altre cose, di aver fornito lui a Mišković e Beko i 50 milioni di euro per comprare il Porto di Belgrado e il quotidiano Večernje Novosti.
La Procura contro il crimine organizzato annunciò che si sarebbe occupata della vendita del Porto.
I piccoli azionisti denunciano la svendita
Ma il Porto, oltre al Consiglio anticorruzione, ha anche un secondo fronte aperto: già da qualche anno 1.300 ex piccoli azionisti, rappresentati da Miloš Milovanović, gli hanno fatto causa. “La privatizzazione del porto è avvenuta ad un prezzo di favore – spiega Milovanović ad Osservatorio, ricordando che fu aggiudicato per 40 milioni di euro quando ne valeva 90 – pensiamo che il governo abbia venduto al di sotto del minimo consentito dalla legge, fissato dall’Istituto di Scienze Economiche di Belgrado a 1.774 dinari per azione. Noi invece vendemmo a 800. Ma la stima di 1.774 dinari la conoscevano tutti gli organi governativi competenti: il ministero per la Privatizzazione, il Fondo per le Azioni, l’Agenzia per la privatizzazione, e la Commissione per il valore dei Titoli. Ora negano, ma noi ne abbiamo le prove”.
Quanto affermato da Milovanović potrebbe avere riscontri nella realtà se è vero, come riportano i giornali, che fra i 17 possibili indagati nel procedimento giudiziario che ha preso avvio dalla denuncia del Consiglio anticorruzione ci sarebbero l’uomo d’affari Milan Beko, l’ex ministro per la Privatizzazione Predrag Bubalo (DSS), il presidente della Commissione per il valore dei Titoli Milko Štimac, il direttore del Fondo per le Azioni Aleksandar Gračanac, il presidente del Consiglio di Sorveglianza del Porto Danijel Cvijetićanin, il direttore dell’agenzia di privatizzazione Miodrag Ðorđević.
La terra e la Città d’acqua, appalto da 7 miliardi di euro
L’acquisto del Porto fu un affare non solo per il presunto prezzo di favore, ma anche per l’eventuale cambiamento della destinazione d’uso dei terreni ad esso connessi, tra i più pregiati della città: sulla riva del Danubio, a due passi dal centro. Per intendersi 2,5 ettari venduti alla compagnia israeliana Engel, poco distanti, a Marina di Dorčol, sono stati pagati 30 milioni di euro. Sull’area del Porto inoltre c’è oggi una causa in corso con la città di Belgrado: sul sito internet istituzionale, il Porto registra un’estensione di 198 ettari, ma la municipalità di Belgrado sostiene che almeno 117 di questi vanno restituiti alla città.
Il Porto intanto rilancia. Ha ingaggiato due firme dell’architettura mondiale come Jan Gehl e Daniel Libeskind per progettare nei propri 107 ettari un complesso residenziale futuristico, la “Città sull’acqua”: nuovo quartiere per 25 mila abitanti, uffici e aree verdi. Un’operazione da 7 miliardi di investimenti, che darebbe lavoro a 44 mila persone. Ovviamente significherebbe cambio di destinazione d’uso dell’area, da industriale a residenziale, anche se secondo il Piano Urbanistico della capitale la presenza del porto è prevista almeno fino al 2021.
Belgrado, da scalo merci a porto turistico sul Danubio?
“Il sospetto è che la compagnia del porto stia mettendo in secondo piano le attività sui moli per dimostrare che per il trasporto merci bastano gli scali fluviali di Pančevo e di Novi Sad” indica ad Osservatorio una fonte del Consiglio Anticorruzione.
Sempre Milovanović, ex direttore del porto tra l’84 e il ’95, ricorda che all’epoca il traffico era di un milione di tonnellate l’anno. Oggi viaggia sulle 400 tonnellate, mentre a Pančevo e Novi Sad si superano le 700.
Di fatto il Porto belgradese oggi vive dell’affitto dei magazzini ed in parte del molo turistico, sul quale sono stati investiti 2 milioni di euro, per potenziarne la capacità di accoglienza di navi da crociera. Per il resto si attende il via ai lavori per il progetto residenziale.
Porto e grande distribuzione, l’inchiesta ricostruisce la scalata al potere
Nello stesso anno in cui venne venduto il Porto, ci fu un’altra privatizzazione. C-Market, la più grande catena di supermercati serba, veniva rilevata dalla Novafin, società lussemburghese domiciliata allo stesso indirizzo della Worldfin, la stessa che ha acquistato il Porto. Dietro la Novafin ci sarebbe stato direttamente Milan Beko. Anche su questa vendita il Consiglio anticorruzione sta preparando una denuncia. Secondo Verica Barać, l’operazione sarebbe frutto di un "accordo segreto" tra gli imprenditori Danko Đunić, Miroslav Mišković, Milan Beko e l’ex direttore del C-Market Slobodan Radulović. L’allora primo ministro Koštunica avrebbe benedetto l’intesa.
“È con l’affare del C-Market e con quello del Porto di Belgrado che Mišković e Beko sono diventati quello che sono – ha dichiarato ad Osservatorio Balcani e Caucaso una fonte vicina al Consiglio della lotta alla Corruzione – Prima si facevano la guerra. Con questi due affari hanno siglato la pace”. Il C-Market venne infatti ceduto alla Delta Holding, che lo inglobò nella sua catena dei supermercati “Maxi”, creando un vero colosso della grande distribuzione.
Colpo di scena finale. Una settimana fa, Beko è riapparso in pubblico con una lunga intervista alla rivista Ekonomist, nella quale oltre a togliersi qualche sassolino dalla scarpa nei confronti di molti politici, ha negato qualsiasi atto illegale nell’acquisizione del Porto di Belgrado, del C-Market e del Novosti. Per poi aggiungere: “Non ancora, ma sono sulla buona strada di pentirmi di aver comprato il Porto di Belgrado, perché la Serbia è un paese scoraggiante”.
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