Tipologia: Intervista

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Il Ponte di Omer Karabeg

Da oltre 20 anni Omer Karabeg conduce una trasmissione titolata Most (Ponte). Si occupa di temi scomodi e spinosi, con l’obiettivo di far dialogare persone con punti di vista differenti

29/12/2016, Luka Zanoni -

Da molti anni lei lavora con Radio Free Europe dove cura una particolare trasmissione radiofonica, della quale poi vengono pubblicate anche le trascrizioni. Ci può spiegare di cosa si tratta?

La trasmissione si chiama Most (Ponte) e io unisco persone dell’ex Jugoslavia: Serbia, Bosnia Erzegovina, Montenegro, Kosovo, Macedonia. Si tratta generalmente di politici, impiegati pubblici, scienziati, artisti, e io li unisco facendoli dialogare. Scelgo dei temi di importanza regionale e creo dei dialoghi.

A volte si tratta di polemiche, anche molto forti. Per esempio prendo due nazionalisti, uno della Serbia e uno della Croazia oppure uno della Bosnia e uno di Belgrado e parliamo di temi tra i più delicati, come per esempio la cosiddetta Grande Serbia, il rapporto fra croati e serbi, chi è responsabile per la guerra, ecc. Ci sono tantissimi temi sui quali non saranno mai d’accordo, ma per me la cosa importante è il dialogo. Che le persone sentano gli argomenti altrui, perché di solito i nazionalisti non vogliono ascoltare gli argomenti altrui, ascoltano soltanto le persone che la pensano come loro.

Alcuni non accettano nemmeno di partecipare alla trasmissione, semplicemente non vogliono dialogare con un’altra persona. Altri invece accettano. Non devono per forza andare d’accordo, ma la cosa importante è ascoltare anche l’altra parte. Conoscete quel detto latino audiatur et altera pars (si ascolti anche l’altra parte)? Ecco, io credo che questo lasci qualche traccia.

Possiamo dire che il suo lavoro ha contribuito a dei cambiamenti sociali?

No, non credo che abbia contribuito a cambiamenti sociali. Per me è importante che si parli di temi spinosi, difficili. Sono più di vent’anni che costruisco questo “Ponte” (Most), ma non mi illudo di essere riuscito a riappacificare le persone.

È accaduto però che grazie a me si sia instaurato un primo contatto tra persone di opinioni molto differenti tra loro. Penso a quando è iniziata Most. Era il marzo 1994, in piena guerra. E in effetti Most aveva la funzione di unire le persone oltre la linea del fronte. Riuscivo davvero a creare un dialogo fra le persone.

Durante la grave crisi tra Serbia e Kosovo sono riuscito a creare un dialogo fra Mihailo Marković, il famoso filosofo serbo di fama internazionale nonché ideologo del Partito socialista della Serbia di Milošević, e Fehmi Agani l’ideologo del partito di Rugova. Sapevo che Fehmi Agani avrebbe accettato perché di fatto era membro di un partito che era stato posto al bando, ma non credevo che accettasse anche Mihailo Marković. Ma siccome era un filosofo, di orientamento liberale, anche se di fatto difendeva la posizione di Milošević e accettava la sua politica, alla fine ha accettato di partecipare. E ne è scaturito un dialogo molto interessante. Credo sia stato il primo dialogo fra un alto funzionario serbo e un alto funzionario kosovaro-albanese. Sono molto contento di aver fatto quella trasmissione.

Cos’è cambiato o cosa non è cambiato nei rapporti fra i paesi della regione, in particolare fra la Serbia e la Croazia?

Credo che non sia cambiato nulla. C’è stata la guerra, ora non c’è più grazie a dio e questa è un’ottima cosa, ma non c’è nessun progresso nei rapporti. Guardiamo a Serbia e Croazia, si tratta di rapporti sempre sulle montagne russe. Credo che i rapporti migliori siano stati quando alla presidenza della Croazia c’era Ivo Josipović e il presidente della Serbia era Boris Tadić. A quel tempo risalgono le famose passeggiate a Opatija “senza cravatta”, e loro in un certo senso hanno davvero avuto dei sentimenti amichevoli l’uno verso l’altro.

Ovviamente erano molti in Serbia a non appoggiare quello che faceva Tadić come in Croazia non appoggiavano quello che faceva Josipović, ma i due presidenti erano riusciti davvero a normalizzare i rapporti fra i due paesi. Poi però sono arrivate altre persone.

Con Tomislav Karamarko in Croazia e Ivica Dačić in Serbia questi rapporti hanno raggiunto i livelli più bassi e tutt’ora sono a questo livello. Adesso che è arrivato Andrej Plenković (primo ministro della Croazia) magari miglioreranno i rapporti fra lui e il premier serbo Vučić. Lo spero ma non confido in grandi progressi.

Quindi tutto dipende dai politici che sono al potere?

Ma certo che dipende dai politici. Ad eccezione dei nazionalisti disgustosi, non c’è odio fra la gente, le persone non si odiano sul serio. Ho condotto dialoghi fra veterani di guerra, parlo di persone che hanno combattuto, che si guardavano attraverso il mirino del fucile, combattenti dell’Armija della Bosnia Erzegovina e i combattenti dell’esercito della Republika Srpska.

Loro oggi si sentono traditi. Loro, che erano sulla prima linea del fronte, che sono stati feriti, che sono rimasti invalidi, hanno avuto la peggio. Ma loro, che si sparavano gli uni contro gli altri, saranno i primi a riappacificarsi, saranno in grado di mettersi d’accordo prima di questi politici al potere. Perché i politici hanno tutto l’interesse nell’alimentare il nazionalismo, perché è ciò che li mantiene al potere. Alla gente in Bosnia Erzegovina loro non hanno nulla da offrire tranne il nazionalismo, non sono in grado di offrire una vita migliore.

Quest’anno 80.000 persone son andate via dalla Bosnia Erzegovina. Non si tratta delle persone che erano andate via durante la guerra, che erano andati via dall’inferno perché erano state torturate, perché erano state nei campi di concentramento, ecc. Loro non torneranno mai. Oggi stanno andando via i giovani che non hanno vissuto tutte queste cose, ma sono persone che qua non vedono alcuna prospettiva.

Cosa pensa della situazione dei media della regione?

Credo che la situazione migliore sia nella Federazione di Bosnia Erzegovina, ma non certo perché là c’è più democrazia, è solo perché ci sono più persone che controllano i media. Così è difficile che una notizia venga insabbiata o nascosta.

La situazione peggiore è in Republika Srpska perché Milorad Dodik controlla l’80% dei media ed anche in Serbia, dove è Aleksandar Vučić che controlla l’80% dei media.

In Croazia andava male quando c’era Tomislav Karamarko, adesso va un po’ meglio. Ma la televisione del servizio pubblico resta pessima, è sempre dalla parte del governo.

Io vivo in Repubblica Ceca, lì ci sono due canali del servizio pubblico: uno politico e l’altro esclusivamente culturale, e solo due televisioni private. In Serbia ce ne sono cinquecento.

Sulla tv della Repubblica Ceca quando c’è il primo ministro, le giornaliste lo bombardano di domande, non gli lasciano finire la risposta. In Serbia quando c’è Vučić, è lui che tiene la lezione ai giornalisti, è lui che fa le domande scomode.

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