Il nuovo Islam balcanico
Intervista a Nathalie Clayer, curatrice con Xavier Bougarel del libro: Le nouvel Islam balkanique, (2001), Maisonneuve e Larose. Nathalie Clayer è ricercatrice del CNRS Laboratorio di studi turchi ed ottomani di Parigi,
–Quale è stato il rapporto tra Islam e politica nei Balcani nel corso degli ultimi dieci anni?
Le conclusioni che tracciamo nel libro circa le relazioni tra l’Islam e la politica nei Balcani sono che sul piano politico locale vi è chiaramente un passaggio al politico delle popolazioni musulmane balcaniche. Il che vuol dire che diventano degli attori a pieno titolo del contesto politico locale, in ciascun paese ed in ciascuna regione. Questo significa che se prima c’era partecipazione, questa era di tipo personale o su un modello clientelare tradizionale, ora invece abbiamo la formazione di partiti politici ed una partecipazione al gioco politico di queste popolazioni musulmane. D’altra parte è una partecipazione che si realizza in modo molto diverso secondo i contesti locali e nazionali e si assiste anche ad una grossa frammentazione sul piano etnico e politico. L’altro fenomeno importante sul piano locale è la ricomposizione del rapporto tra identità nazionale ed identità religiosa. In questo ambito assistiamo a trasformazioni importanti che si sono prodotte negli ultimi dieci anni, e se in alcuni casi abbiamo un’islamizzazione dell’identità nazionale, per lo più abbiamo al contrario una ‘nazionalizzazione’ dell’identità musulmana. Ovvero, piuttosto che tendenze pan-islamiche abbiamo invece un ancoraggio locale e nazionale dell’identità musulmana e quindi abbiamo la formazione di un Islam bosniaco, uno albanese del Kosovo, uno dell’Albania, uno turco, etc.
–Quale è stato il peso del mondo musulmano esterno ai Balcani sulla sfera pubblica locale?
Certamente vi è un’apertura di queste popolazioni, come per altro accade alle popolazioni cristiane, verso il mondo esterno ma per i musulmani questa apertura è più importante sul piano religioso che sul piano politico, perché anche le popolazioni musulmane sono estremamente orientate verso l’occidente, emigrano in occidente e prendono molti valori dell’occidente. E’ soprattutto sul piano strettamente religioso che il peso del mondo musulmano esterno è molto importante. Anche se sul piano politico può aver giocato un ruolo, come nel caso dell’Albania l’adesione alla Conferenza Islamica all’epoca di Sali Berisha, le logiche sono più spesso stato-nazionali che logiche pan-islamiste, ovvero quelle che corrispondo all’idea della Ùmma (1) unita che funziona come blocco. Inoltre, ciascuno dei paesi islamici, sia a livello di gruppo ma anche nel caso delle reti islamiche transnazionali, ha una logica propria ed intesse relazioni particolari con i musulmani dei Balcani. Come conseguenza, si assiste ad una competizione dei vari attori extra-balcanici sul campo, con delle logiche che rispondono più ai paesi di origine che alle esigenze della situazione locale. Questo aspetto è esaminato approfonditamente nell’articolo di Jerome Bellion-Jourdan che descrive come nei Balcani si ritrovi il conflitto tra l’Iran e l’Arabia Saudita per la supremazia nel mondo musulmano, il conflitto tra il potere egiziano e l’opposizione dei Fratelli Musulmani e la competizione tra diverse ONG islamiche basate in occidente. Perché va notato, molti attori islamici vengono spesso non da Est ma dall’Ovest, ovvero dalla diaspora nell’Europa occidentale o negli Stati Uniti.
–Vi sono somiglianze nell’azione tra le ONG islamiche e quelle occidentali?
Certamente vi sono somiglianze nei problemi che pone l’azione delle ONG, siano esse islamiche o meno. Inoltre, le ONG islamiche tendono ad imitare nel modo di procedere le ONG occidentali, le quali agiscono spesso per logiche proprie e che non sono necessariamente legate al campo balcanico stesso. La differenza è che le ONG occidentali sono nell’insieme più secolarizzate, ma all’origine l’umanitario occidentale era anch’esso legato ai movimenti religiosi. Oggi la loro parte secolarizzata è maggiore rispetto a quella delle ONG islamiche che tendono a mischiare umanitario e azione religiosa, ma vi sono anche ONG islamiche che cercano di porsi sul piano più secolare, così come vi sono casi di cooperazione tra ONG islamiche e quelle occidentali o delle prime con le organizzazioni internazionali per la realizzazione di progetti comuni.
–Si può parlare di un’influenza esterna nella concezione dell’Islam balcanico?
Sì certamente, quello che si deve mettere in luce nell’evoluzione della scena religiosa degli ultimi dieci anni è la sua profonda trasformazione, influenzata in gran parte da gruppi e movimenti che arrivano nei Balcani da paesi stranieri ma anche, non va dimenticato, attraverso i cittadini dei Balcani che studiano all’estero nei paesi musulmani o della diaspora in contatto con gruppi islamici. La scena è molto cambiata, ovvero non si ha un ritorno all’Islam di prima del comunismo ma una nuova scena religiosa con, ad esempio, lo sviluppo di un Islam wahabita e salafista, che tocca per ora una frangia ristretta ma molto giovane ed attiva. Allo stesso tempo ci sono influenze di diversi altri gruppi, come le confraternite che vengono dalla Turchia o da gruppi sciiti che vengono dall’Iran o dalla diaspora. La scena religiosa in ogni caso sta cambiando significativamente.
–Tra le caratteristiche dell’Islam balcanico descritte nel libro si fa riferimento alla individualizzazione del modo di vivere la fede. A cosa è dovuta e in che rapporto sta con le influenze esterne?
L’individualizzazione della fede è più che altro risultata dal fatto che queste popolazioni hanno vissuto 4 o 5 decenni di regimi comunisti, di modernizzazione, di occidentalizzazione quindi direi che l’individualizzazione all’origine viene più che altro da queste trasformazioni locali. Accade poi che il fedele, o colui che lo diviene, oggi si trovi di fronte ad una scelta ampia di come esprimere e praticare la propria fede attraverso l’adesione a diversi gruppi religiosi, musulmani o meno. Ad esempio, in Albania si verifica un fenomeno non trascurabile di conversioni, o diciamo adesioni, di giovani di origine musulmana a chiese protestanti, cattoliche o ortodosse. Quindi l’influenza o la presenza di diversi gruppi religiosi stranieri, musulmani o non, permette o rende concreta questa individualizzazione della religione che si esprime nelle scelte differenti che sono fatte spesso da individui che provengono dalle comunità musulmane dei Balcani.
–Quanto è forte l’adesione a gruppi islamici radicali nei Balcani?
L’adesione a correnti radicali è ancora una cosa molto marginale, si produce soprattutto tra i giovani che attraverso di essa tendono ad esprimere la loro diversità generazionale, la loro volontà di sganciarsi da gerarchie religiose spesso molto nazionaliste o legate al potere politico. Quindi si tratta di una contestazione generazionale e delle gerarchie ufficiali, ma credo sia ancora un fenomeno marginale.
–Questa radicalizzazione dei giovani può essere interpretata come una volontà di ‘moralizzazione’ della vita pubblica attraverso la religione?
Sì certamente, questo è un tema che torna frequentemente oggi negli ambienti religiosi musulmani: si cerca una soluzione ai problemi della società albanese attraverso il rispetto della religione. Con il cambio di guardia politico, dopo la crisi del 1997 in Albania, c’è stato anche il rifiuto dello stesso presidente Sali Berisha, considerato un cattivo musulmano che ha utilizzato l’Islam e non ha promosso l’Islam vero. Ho trovato su un forum internet delle prese di posizione radicali circa il posto dell’Islam nella vita delle persone del tipo: ‘io sono musulmano ed il mio sangue è l’islam’, il che significa anche rifiuto dell’identità nazionale per definirsi in primo luogo come musulmano.
–Si tratta di un atteggiamento minoritario?
Sì assolutamente. Si tratta di una esigua minoranza.
–Si trovano fenomeni simili negli altri paesi dei Balcani?
Conosco meno il caso della Bosnia-Erzegovina ma sembra che ci siano dei fenomeni abbastanza simili. Anche qui gli ambienti radicali devono essere cercati tra i giovani. In particolare c’è un gruppo chiamato ‘L’Organizzazione della Gioventù Islamica’ che si è svincolata sia dalle autorità religiose che dalle autorità politiche, come quella rappresentata da Alija Izetbegovic. Questo gruppo, ad esempio, è orientato ad una vera re-islamizzazione della società bosniaca.
–Le istituzioni cattoliche come quelle ortodosse dei vari paesi si sono mostrate molto attive nella sfera pubblica sul tema dell’introduzione della religione nelle scuole. Abbiamo tra le comunità musulmane dei Balcani atteggiamenti simili o no?
Tutti gli attori religiosi che siano musulmani, cattolici o ortodossi, tutte le ‘chiese’ o gerarchie religiose sono a favore dell’introduzione della religione nelle scuole. Lo vediamo anche in Kossovo dove i rappresentati della comunità musulmana come di quella ortodossa stanno domandando alle autorità internazionali, all’UNMIK, di introdurre l’insegnamento religioso nelle scuole. Direi che è il ‘lavoro’ delle autorità religiose adoperarsi perché la religione prenda più posto nello spazio pubblico.
–D’altra parte queste autorità operano in un contesto in cui la maggioranza delle popolazione non è molto favorevole a questa idea o sbaglio?
Sì è vero. Soprattutto finora non ha funzionato perché le autorità politiche non hanno voluto andare in questa direzione. Alcuni anni fa, ad esempio, era stata presentato una mozione in questo senso da un piccolo gruppo di deputati albanesi di Macedonia, la cui comunità musulmana albanese è molto attaccata alla religione, molto più che in Kossovo o in Albania, eppure la maggioranza dei deputati albanesi ha votato contro. La questione è che le élite politiche, e questo è un punto su cui insistiamo nel libro, sono nate praticamente in tutti i casi dagli ambienti politici dell’epoca comunista e, sebbene abbiano la tendenza a strumentalizzare la fede, sono generalmente poco religiose.
–Fino a che punto nei Balcani le organizzazioni islamiche forniscono ai cittadini servizi che non sono più offerti dallo stato (scuole, ospedali, etc.)?
È vero che nei Balcani istituzioni e ONG religiose, musulmane o no, accanto all’azione propriamente spirituale operano spesso con interventi umanitari, educativi, etc. Nell’ambito dell’umanitario in Albania, ad esempio, ciascuna comunità religiosa ed i vari attori che intervengono in campo religioso hanno aperto degli ospedali, delle scuole, dei dispensari e quindi hanno un impatto importante sulla società.
–Anche con una popolazione per la gran parte secolarizzata? Si tratta di un atteggiamento strumentale?
Effettivamente questa è la domanda che ci possiamo porre: questa azione sociale ed a volte economica degli attori religiosi può avere impatto anche sul piano puramente religioso? Io risponderei in certi casi sì mentre in altri no. A volte la popolazione attua una forma di doppio gioco, e sembra affiliarsi a gruppi religiosi per ricevere dell’aiuto ma senza ‘convertirsi’ realmente. Ovvero c’è della strumentalizzazione da parte della popolazione che in primo luogo cerca di sopravvivere. Ovviamente non è per il fatto di recarsi in un ospedale finanziato dai sauditi o dalla comunità ortodossa che si aderisce alla dottrina religiosa di questa istituzione, anche se queste fanno pressione perché ciò avvenga. In ogni caso si tratta di fenomeni complessi i cui risultati saranno visibili in futuro. D’altra parte, per fare un altro esempio, i protestanti che sono arrivati in massa in Albania all’inizio erano accolti innanzitutto come degli stranieri che per lungo tempo non si erano visti nel paese. Incontrare questi missionari significava parlare in inglese, prendere i primi contatti con il mondo esterno, un mondo sognato ed idealizzato. Alcuni giovani albanesi sono diventati le guide e gli interpreti di questi missionari, magari convertendosi, ma non necessariamente per una vera fede quanto piuttosto per ragioni strumentali. Altri invece si sono convertiti considerando il cristianesimo protestante come una forma di fede più moderna ed adatta al mondo occidentale e quindi considerata migliore. Di nuovo, si tratta di un fenomeno molto complesso e misurare il grado di strumentalizzazione è molto difficile. Io, tuttavia, ho l’impressione che il movimento di conversione al protestantesimo stia per sgonfiarsi, ma è difficile stabilirlo perché non vi sono statistiche a riguardo. D’altro canto abbiamo avuto un movimento di conversione all’ortodossia per gli albanesi emigrati in Grecia allo scopo di integrarsi nel paese e persino per trovare lavoro. Anche qui ho l’impressione che si sia trattato di un fenomeno significativo all’inizio ma che ora sia meno palpabile. Tuttavia oggi, tra i giovani albanesi che si sono trasferiti in Grecia con i genitori e vanno a scuola nelle scuole greche, ci saranno delle adesioni all’ortodossia per ragioni ancora diverse. Ma, come dicevo, si tratta di fenomeni che sono per ora difficilmente misurabili.
–In Albania è facile sentir dire che la tradizionale armonica coesistenza delle tre religioni principali oggi sarebbe messa a repentaglio dagli attori esterni che esercitano un’influenza negativa. Fino a che punto è la realtà?
Questo è un discorso che esiste da molto tempo, dal tempo della formazione del nazionalismo albanese, e ripreso dal comunismo quando diceva che il clero è quello che divide gli albanesi altrimenti uniti perché si sentono albanesi prima che musulmani, ortodossi o cattolici. Bisogna fare attenzione a questi discorsi che sono innanzitutto rivolti agli stranieri, e che mascherano le forti diversità tra le diverse comunità religiose in Albania. Per fare un esempio, i matrimoni misti, con l’eccezione delle zone urbane, sono rimasti limitati. Quindi credo che questo discorso nascoda le sfaccettature della realtà locale perché, se non vi sono problemi di coesistenza tra comunità, queste sono tuttavia differenziate.
– Dopo l’11 settembre, i mass media fanno frequente riferimento al pericolo islamico nei Balcani. Cosa ne pensa?
Dopo l’11 settembre abbiamo assistito a queste polemiche discorsive di attori non mussulmani dei Balcani, soprattutto in ambienti serbi e macedoni, che hanno usato lo spettro del pericolo islamico e della presenza della rete di Osama Bin Laden. Questo è un po’ l’eco del vecchio discorso sulla minaccia della dorsale verde o dell’arco islamico, ovvero su una sorta di continuità territoriale dei musulmani balcanici che sarebbe stata destinata a circondare le popolazioni ortodosse dei Balcani. Con l’attualità questo tema si è trasformato in quello della minaccia dei gruppi terroristi islamici nei Balcani ma, a mio avviso, è più un discorso che una realtà. E’ vero che in Albania, negli anni ’90, islamisti non balcanici, ma di origine araba, si erano installati nel paese. Questi però sono stati arrestati ed estradati a volte dalla polizia segreta albanese, a volte dalla stessa CIA nel 1998. Ciò significa che ci sono state certamente persone in contatto con membri della rete di Osama Bin Laden.
Tuttavia queste reti sono molto nebulose, inoltre non è per il fatto di avere stretto la mano di qualcuno o di averlo incontrato che si fa parte di queste reti. Quindi i discorsi di oggi sono ampiamente esagerati. D’altro canto gli argomenti che si oppongono a quelli della minaccia islamica nei Balcani sono a loro volta esagerati nel senso inverso. Nel caso del Kossovo, ad esempio, si dice che i mussulmani sono tutti bektashi (2) o dervisci (3) e quindi non possono essere attirati dai discorsi radicali. Queste affermazioni sono false perché anche in Kossovo ci sono piccoli gruppi di giovani musulmani che sono relativamente radicali, pur se non hanno niente a che vedere con Osama Bin Laden. Quindi, quelle a cui assistiamo oggi sono polemiche discorsive, che in un senso o nell’altro non corrispondono alla realtà.
–Fino a che punto questi discorsi hanno impatto negativo sui musulmani dei Balcani?
Anche prima dell’11 settembre l’immagine dell’Islam nella scena pubblica era abbastanza negativa. Quindi, anche se transitoriamente questi avvenimenti possono avere peggiorato le cose, credo che già poco a poco si stia tornando allo stato precedente, ovvero quello in cui Islam ha comunque un’immagine piuttosto negativa. In Albania accade, per esempio, che persone di origine musulmana più o meno atee o secolarizzate, come Kadarè, da una decina d’anni rigettino pubblicamente l’Islam.
–Fino a che punto si rischia di avere una spaccatura nei Balcani tra coloro che rigettano l’Islam alla Kadaré e coloro che si radicalizzano?
Tra queste posizioni opposte ed estreme abbiamo un ventaglio ampio di situazioni che si presentano. Dipende dalla situazione politica e sociale in ciascun paese o regione perché, come evidenziamo nel libro, abbiamo costantemente una strumentalizzazione della religione da parte della politica o viceversa. Quindi non credo che si possa rispondere in generale perché vi sono un gran numero di fattori diversi a seconda dei contesti che entrano in gioco. In Bosnia, ad esempio, l’Islam è l’elemento determinante per la definizione dei musulmani bosniaci rispetto ai serbi ed ai croati, ma la situazione è diversa per i musulmani albanesi di Kossovo o Macedonia che si confrontano con i serbi ed i macedoni. Qui l’Islam è solo uno degli elementi che definiscono la diversità degli albanesi rispetto agli altri. Senza parlare dell’Albania, dove abbiamo una popolazione a stragrande maggioranza albanese e dove le cose sono profondamente diverse.
–In questo complesso scenario, trova che l’11 settembre abbia delineato una tendenza comune?
No, non penso. Innanzitutto in un caso come l’Albania non credo che l’11 settembre sia stato un punto di svolta particolarmente rilevante. Qui il momento di svolta è stato il 1997 con il passaggio del potere dal Partito Democratico al Partito Socialista. Non è stato per caso se già nel 1998 c’è stata l’eliminazione di quelle cellule ‘dormienti’ islamiche che si trovavano sul suolo albanese. L’Islam è stato più controllato dal potere socialista il quale, tra l’altro, ha privilegiato la componente Bektashi. Quindi, per l’Albania il 1997 è stato più importante dell’11 settembre 2001.
–Ritiene che in questi paesi la caccia al terrorista possa peggiorare il rispetto dei diritti umani da parte della polizia?
Non credo che la polizia al tempo di Berisha si comportasse in modo più democratico, ma è chiaro che in Albania resta il problema delle pratiche del potere e dell’uso di organi come la polizia. Per tornare invece alla domanda precedente, una delle conseguenze del ritorno dei socialisti al potere in Albania è che questi hanno mostrato di voler disfare i rapporti tra la comunità islamica ed il potere politico che c’era ai tempi di Berisha. Questo significa un ripiegamento su questioni puramente religiose degli attori musulmani religiosi e una certa radicalizzazione tra i giovani. Ma anche questo fenomeno credo sia slegato dagli avvenimenti dell’11 settembre.
–I Balcani sono sempre sui giornali, quanto meno in Italia, per la questione dei traffici illeciti. Oggi abbiamo l’impressione di avere stabilito l’equazione traffici illeciti = reti islamiche = Balcani. C’è realmente un rapporto tra queste tre dimensioni?
Ci sono delle relazioni ma non di eguaglianza come questo discorso sui media vorrebbe fare credere. Non possiamo dire Balcani = traffici illeciti = reti islamiche, anche se è chiaro che nei Balcani vi sono traffici illeciti che si spiegano anche con ragioni geopolitiche. Tuttavia, i traffici ci sono anche in Turchia, nei paesi occidentali, in Asia etc. quindi i traffici non sono una peculiarità dei Balcani. E’ vero che vi sono connessioni tra le reti islamiche ed i traffici come è vero che abbiamo varie reti di traffici che non hanno nulla a che vedere con le reti islamiche. Lo dimostra il caso del Montenegro, dove la rete di traffici di sigarette non ha legame alcuno con le reti islamiche.
–Cosa possiamo dire invece dei traffici di armi che si sono verificati durante il conflitto in Bosnia? Che differenza c’è con il Kossovo?
Nel caso della Bosnia, sappiamo che l’Iran ha fornito armi in grandi quantità all’esercito bosniaco attraverso una rete islamica, la Third World Relief Agency, basata a Vienna. Ma bisogna aggiungere che questo traffico d’armi è stato ‘autorizzato’ dagli Stati Uniti per aggirare l’embargo ONU. Quindi anche in questo caso abbiamo un attore che non ha nulla a che vedere con l’Islam. Nel caso del Kossovo, si deve notare che la crisi si è avuta dopo la fine della guerra in Bosnia e dopo il cambiamento di politica USA verso il mondo musulmano ed in particolare verso le reti islamiche. Con gli accordi di Dayton, infatti, si era deciso che i mujaheddin (4) lasciassero la Bosnia ed è in quel periodo che inizia la caccia americana alla rete di Bin Laden. Nel 1998 in Albania, ad esempio, una di queste cellule viene eliminata. Ricordo questi aspetti perché è in questo contesto che la crisi del Kossovo esplode e poi inizia la guerra. Gli attori locali, che lo volessero o meno, non hanno potuto fare appello alle reti islamiche perché gli Stati Uniti erano contrari. Piccoli gruppi e piccole reti si sono certamente stabilite, come è accaduto che gli albanesi del Kossovo acquistassero armi dai serbi. Del resto, i traffici d’armi non si frenano davanti alle inimicizie. Tuttavia bisogna collocare la crisi del Kossovo cronologicamente e vedere come gli americani, che hanno un ruolo determinante negli sviluppi del conflitto, a quel punto non erano più disponibili ad utilizzare questo genere di reti.
–Ad un certo punto, nel libro, parlate di declino dell’islamismo…
C’è un gran dibattito a questo riguardo. Diciamo che c’è stato un declino dell’islamismo per quello che era negli anni ’80 dopo la rivoluzione in Iran, e oggi c’è un accordo generale sul fatto che si debba parlare di una cambiamento di registro, di modalità, di ricomposizione. Quello che abbiamo visto nei Balcani, è stato l’appello alla Ùmma al momento della guerra in Bosnia-Erzegovina e all’inizio in Albania. Ma successivamente, con la guerra in Kossovo le cose sono andate in modo diverso. Innanzitutto bisogna distinguere la questione dell’islamismo da quella della Ùmma. L’Ùmma come blocco politico non esiste, questo è certo, e lo abbiamo visto anche in Bosnia dove, ad esempio, gli Iraniani hanno agito in modo diverso dall’Arabia Saudita. Per quanto riguarda il declino dell’islamismo, dipende da che significato diamo a questo termine. Se si tratta della volontà di instaurare repubbliche islamiche, allora vediamo che questa idea ha fatto il suo cammino fino a scomparire, ma oggi abbiamo forme diverse di islamismo che non hanno come obbiettivo principale quello di fabbricare degli stati islamici ma piuttosto delle società islamiche.
–Alla luce di queste considerazioni si aspetta che le politiche occidentali verso i Balcani si orienteranno al rafforzamento delle istituzioni statali?
Di fatto, direttamente o indirettamente attraverso le loro politiche o per l’immagine che propongono di sé, gli attori occidentali hanno certamente un grande ruolo negli sviluppi sulla scena balcanica. Quindi non so se passa per la creazione di stati più forti, non so, perché quello che abbiamo oggi sono piuttosto dei protettorati in Bosnia, Kossovo ma anche praticamente in Albania e Macedonia. L’occidente è là come attore diretto e come immagine: tutti i dibatti identitari, anche tra le stesse popolazioni musulmane sulla relazione tra identità religiosa e nazionale, sono anche dibattiti sulla relazione tra identità religiosa ed identità europea, e tutta la questione dell’integrazione all’Europa. Quindi l’occidente è onnipresente nei Balcani anche per le popolazioni musulmane.
Note:
(1) Ùmma è il termine con cui il Corano definisce la comunità dei credenti musulmani.
(2) Il bektashismo è un tarikat (confraternità mistica musulmana) ottomano, la cui dottrina è basata sul sincretismo religioso.
(3) Si chiamano dervisci i membri di confraternite mistiche musulmane.
(4) Si chiama mujaheddin il combattente musulmano impegnato nella guerra santa contro i nemici della comunità islamica. In Bosnia nel corso della guerra numerosi combattenti stranieri si affiancarono all’Armja bosniaca considerando questo conflitto come una guerra santa.
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