Il nome della discordia – II
La disputa sul nome di Macedonia potrebbe ostacolare il prossimo ingresso di Skopje nella Nato, nel delicato momento della definizione dello status del Kosovo. In questa seconda parte dell’analisi le posizioni di media e commentatori nella regione e quelle del mondo politico greco e macedone
Mentre si avvicina il summit della Nato, che si terrà a Bucarest nel prossimo aprile, la Macedonia deve constatare di essere di fronte ad una scelta scomoda: cambiare il nome, oppure rimanere fuori dall’Alleanza Atlantica.
La Grecia si è dimostrata sempre più irremovibile nelle sue minacce di bloccare l’ingresso del paese nell’organizzazione, se non si dovesse giungere ad un compromesso sull’annosa questione del nome, che oggi in sede Onu è FYROM (Former Yugoslav Republic of Macedonia).
E mentre la pressione sulla Macedonia cresce, i media locali hanno iniziato a chiedersi: ma possiamo davvero resistere sulla nostra posizione? C’è da dire, però, che l’establishment politico della piccola repubblica sembra, contrariamente al solito, unito e compatto. Il nome non può essere merce di scambio.
"Il nostro desiderio di entrare nella Nato è grande", ha detto recentemente il premier macedone Nikola Gruevski, "ma non a costo di farlo con la spina dorsale spezzata". Dichiarazione che riassume in sostanza la posizione della Macedonia.
Se si dovesse davvero arrivare ad una scelta esclusiva tra ingresso nella Nato e mantenimento del nome, la Macedonia sceglierebbe il secondo. Anche l’opinione pubblica sembra pensarla allo stesso modo: anche se il 90% dei macedoni approva l’ingresso del paese nell’Alleanza Atlantica, cambiare il nome del paese sembra fuori questione.
"Modificare il nome significherebbe accettare una volta per tutte la filosofia della sconfitta, che ha fatto sempre parte del nostro destino, dalla negazione della nostra nazione, a quelle della nostra lingua e della nostra storia. Cambiare il nome significa rinunciare al nostro diritto all’esistenza", ha dichiarato con toni drammatici l’ex ministro degli esteri Ilinka Mitreva.
La stessa Mitreva ha poi aggiunto che "il dilemma "nome o Nato" non è reale, ma è stato prodotto dalla Grecia. Ci sono chiari criteri per entrare nella Nato, e il nome non è uno di questi. Negli ultimi cinque-sei anni siamo diventati un alleato stabile dell’Alleanza Atlantica. La nostra ammissione non è un problema per la Nato, ma lo è piuttosto il comportamento di uno dei suoi membri".
"Paghiamo un prezzo molto alto per la nostra linea di fermezza, ma non possiamo darci per vinti proprio adesso", ha detto recentemente un altro ex ministro degli Esteri, Ljubomir Frckoski, "questo vorrebbe dire chinare la testa all’ultimo round, e questo non deve accadere. Dobbiamo giocare le nostre carte fino alla fine."
Secondo Frckoski, gli Stati Uniti ritengono che l’inclusione della Macedonia nella Nato sia molto importante in vista della soluzione dello status finale del Kosovo, che potrebbe richiedere un anno o due, e questo rafforza non poco la posizione del paese nella contesa.
Non tutti però sembrano altrettanto ottimisti. Denko Maleski, primo ministro degli Esteri della Macedonia indipendente, ed in seguito ambasciatore all’Onu, ritiene che non esista un dilemma tra ingresso nella Nato e cambio del nome. Secondo Maleski accadranno entrambe le cose: la Macedonia verrà inclusa nelle strutture nord-atlantiche, ma dovrà cambiare il nome.
"La differenza verrà fatta dalla posizione dell’Europa, quanto questa vorrà una soluzione rapida. Gli Usa sembrano volerci concedere un po’ di tempo per preparare il nostro popolo al compromesso, il periodo cioè che intercorre dal momento dell’invito ufficiale, in cui gli Stati Uniti hanno voce decisiva, al momento della ratifica da parte del parlamento greco", ha detto Malevski, che non accetta l’affermazione diffusa secondo cui "il tempo gioca in favore della Macedonia", visto che 120 stati l’hanno già riconosciuta col suo nome costituzionale.
"Il tempo gioca a favore di chi affronta seriamente i problemi. Noi non l’abbiamo fatto, sostenendo che il problema non è il nostro, ma della Grecia, e che la stragrande maggioranza dei paesi non hanno problemi col nostro nome. Oggi dobbiamo capire che il riconoscimento di tutti questi stati, con i quali non abbiamo alcuna disputa, conta meno della diatriba irrisolta con un solo paese membro della Nato e dell’Unione Europea", ha aggiunto poi Malevski.
Il fattore tempo nel frattempo incombe. La Macedonia vuole più tempo per i negoziati, la Grecia insiste nella necessità di trovare un compromesso prima del summit di Bucarest. Matthew Nimitz, l’inviato dell’Onu che tenta di mediare tra le due parti ha visitato Atene e Skopje all’inizio di dicembre. Nimitz ha gradito i passi in avanti, dimostrati anche solo dal fatto che ci sono dei colloqui reali, ed ha poi annunciato un nuovo round di negoziati, preferibilmente diretti, a partire dall’inizio dell’anno nuovo. L’inviato Onu ha ribadito che non ci sono scadenze da rispettare, ma che una soluzione rapida sarebbe anche quella migliore.
"Non abbiamo scadenze, ma guardando alla situazione sul campo, alle dichiarazioni fatte, al processo di integrazione nella Nato, alla situazione in Kosovo, a quanto succede nell’Ue, tutto mi porta a pensare che una soluzione in tempi rapidi sarebbe di gran lunga preferibile ad un lungo contenzioso, e che da questa tutti ne riceverebbero sostanziali benefici", ha dichiarato Nimitz.
La Macedonia è già entrata a far parte di altre organizzazione sotto l’acronimo "FYROM", e sarebbe disposta a fare lo stesso con la Nato. La Grecia, però, sembra inamovibile, come dichiarato in modo chiaro dal ministro degli Esteri di Atene, Dora Bakoyannis.
Tra le autorità macedoni sembra esserci incredulità rispetto alla volontà greca di arrivare fino in fondo con le proprie minacce di veto. Secondo alcuni, il governo greco potrebbe al massimo decidere di rallentare il processo di inclusione nella Nato, anche perché molti diplomatici internazionali sostengono che in questo caso Atene si troverebbe isolata politicamente.
Ma la Grecia sembra pronta a correre il rischio, e le speranze che rinunci a difendere la sua posizione con ogni mezzo diplomatico possibile sembrano flebili. Come spiega Teodor Columbos, dell’Università di Atene, fautore di una politica di compromesso sulla questione del nome, "non c’è alcuna possibilità che i cittadini greci possano accettare, dal proprio governo, il riconoscimento del nome costituzionale della Macedonia".
Entrambi i contendenti sembrano assolutamente intransigenti. Sia in Macedonia che in Grecia i governi godono dell’appoggio dei principali partiti di opposizione sulla questione.
La Grecia deve affrontare la forte pressione degli Usa, insieme ai molti colpi diplomatici provenienti dai suoi partner internazionali. Anche la Macedonia, però, viene "diplomaticamente" strattonata, e dopo anni di speranze, corre il rischio di restare fuori dalla Nato. Se secondo alcuni questo non costituirebbe la fine del mondo, e non potrebbe essere paragonato al momento critico dell’ingresso nell’Onu, quando il paese fu pronto, pur di essere ammesso, a farlo sotto un nome temporaneo, per altri la questione è invece di vitale importanza.
"In questo momento storico, per noi entrare è fondamentale, ne va della nostra esistenza", è l’opinione di Denko Malevski.
Una considerazione forse un po’ troppo tetra. Quello che è certo, però, è che ci saranno ancora tempi duri nel futuro prossimo dei Balcani.
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