Il Močvara di Zagabria, bastione della dissidenza culturale
La storia del Močvara, il più rilevante locale alternativo di Zagabria, è quello di una generazione cresciuta negli anni ’90, quando il nazionalismo schiacciava ogni alternativa culturale
(Pubblicato originariamente da Novosti, selezionato e tradotto da Le Courrier des Balkans e OBCT)
La storia del Močvara [La palude, ndr] di Zagabria è quella di una generazione che è cresciuta a Zagabria negli anni ’90. Anni in cui la guerra non colpì solo le città e la gente, ma anche la scena culturale urbana cresciuta negli ultimi decenni dell’epoca socialista.
Il vuoto era assordante e la nuova generazione vagava nel limbo. Occorreva ricostruire, partendo dal nulla, una cultura sovversiva e alternativa, contrastando l’instaurarsi della cultura nazionale che all’epoca lasciava ben pochi spazi.
La storia della costruzione di questa scena alternativa, e dello sviluppo di uno dei locali più importanti di Zagabria, è stata descritta nell’opera collettiva Močvara: priča o URK-u (Močvara, la storia dell’Associazione per lo sviluppo della cultura), opera di 500 pagine, frutto di otto anni di lavoro. Il libro è una raccolta di ricordi personali e diari dell’epoca che documentano più di vent’anni di attività dell’associazione URK, alla base della creazione del locale Močvara. Tra gli autori dell’opera Kornel Šeper, uno dei fondatori del locale, e Ante Perković, prematuramente scomparso, critico della scena alternativa croata.
“Quando abbiamo aperto nel 1999, il Močvara giocava un ruolo cruciale per Zagabria dove non vi era alcun locale di questo tipo e nessuna offerta per i giovani. L’apertura del Močvara fu un vero e proprio evento, la gente era avida di contenuti alternativi. Oggi, diciannove anni dopo, vi sono a Zagabria molti luoghi dove si fa musica live, che siano locali, bar o caffè, e ci sono molti eventi culturali ogni sera ma il Močvara, grazie alla sua programmazione, non è tramontato. Proponiamo sempre qualcosa di diverso e le nostre porte sono del tutto aperte ai giovani ed ai nuovi artisti. Non siamo solo un locale dove si fanno concerti, ma siamo innanzitutto un’associazione e i motivi che ci hanno spinto ad aprire e gestire questo locale sono diversi dalla maggior parte di quelli di altri proprietari di locali”, spiega Kornel Šeper.
L’Associazione per lo sviluppo della cultura (URK), che gestisce ancora oggi il Močvara, è nata nel 1995, ed uno dei suoi primi progetti è stato il festival di Ponikve, di cui la prima edizione ha avuto luogo il 15 luglio 1995. Kornel Šeper si è unito alla squadra un anno più tardi, assieme a Danijel Sikora Six. “A mio avviso, ciò che ha reso il Močvara rilevante è che abbiamo creato un posto dove la programmazione e le modalità di funzionamento stridevano completamente con la politica sociale e culturale dell’epoca e in generale con lo stato d’animo che contaminava tutti i segmenti della società. Il Močvara era ed è tutt’ora uno dei motori della scena indipendente. Prima dell’apertura del locale speravamo semplicemente di poter consumare qualcosa che a casa nostra era sparito. Alla fine abbiamo avuto l’occasione di venirne coinvolti attivamente, di ripartire da zero per creare tutto noi stessi, nel modo in cui ritenevamo più opportuno. Certo, si può sempre fare di più, ma quando sfoglio questo libro non posso che chiedermi se tutto questo sia veramente accaduto!”, racconta quest’ultimo entusiasta.
URK organizzò il suo primo concerto al Club degli studenti di ingegneria (KSET), raccogliendo 500 kune (67 euro), subito reinvestite nell’organizzazione di un altro concerto, e così via di seguito. Concerti che si tennero nell’atrio dei pompieri del quartiere di Sveta Klara, nel cinema abbandonato di Stenjevac… Zagabria accolse in quel periodo nomi affermati a livello mondiale del punk/hardcore e della musica alternativa della fine degli anni ’90, ancora poco conosciuti al pubblico locale: Gogol Bordello, Jonathan Richman, Shellac, Deftones, Mogwai, Tortoise, Converge, Einstürzende Neubauten, Mance, Darkwood dub… È proprio al Močvara che vennero portate in scena le prime rappresentazioni del regista teatrale Oliver Frljić, e che ebbero luogo le prime proiezioni della nuova generazione di registi serbi, come ad esempio Clip, della regista Maja Miloš.
Col tempo sempre più persone vennero coinvolte nell’attività di URK e vennero lanciati numerosi progetti: il primo squat di Zagabria, Kuglana; il festival Žedno uho; la Galleria SC; il gruppo di percussionisti Zli bubnjari; lo Human Rights Film Festival; il centro culturale Pogon, per citarne solo alcuni. L’associazione riuscì a prendere in affitto un vecchio negozio nei pressi del giardino botanico ma ne fu cacciata sei mesi dopo e si spostò nell’ex fabbrica Jedinstvo, a Trnje, sulle rive della Sava, dove si trova ancor oggi.
URK non è mai stata un’associazione politica, ma i suoi membri condividono la stessa visione del mondo: in un paese appena uscito dalla guerra, dove regnava un’atmosfera perlomeno deleteria, nessuno dei gruppi o persone che gravitavano attorno all’associazione apparteneva al mondo nazionalista o sciovinista. Internet era ancora ai suoi esordi e la comunicazione passava quasi esclusivamente attraverso le fanzine. Attualmente programmatore informatico, Marko Vuković è uno dei fondatori di URK ed ha partecipato anche attivamente al Movimento anarchico di Zagarbia (ZAP), alla Campagna anti-guerra (ARK) e al centro culturale autonomo Attack, con sede nello squat di Medika.
“URK è nata nel momento del caos totale, del nulla. All’epoca, si sono riunite due generazioni. Quella della fine degli anni ’80, e la successiva, che era cresciuta in questo nuovo deserto, nel vuoto musicale, nel vuoto di militanza e nel vuoto politico. URK è riuscita a riunirle e abbiamo iniziato a lavorare a un vero e proprio ‘pirataggio della realtà’. Nei primi cinque anni abbiamo trovato modalità incredibili per realizzare alcune delle nostre idee. Abbiamo imparato a negoziare con l’amministrazione cittadina, a volte anche con l’esercito, al quale abbiamo chiesto un generatore per un festival. Lavorare in queste condizioni era tutto tranne che semplice, ma è stato intenso ed estremamente interessante. URK è riuscita a preservare la scena underground di Zagabria. L’apertura del Močvara ha rappresentato la nostra prima negoziazione politica di successo con la città, che si è trasformata in una questione tutto politica alla vigilia delle elezioni. È stato l’inizio di un percorso di apprendimento: come dialogare con le strutture municipali che si trovavano a discutere per la prima volta con la scena indipendente”, si ricorda Marko Vuković.
La storia dell’URK è quella di una generazione le cui attività si sono trasformate in movimenti sociali, i cui attori sono attivi tutt’oggi. Con l’apertura del Močvara, la Croazia ha lentamente iniziato ad uscire dagli anni di piombo, come sottolinea Ante Perković: “Se gli anni ’90 hanno prodotto qualcosa di positivo è questo legame stretto tra l’arte e la militanza. È sulla base di uno scambio vivente tra creazione artistica e coscienza sociale che è nata ciò che oggi chiamiamo la scena culturale indipendente”.
L’idea di promuovere qualcosa che si differenziasse dal folklore patriottico, dal turbo folk croato e dalle competizioni sportive era, per l’epoca, dissennata. Il 29 ottobre 2001 un gruppo di hooligan neofascisti armati di mazze da baseball e bottiglie ha fatto irruzione nel Močvara riempiendo di botte il pubblico che stava assistendo alla proiezione del film “L’ultima squadra jugoslava”.
Le generazioni attuali stanno affrontando problemi di un altro ordine. "Danno per scontati alcuni progressi, come fossero per sempre, il che è comprensibile, ma penso che sfortunatamente non è più facile per loro di quanto non sia stato per noi. Le istituzioni che dovrebbero aiutare la cultura sono letargiche, autoindulgenti e intrappolate da sistemi discutibili di distribuzione dei magri mezzi disponibili ", spiega Danijel Sikora.
Nel corso di anni di contrasti con le autorità municipali Močvara è riuscito a conservare sia il suo spazio che il suo pubblico ed è stato in grado anche di sopravvivere al susseguirsi delle generazioni. Ora il club accoglie ragazzi e ragazze alcuni dei quali non erano neppure nati ai tempi della sua apertura. “Attualmente abbiamo un contratto di locazione con il comune e lottiamo per sopravvivere. Abbiamo pochi dipendenti ed hanno salari bassi. Abbiamo molto pubblico ma le nostre spese sono molto alte. Le istituzioni non ci aiutano: nel caso chiudessimo potrebbero forse esclamare ‘peccato’ ma non alzerebbero un dito”, afferma Kornel Šeper.
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