Tipologia: Intervista

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Area: Romania

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Il mito fondante

Parla di mito fondante mancato, la storica Mirela Murgescu riferendosi all’89 in Romania. Un’occasione persa, a fronte del coraggio di chi sfidò l’apparato di repressione del regime. Serve una memoria comune europea sull’89? ”Più utile puntare su una conoscenza comune minima di quegli eventi”

22/05/2009, Francesco Martino - Bucarest

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Mirela-Luminiţa Murgescu è docente nella facoltà di storia dell’Università di Bucarest. Ha partecipato a vari progetti internazionali su analisi dei libri di testo, nazionalismo, storia sociale e culturale. Vincitrice di varie fellowship tra cui Mellon Fellowship, DAAD Fellowship, Korber Senior Fellowship (Institut für die Wissenschaften vom Menschen, Vienna).
Interessata all’uso della storia nel processo di costruzione dell’identità, ha curato l’edizione di vari volumi, (tra cui "Nations and States in Southeast Europe", Thessaloniki, 2005). Tra i suoi lavori inoltre: "Între "bunul creştin" şi "bravul român". Rolul şcolii primare în construirea identităţii naţionale româneşti (1831-1878) Between the "Good Christian" and the "Brave Romanian". The part of elementary school in constructing the Romanian national identity (1831-1878), Iaşi, 1999 e "Istoria din ghiozdan. Memorie şi manuale şcolare în România anilor 1990 History from the school bag. Memory and schoolbooks in Romania during the 1990s, Bucureşti, 2004.

Per l’Europa il simbolo condiviso di quanto avvenne nel 1989 è la caduta del muro di Berlino, nel novembre di quell’anno. In Romania però i cambiamenti arrivarono con più di un mese di ritardo, con quella che è stata poi definita la "rivoluzione" del dicembre 1989. Dove si trovava in quel periodo? Quali sono i suoi ricordi personali di quegli eventi?

Allora lavoravo nella biblioteca dell’Accademia, qui a Bucarest. Di quei giorni ricordo innanzitutto il freddo, sia fuori che dentro il nostro appartamento, la situazione economica disastrosa, la penuria di beni essenziali, anche di cibo. All’epoca, il regime tentava di tenerci quanto più isolati possibile, il controllo sui mezzi di informazione era pesante. Io e la mia famiglia, di sera, ascoltavamo clandestinamente Radio Free Europe o Voice of America, a seconda di quale canale fosse meno disturbato dalle interferenze create per oscurarli. Era l’unico mezzo per avere notizie su quanto stava succedendo in Europa. Fu così che venimmo a sapere quanto stava succedendo a Timişoara, le manifestazioni e gli scontri iniziati il 16 dicembre. Da quel momento tutto è successo molto in fretta. Il 22, il giorno in cui Ceauşescu scappò da Bucarest, sono scesa in piazza con la mia famiglia. Quella sera, mentre si festeggiava nelle strade, iniziarono gli scontri e le sparatorie. Un incendio devastò la biblioteca dell’università. Con i colleghi decidemmo quindi di presidiare la nostra biblioteca, le donne durante il giorno, gli uomini durante la notte.

I fatti della "rivoluzione" romena rimangono molto controversi. La classe politica non è riuscita a trovare un’interpretazione condivisa di quanto accadde, dividendosi tra chi parla di "vera rivoluzione" e chi invece sostiene si sia trattato di un "colpo di palazzo" interno al regime. Cosa è successo nell’ambiente storiografico?

Anche gli storici sono divisi, e non esiste oggi un’interpretazione comune o condivisa. Sfortunatamente, quello che poteva essere il "mito fondante" della nuova democrazia rumena rimane oggi un momento ancora estremamente controverso. Ci sono troppi "buchi neri" nella ricostruzione di quanto accadde nel dicembre 1989. Dal mio punto di vista, almeno all’inizio quello è stato uno dei momenti "gloriosi" della vita del popolo rumeno, un momento di grande coraggio dopo un lungo periodo di silenzio e di sopportazione, prima a Timişoara e poi a Bucarest, con la gente che è scesa in piazza sfidando l’apparato di repressione del regime. Poi però gli eventi sono diventati poco chiari, con le sparatorie, i morti e i misteriosi "terroristi". Recentemente è stato creato un istituto per lo studio della rivoluzione del dicembre 1989, finanziato da fondi pubblici. Purtroppo quest’istituto, presieduto da Ion Iliescu, uno dei maggiori protagonisti della "rivoluzione", ha però tentato di soffocare il dibattito più che di promuoverlo, nel tentativo di imporre un’unica verità.

Viene affrontato quel particolare momento storico nei testi di scuola? E come?

Sì, i momenti principali, la caduta del regime, l’esecuzione di Ceauşescu, i primi passi della nuova democrazia vengono presentati agli studenti, ma in generale i testi che affrontano gli eventi del dicembre 1989 lo fanno in modo molto asettico e neutrale. Gli avvenimenti della storia recente vengono raccontati con un approccio narrativo, tentando di evitare per quanto possibile commenti e giudizi di carattere etico.

Come viene riletta, a venti anni di distanza, la figura di Nicolae Ceauşescu e il regime comunista in ambito storiografico?

A livello ufficiale è stato prodotto un "Rapporto finale", elaborato dalla Commissione presidenziale per lo studio della dittatura comunista in Romania, creata su iniziativa di Traian Băsescu. Anche questo rapporto, però, sebbene avallato dal presidente e presentato durante una sessione speciale del parlamento di Bucarest, è stato accolto con polemiche e controversie all’interno della società romena. Credo che i fatti del regime personale di Ceauşescu siano ancora troppo recenti per essere analizzati in modo imparziale, "a sangue freddo", per così dire. Questo inizia ad essere possibile per quanto accaduto negli anni ’60, o nel cosiddetto "periodo stalinista" del secondo dopoguerra. Nella società i ricordi di Ceauşescu sono ancora troppo recenti e anche in questo caso divergenti: c’è chi lo demonizza, e chi invece ne parla in termini positivi.

Esiste una strategia di gestione istituzionale del ricordo dei fatti del 1989, con cerimonie pubbliche, monumenti, musei?

Ogni anno, a dicembre, ci sono cerimonie pubbliche, cominciando da Timişoara, dove viene ricordato l’inizio delle manifestazioni contro il regime, il giorno 16. A Bucarest si hanno sedute speciali del parlamento, ma anche incontri storiografici dedicati a quegli eventi, oltre a commemorazioni per le vittime di allora. Negli anni, poi, sono stati costruiti vari monumenti. Qui a Bucarest il più noto, conosciuto come "Memoriale della Rinascita" ((Memorialul Renaşterii) è stato inaugurato nel 2005, di fronte a quello che era il Comitato centrale del Partito comunista romeno. Si tratta di un obelisco, anche questo però piuttosto controverso, sia per le sue qualità artistiche, non riconosciute da parte significativa dei cittadini di Bucarest, sia per essere stato progettato e realizzato sotto gli auspici politici di Iliescu.

Sarebbe utile avere un museo del regime comunista e degli eventi del dicembre 1989? Come dovrebbe essere organizzato?

Credo che un museo sarebbe uno strumento utile per conoscere e dibattere questa fase del nostro passato. Personalmente ritengo che il luogo più adatto per realizzare un museo a tema sarebbe proprio la vecchia sede del Comitato centrale del Partito comunista romeno, oggi sede del ministero degli Interni. Si tratta dell’edificio da cui Ceauşescu si affacciava per tenere i suoi discorsi alla folla, compreso l’ultimo il 21 dicembre 1989, probabilmente quello più noto, che fece da cornice alla sua destituzione. Un museo di questo genere potrebbe essere organizzato affiancando a reperti ed oggetti dell’epoca strumenti moderni, come una sezione multimediale. Come possibile modello vedrei il "Check Point Charlie Museum" o il "DDR-Museum", entrambi a Berlino, piccoli, ma molto efficaci come strumento didattico.

Qual è il rapporto delle nuove generazioni con quegli eventi? Quali sono le principali fonti di informazioni dei giovani sui fatti del 1989?

Nel 2006 ho condotto una ricerca, tramite questionari, chiedendo circa 400 studenti delle scuole superiori quali fossero le loro conoscenze sugli eventi del’89, sia in Europa che in Romania. I risultati hanno mostrato che le conoscenze dei ragazzi su quel periodo storico sono piuttosto frammentarie e poco precise. Un dato interessante riguarda poi proprio le fonti di informazione sull’89: il 41,6% ha indicato la propria famiglia fonte primaria, il 25,9% la televisione, mentre il 23,7% la scuola.

Nei paesi dell’Europa orientale, Romania compresa, è percepibile un fenomeno di nostalgia verso il periodo comunista. Si tratta di un fenomeno generazionale?

In Romania è difficile parlare della nostalgia verso il regime come un fenomeno generazionale. Questo perché molti membri delle generazioni che hanno vissuto sotto il comunismo non provano alcuna nostalgia verso quel periodo storico. Paradossalmente, poi, esiste una forma di "nostalgia per il regime" in giovani che non ne conservano alcuna memoria diretta. Si tratta, in qualche modo, di "nostalgia indotta", soprattutto attraverso i racconti dei propri genitori e parenti più anziani, e che viene alimentata dall’insoddisfazione per il presente.

Crede che l’Europa dovrebbe elaborare una memoria comune rispetto agli eventi del 1989?

Questo è un tema molto delicato. Innanzitutto dovremmo chiarire cosa intendiamo con l’espressione "memoria comune". Molto spesso, infatti, il concetto di "memoria comune" implica la costruzione di miti e conseguentemente di eroi, rischiando di trasformarsi in una rielaborazione in qualche modo artificiale e superficiale al tempo stesso. Credo sia più utile puntare ad una "conoscenza comune minima" di quegli eventi a livello europeo. Sulla base di questa conoscenza comune gli europei potrebbero riuscire a superare la confusione, piuttosto diffusa sull’89, e a elaborare il pieno significato dei cambiamenti nati allora per sé, la propria famiglia e la propria comunità di riferimento. Sono convinta che ci aiuterebbe a conoscere meglio anche le istituzioni europee, che oggi influenzano così profondamente la nostra esistenza, figlie in gran parte proprio dei fatti del 1989.

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