Il giardino bosniaco delle delizie

La Bosnia Erzegovina parteciperà alla Biennale di Venezia con un proprio Padiglione nazionale. È la prima volta dopo 10 anni. Mladen Miljanović, ex incisore di lapidi funerarie, è l’artista che rappresenterà il proprio Paese

27/05/2013, Andrea Oskari Rossini - Venezia

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Le è stato affidato il compito di presentare la Bosnia Erzegovina alla Biennale dopo un’interruzione di dieci anni. Con quale stato d’animo ha accolto l’incarico?

Sono contento ed anche emozionato. Specialmente perché sono passati 10 anni. Per noi non è una Biennale, ma una Decennale. Il motivo per cui sono contento è che spero che questo sia un nuovo inizio, che questa diventi davvero per noi una Biennale. D’altro canto sento una grande responsabilità. Non si tratta di rappresentare il mio Paese per quello che ha prodotto negli ultimi due anni, ma negli ultimi dieci. Per dieci anni, in Bosnia Erzegovina, politica e cultura non sono riuscite ad accordarsi su come partecipare alla Biennale di Venezia.

Perché?

Noi artisti bosniaci siamo sempre presenti nella scena artistica internazionale, ma solo come singoli individui. La Bosnia Erzegovina non aveva una strategia per presentarsi come Paese. Ora, e questa è la ragione della mia felicità, credo che ci siamo finalmente arrivati, partendo dalla Biennale di Venezia.

Come?

È stata elaborata una modalità per selezionare i commissari e gli artisti, che ha ricevuto il sostegno del ministero per gli Affari Civili e del Consiglio dei Ministri della Bosnia Erzegovina, e che varrà anche per il futuro. Ogni due anni vengono designati due commissari dal ministero, e quei due commissari designano l’artista che rappresenterà il Paese. Il Padiglione della Bosnia Erzegovina verrà organizzato alternativamente dalla Galleria Nazionale della Bosnia Erzegovina e dal Museo di Arte Contemporanea di Banja Luka.

Potrebbe essere l’inizio della soluzione dei problemi che sin qui hanno caratterizzato la situazione della cultura in Bosnia, compreso quello delle sette istituzioni museali oggi chiuse?

Lo spero. È evidente che i problemi esistono, ma anche che ora esiste la volontà per risolverli. Per questo sento una grande responsabilità nell’organizzazione di questo Padiglione. Se perdiamo questa possibilità, che viene una volta ogni 10 anni, non ne avremo una seconda.

Cos’è il Giardino delle Delizie?

Quando mi hanno chiesto di proporre un progetto per la Biennale, ho cominciato a ragionare sull’immagine della Bosnia Erzegovina creata a livello internazionale dopo la fine della guerra, e quindi sull’identità bosniaca. Credo che possiamo definirla come un’identità social-patetica. Gran parte dell’arte creata e rappresentata dopo la guerra era social-patetica, e in quanto tale aveva successo.

Qual è l’arte social-patetica?

Mladen Miljanović alla Biennale di Venezia

Visita la galleria fotografica

Quella che sfrutta il trauma, la situazione difficile e patetica. Il risultato, 15 anni dopo, è che se non presenti il lato patetico della Bosnia non rientri nello stereotipo e quindi non sei compreso. Allora ho cercato di utilizzare questa energia social patetica come nell’Aikido, cioè usarla per respingerla. Per questo ho pensato che il concetto giusto per il Padiglione bosniaco alla 55 Biennale di Venezia sarebbe stato “Il Giardino delle Delizie”, l’esatto contrario di quanto il visitatore si aspetterebbe dalla Bosnia, qualcosa di buono, da gustare.

Quanto è presente la tua esperienza individuale in queste installazioni?

Molto. Prima di iscrivermi all’Accademia d’Arte di Banja Luka, io per vivere facevo incisioni sulle lapidi funerarie.

Quelle dei cimiteri?

Sì. Facevo i disegni iper realistici che in Bosnia si trovano sulle lapidi delle tombe. Nel periodo dell’Accademia ho cominciato a interrogarmi sui motivi che spingevano le persone a scegliere un determinato motivo da porre sulla tomba dei propri cari. In effetti la gente mi chiedeva di disegnare le cose più strane. Alla fine ho capito che volevano mettere sulla tomba l’immagine della cosa che in vita li aveva deliziati di più, quello che piaceva loro fare.

Ad esempio?

Il chitarrista voleva la chitarra, il cacciatore si voleva rappresentare con la lepre o un altro animale. Volevano l’immagine di quello che avevano scelto. Per me si tratta dell’immagine della delizia eterna.

Come per Hieronimus Bosch?

Ho preso il celebre trittico del pittore olandese come base per il mio lavoro, per instaurare un dialogo. In quel dipinto lui mostrava cosa amavano di più i suoi contemporanei. Con Photoshop ho cancellato tutti i personaggi del suo trittico mantenendo solo il paesaggio, l’acqua, la natura. Poi ho inserito i disegni che ho raccolto sulle lapidi bosniache. Si tratta di un dialogo a distanza di 500 anni, mantenendo però come base questo tratto specifico della cultura bosniaca, cioè istoriare le lapidi funerarie.

I disegni sulle lastre di granito nero?

Sì. Si tratta di una pratica profondamente autentica e autoctona della nostra regione. È kitsch, ed è naive. È iniziata verso la fine degli anni ’80, inizio degli anni ’90, parallelamente con il kitsch che ha cominciato ad affermarsi in politica. Per questo ho utilizzato nell’installazione anche la frase di Jusuf Hadžifejzović, “dal kitsch al sangue c’è un passo solo”. Inoltre, cerco di analizzare quando il livello di kitsch all’interno di una società diviene allarmante, cioè quando può divenire sintomo del futuro verificarsi di qualcosa di drammatico, come una guerra.

Dobbiamo quindi apprezzare il kitsch essendo consapevoli dei suoi rischi?

È così. Il punto è capire quando le diverse delizie individuali divengono un’assurdità collettiva. Il quadro generale è assurdo, ma i singoli segmenti non lo sono.

La questione dell’identità bosniaca è molto controversa, il tuo lavoro riesce dunque ad affrontare questo tema?

Ci provo, anche nell’installazione del Giardino delle Rose. La ricchezza culturale è nella diversità, la bellezza del giardino non è in un fiore, ma nel suo essere un giardino. Questa è la base per spiegare la questione delle nazionalità, dei nazionalismi e dell’attuale società bosniaca.

Nel Padiglione il visitatore troverà tre differenti ambienti, uno per pensare, uno per vedere e uno per ascoltare. Puoi spiegare?

Nel primo spazio sono rappresentate alcune frasi. È l’ambiente dei pensieri, che prepara il visitatore alla mostra. Poi si entra nello spazio visuale, dove i diversi temi trovano composizione nel Giardino delle Delizie, infine ci sono due ambienti, il Giardino delle Rose e quello in cui si trova l’opera che ho realizzato con la Filarmonica di Banja Luka. Ho invitato l’orchestra a registrare un breve video di 5 minuti. Quando sono arrivati, erano contrariati per il fatto che non avevo detto loro che pezzo avrebbero dovuto suonare, perché volevano prima fare le prove. Io ho chiesto ai musicisti solo di entrare nel campo visivo uno alla volta, e di suonare il brano che amavano di più. Entra la flautista, e suona un motivo meraviglioso, poi il violinista, e riesci a seguirli entrambi, poi il terzo, il quarto, fino al venticinquesimo, e non riesci più a distinguerli. Cerco di mostrare l’assurdo collettivo dal punto di vista del suono. Anche in questo video, cioè, cerco di riflettere su come il piacere individuale possa divenire una tortura collettiva.

Il Padiglione della Bosnia Erzegovina alla 55 Biennale di Venezia

  • Inaugurazione: giovedì 30 maggio 2013, ore 19.30
  • Chiusura: domenica 24 Novembre 2013
  • Indirizzo: Palazzo Malipiero, 3198 San Marco, Venezia
  • Orari: 10 – 18. Chiuso il lunedì
  • Vaporetto: 1, 2 Accademia; 2 San Samuele

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