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Il fuggiasco

Cambio di consegne tra il tedesco Christian Schwarz Schilling e lo slovacco Miroslav Lajcak, nuovo Alto Rappresentante per la Bosnia Erzegovina. Lo stato delle riforme nel Paese a partire da un recente fatto di cronaca. Nostro commento

15/06/2007, Andrea Oskari Rossini -

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Venerdì 25 maggio un prigioniero è evaso dal carcere di Foca in Republika Srpska, Bosnia Erzegovina. La notizia non ha avuto molto rilievo. L’evaso era stato accompagnato per un controllo al Centro medico regionale della cittadina. Uscendo dal cellulare, dove c’erano 4 guardie armate, mentre altre 5 controllavano la situazione, è riuscito a sfuggire alla sorveglianza. Salito su una Golf bianca, comparsa miracolosamente nel frattempo, è partito. Il vice direttore della SIPA, i servizi di sicurezza bosniaci, ha dichiarato in conferenza stampa che potrebbe ancora essere nel Paese. La cosa non è chiara. La Golf bianca è stata ritrovata nei pressi del confine con il Montenegro.

Ieri, a Sarajevo, l’Alto Rappresentante Christian Schwarz Schilling ha salutato tutti. Se ne va, cedendo il posto allo slovacco Miroslav Lajcak. Avrebbe dovuto essere l’ultimo, e trasmettere le proprie funzioni ai politici locali. Il suo mandato, caratterizzato da un minore interventismo rispetto ai predecessori, doveva proprio servire per preparare la transizione. I risultati non sono stati quelli attesi. L’ultima campagna elettorale, che ha condotto al voto del primo ottobre scorso, è stata caratterizzata da toni di una violenza inedita dai tempi della guerra. La dura contrapposizione tra le diverse forze politiche, in particolare tra l’Unione dei socialdemocratici indipendenti, di Milorad Dodik, e il Partito per la Bosnia Erzegovina, di Haris Silajdzic, continua. In tutta fretta, la comunità internazionale ha deciso di prorogare di un altro anno l’Ufficio dell’Alto Rappresentante. Nel suo discorso di commiato di fronte al parlamento bosniaco, Schwarz Schilling si è detto allarmato per i rigurgiti della retorica nazionalista e i rischi per la tenuta delle istituzioni.

Dagli accordi di Dayton in poi, tutti gli sforzi della comunità internazionale, con maggiore o minor intensità a seconda dei differenti periodi, sono stati diretti a rafforzare le istituzioni dello Stato. La Bosnia Erzegovina è infatti una federazione sui generis, con le due entità (Federacija BiH e Republika Srpska) che hanno in pratica prerogative superiori a quelle del governo centrale. Il quadro attuale, con una Costituzione basata su criteri etnici più che di cittadinanza, non è più sostenibile. Non per un Paese che voglia entrare nell’Unione Europea. Molte cose sono state fatte, ma da mesi il dialogo sulle riforme è fermo su un punto: la questione della polizia. Il progetto di forze di polizia comuni, statali, si scontra con la ferma opposizione del premier della Republika Srpska, Milorad Dodik. I serbo bosniaci hanno ceduto su molte cose, ma sono irremovibili sulla questione del controllo del territorio.

L’evaso di Foca si chiama Radovan Stankovic. Era stato accompagnato al Centro medico regionale perché doveva andare dal dentista. Quando è salito sulla Golf per scappare, le guardie che lo scortavano non hanno visto esattamente che direzione abbia preso. Forse è andato da una parte, forse dall’altra… Foca è un nome che ricorre tristemente spesso nella geografia degli orrori della guerra bosniaca. In quella cittadina il sistema dello stupro etnico era ben organizzato. La guerra, Stankovic, l’aveva fatta proprio lì. Era uno dei responsabili del funzionamento della cosiddetta "Karaman kuca", uno dei campi dove venivano internate le donne. In quel posto, la più giovane delle detenute aveva 12 anni, la più vecchia 24. Al processo, l’accusa aveva sostenuto la sua colpevolezza sulla base di dieci differenti testimonianze. Tre delle testimoni hanno dichiarato di essere state violentate personalmente da Stankovic. Per i crimini commessi, era stato condannato infine a 20 anni. A scontare la pena però, deve essersi ritrovato come per incanto tra compagni di merende. Alla luce di quanto avvenuto infatti, c’è più di un motivo per dubitare dell’imparzialità delle persone addette alla sua custodia.

Dragan Lukac, vice direttore della SIPA, i servizi di sicurezza bosniaci, ha dichiarato che Stankovic "è pericoloso". La Corte della Bosnia Erzegovina ha confermato nei giorni scorsi che il giudice di prima istanza Davor Jukic, e il procuratore Vaso Marinkovic, sono stati posti sotto speciale protezione dal momento della fuga di Stankovic, a causa delle minacce fatte loro dall’imputato. Non si sa quali misure siano state prese per proteggere le testimoni.

I criminali di guerra, nei Balcani, saranno d’ora in poi sempre giudicati dalle Corti locali, e sconteranno le pene nelle prigioni della regione. Il presidente del Tribunale penale dell’Aja per la ex Jugoslavia (TPI), Fausto Pocar, ha infatti ricordato recentemente i tempi che definiscono la strategia di chiusura della Corte internazionale. Entro il 2009, salvo imprevisti, fine di tutti i processi di primo grado. Secondo il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il TPI dovrà poi chiudere i battenti entro il 2010. Le indagini sono tuttavia già ferme da tempo e non ci saranno più nuove incriminazioni da parte della giustizia internazionale per i crimini degli anni ’90.

Diversi osservatori del sistema giudiziario penale internazionale hanno sottolineato quanto sia in realtà importante che i processi per crimini di guerra avvengano di fronte alle Corti locali. Secondo molti, questo aiuterebbe le società attraversate dai conflitti a elaborare, e in qualche modo superare il trauma, più di quanto non avvenga con processi che si svolgono in lontane corti internazionali con lingue e sistemi giuridici differenti. Il problema, piuttosto, sembra essere chi garantisce sui giudizi e l’esecuzione delle condanne.

Milorad Dodik ha dichiarato che "quasi tutto" il personale del carcere di Foca verrà rimpiazzato e che le 9 guardie coinvolte nella fuga devono essere imprigionate fino a quando non verrà chiarito cosa è successo. Il ministro della Giustizia della Republika Srpska, Dzerard Selman, ha già licenziato il direttore del carcere e il suo vice. Forse anche il premier serbo bosniaco si sta convincendo che è tempo per la Bosnia Erzegovina di avere una polizia costituita su base statale, non etnica. Siamo pronti a stupirci.

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