Il figlio di nessuno
Ha provocato una forte empatia in tutti i Balcani. E’ il film Ničije Dijete (Il figlio di nessuno) da poco proiettato al Sarajevo film Festival. Un’intervista al suo regista, Vuk Ršumović
Di Ničije Dijete (Il figlio di nessuno) Osservatorio Balcani e Caucaso si era già occupato al momento della sua apparizione al Festival di Venezia, dove aveva vinto la Settimana della Critica.
La storia è quella di un bambino che, trovato dai cacciatori tra i lupi delle montagne bosniache, è affidato a un orfanotrofio serbo prima di essere rinviato in Bosnia Erzegovina allo scoppio della guerra. Abbiamo intervistato Vuk Ršumović, regista del film che in questi giorni è proiettato nelle sale del Sarajevo Film Festival .
Il film è basato su una storia vera, piuttosto sconosciuta. Quanto è stato inventato da parte tua e come hai fatto a scoprirla?
Il 90% della storia è aderente ai fatti così come mi sono stati raccontati. L’ho scoperto perché ero in contatto con una delle assistenti sociali dell’orfanotrofio a cui il bambino, che era stato trovato nelle montagne bosniache e che viveva tra i lupi, era stato affidato.
Abbiamo semplicemente cambiato qualche dettaglio, come il nome (nel film, il bambino è chiamato Haris Pučurica, o più familiarmente ‘Pučke’) e il suo paese di provenienza (Travnik, nella pellicola). E poi c’è il finale, che io ho lasciato volutamente aperto, di modo che non si capisse cosa sia successo realmente al protagonista. Era la soluzione migliore, a nostro modo di vedere, da un punto di vista narrativo. E anche perché non sappiamo esattamente che fine abbia fatto il vero ‘Pučke’. All’inizio, secondo le mie informazioni, era stato dato per morto. Poi però sono emersi nuovi dettagli, c’è chi dice che ora viva con la madre in Turchia… può anche essere che dopo la proiezione a Sarajevo decida di farsi vivo e contattarci, chissà!
Se il film è così riuscito, una parte del merito va senz’altro attribuita anche al ragazzo che ha interpretato la parte di Pučke, Denis Murić. Come avete scelto il protagonista?
Beh, non è stato per niente semplice. All’inizio, abbiamo cercato un attore adatto nelle scuole di recitazione di Belgrado. Abbiamo aperto le audizioni, fatto le selezioni… siamo riusciti a trovare piuttosto agilmente gli "altri" attori che ci servivano per il film, come per esempio Pavle Čemerikić (che nel film interpreta Žika, un ragazzino che si affeziona a Pučke e che per un po’ rappresenta il suo unico amico).
Per il ruolo principale, tuttavia, la questione era molto, molto più complicata. Abbiamo passato al setaccio anche le scuole elementari di Belgrado, ma niente… in un certo senso, tutti i candidati erano troppo "urbani", per così dire, troppo educati. Poi abbiamo deciso di venire anche a Sarajevo, e qui avevamo trovato un ragazzo che mi pareva perfetto. Aveva veramente il physique du rôle! Ma poi abbiamo dovuto scartarlo, perché la sua famiglia non ha voluto che stesse due mesi a Belgrado, il tempo necessario per le riprese e per la preparazione del film. Nessuno poteva accompagnarlo.
Eravamo sulla strada del ritorno verso casa, e io ero estremamente demoralizzato, non avendo ancora trovato qualcuno per il ruolo di protagonista. Il direttore della nostra casa di produzione mi chiamò proprio in quel momento, dicendo che aveva trovato un ragazzino che dovevamo assolutamente vedere. Siamo arrivati a Belgrado a mezzanotte passata e Denis era già lì, ad aspettarci per il provino. Ho capito subito che sarebbe stato perfetto.
C’è una scena particolare del film che mi sembra molto importante. Žika, che se n’era andato dall’orfanotrofio, ritorna ma non può più esservi ammesso. E sembra più escluso di Pučke, che invece comincia a essere integrato nel "sistema", imparando a leggere e scrivere. A un certo punto c’è persino una scena in cui Pučke, pur non sembrando in grado di capire la situazione, presta il suo giuramento come pioniere jugoslavo. "Il figlio di nessuno" non è in un certo senso anche una riflessione sulla società e sui meccanismi di esclusione? Oltre che sull’importanza della famiglia intesa come cellula di un certo ordine sociale?
Sicuramente quello di cui parli è un aspetto molto importante del film. Nella realizzazione del mio lavoro, sono stato anche costantemente in contatto con una psicologa infantile la quale sosteneva che avrei dovuto concentrarmi proprio su questo aspetto, quello della "socialità" del bambino, del suo rapporto con il sistema. A un certo punto del lavoro, mi sono reso conto che stavo anche realizzando un film il cui tema fondamentale era il senso di appartenenza a qualcosa.
La Jugoslavia, in questo senso, era sicuramente un sistema estremamente stabile proprio perché era basato sulla famiglia, su dei valori tradizionali molto radicati. Poi, con la guerra, tutto è cambiato. La società è stata travolta dal conflitto e ne è uscita disgregata, anche dal punto di vista della coesione delle famiglie.
Per tutta la durata del film, però, si ha anche la sensazione che la società si imponga aggressivamente nei confronti del protagonista… l’ordine della maggioranza gli viene, per così dire, inflitto…
Quando ho sviluppato la storia, stavo cercando l’Antagonista. Ho speso molto tempo alla ricerca del "cattivo", per così dire. Alla fine ho capito che questo cattivo era il sistema, la sua incapacità di gestire il caso specifico, il destino di questo bambino.
Credo che questo sia anche il motivo per cui il pubblico di tutta la regione, non solo di Bosnia Erzegovina, ha sviluppato un’empatia così forte nei confronti del protagonista. Perché le sue emozioni ci sono familiari, noi tutti ci sentiamo in una situazione simile alla sua, soprattutto quando si guarda al passato, a come è cominciata la guerra.
Credi che il film descriva, anche, la situazione e le difficoltà che oggi si trovano a vivere i giovani e i bambini nei Paesi formatisi con la disgregazione della Jugoslavia?
C’è sicuramente una tendenza generalizzata, da parte dei governi e delle istituzioni, a impegnarsi sempre meno nei confronti delle generazioni più giovani. È una situazione molto delicata, soprattutto in quei paesi "in transizione", per così dire. I governi sono sempre più liberali, tendono a smantellare lo stato sociale e le strutture di solidarietà. A fronte di questo, ci sono singole persone che cercano di opporsi, di battersi in nome di valori che stanno scomparendo. È una battaglia molto impegnativa, non sempre destinata al successo, in cui i giovani sono spesso in prima linea.
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