Il fenomeno Zona
Intervista a Zdravko Šotra, autore di "Zona Zamfirova", film tra i maggiori successi del cinema serbo recente. La ricerca delle tradizioni, il rapporto con la politica
"Neppure in sogno mi sarei aspettato un successo così grande di "Zona". Ho insistito 10 anni per realizzarlo, da un romanzo realista di fine ‘800, ma nessuno credeva che potesse interessare al pubblico. È un miracolo, non posso spiegare il fenomeno. È la prima volta che un film serbo viene visto da così tante persone".
"La nostra cinematografia da 10 anni si occupa di temi contemporanei, di questi giorni tristi, delle guerre, delle sanzioni. Il pubblico dice basta a questi film. "Zona" è una commedia romantica senza parolacce e scene brutte, una storia d’amore con un po’ di melodramma. Forse la gente voleva un po’ di serenità dopo le tante cose brutte successe, rappresentate in film carichi di violenza. Aspettavano da tempo di vedere raccontare una vicenda simile. Mesi fa si è fatta una tavola rotonda per analizzare i motivi del successo di ‘Zona’ ma non sapevo che dire, non sono un analista o un teorico, faccio film e spero incontrino i gusti del pubblico".
C’è anche una ricerca delle tradizioni? La Serbia dopo la caduta di Milošević si specchia nella Serbia dopo la cacciata dei turchi…
Uno dei motivi può essere il voler ritornare allo spirito della vecchia Serbia, cercare nel passato la nostra identità dopo che con Milošević è stata fatta l’equazione tra serbi e cattivi.
Ha da poco terminato il film "La rapina del terzo Reich". Siamo negli anni ’40 del ‘900…
Racconta una storia vera, almeno vera è la base. Due rapinatori prima della Seconda guerra mondiale, ricercati da molti Paesi. Quando Hitler invase l’Europa si ritrovarono qui, e nel settembre ’41 si chiedono dove siano in quel momento i tesori del continente. La risposta non può essere che Berlino e si organizzano per raggiungerla. Uno sa bene il tedesco, l’altro si finge muto e sordo, un eroe della Luftwaffe caduto due volte con il suo aereo combattendo gli inglesi. Rapinano la banca, poi si rifugiano in Svizzera. Dopo la guerra tornano in Jugoslavia, ma vengono arrestati. Tito li vuole vedere perché è interessato a sapere cosa ci fosse nella cassaforte del re di Serbia, Croazia e Slovenia. A Tito, come a questi ladri, piacevano le cose brillanti. È una commedia classica, come quelle vecchie, con molte gag. Penso possa piacere anche all’estero.
"Zona" ha circolato poco all’estero…
È stato richiesto in qualche festival ma poco, forse perché è una pellicola molto nazionale. In compenso l’hanno chiesto molto i 4 milioni di serbi che vivono nel resto del mondo, negli Usa, in Canada, in Australia, ma anche in Europa occidentale. Sono la nostra diaspora, quasi la metà di quelli che vivono in Serbia.
Dove avete girato "La rapina del terzo Reich"?
Abbiamo fatto tutto in Serbia. Molti esterni nel centro di Belgrado, gli interni in studio, e diversi esterni anche a Subotica, in Vojvodina, che ha un’architettura simile a quella che aveva Berlino. Realizzarlo è stato molto impegnativo. C’erano tante location e gli attori, tutti serbi perché ne abbiamo di bravi, dovevano parlare bene tedesco e sul set un insegnante correggeva la pronuncia.
I suoi film sono quasi tutti ambientati in un’epoca passata…
Per un regista è la sfida più grande, la provocazione maggiore verso sé stesso, ricostruire un’epoca, un’atmosfera. Ho fatto un film sull’attualità al tempo delle sanzioni, "Diario di offesi – Dnevnik uvreda" nel 1993, avevo un’atmosfera autentica, giravo nei negozi con gli scaffali vuoti, nelle strade c’erano code di chilometri per il pane. Tutto quello che è successo è stato molto brutto.
Ora ha già un altro progetto, un’altra storia del passato…
A primavera inizierò a girare un film ambientato a Belgrado nel 1886, in una scuola. Racconto una classe nell’anno della maturità, un caso unico, compagni di scuola che poi saranno conosciuti in tutto il mondo come Jovan Svijć o il grande matematico Mihailo Petrović. L’azione si svolge pochi anni prima di "Zona". Dopo 500 anni di dominio ci fu un esplosione di giovinezza e di intelligenza.
Si può ripetere ora?
Io spero che ci sia un’esplosione anche oggi, penso che qualcosa si stia muovendo. Prendiamo il cinema, è interessante che stiano lavorando cineasti di tutte le generazioni, da quelli che hanno appena terminato la scuola fino a quelli come me, che sono il più vecchio. È un mistero come riusciamo a fare i budget: trovare soldi per i film è difficile ovunque, qui di più. Quello che qui è un budget normale, buono, all’estero è basso. Ma nonostante la miseria il cinema non è morto qui, si sono fatti più film che nei Paesi intorno messi insieme. Quasi cento film realizzati in questi anni di sanzioni e guerre sono un miracolo, vuol dire che il nostro cinema ha vitalità.
Quali sono i giovani registi che apprezza di più?
Radomir Andrić mi piace molto, poi Dejan Zecević che fa film di genere, Miloš Petricić che ha debuttato nel 2003 con "Una storia quasi del tutto ordinaria". Ci sono altri molto bravi che non sono più giovanissimi come Srdjan Golubović o Srdjan Dragojević, che lavora negli Stati Uniti.
Ha cominciato a lavorare negli anni ’50, ha attraversato le varie fasi del comunismo di Tito, poi il dopo Tito fino a Milošević. Le sono mai stati bocciati dei progetti? Ha avuto problemi con la censura?
No, non mi sono mai stati bocciati progetti. Alcune volte non ho trovato i soldi o ho dovuto rinviare dei film, ma è normale, accade ovunque. Con la censura nessun problema, neppure con Milošević. Si fecero anche film contro di lui, molto critici, un po’ per la vitalità e la forza di registi che era difficile limitare, un po’ perché Milošević era un demagogo e lasciava fare per darsi un’immagine di politico tollerante.
Nell’89, seicentesimo anniversario della sconfitta, ha girato "La battaglia del Kosovo", presentato il 28 giugno, stesso giorno del discorso di Milošević che è stato tra le cause dell’accelerazione della crisi. Si è mai pentito di aver fatto quel film in quel momento?
No, mai, non mi sono pentito. Fu solo una coincidenza che la prima del film e il discorso di Milošević cadessero lo stesso giorno, non penso che il film abbia fatto il suo gioco. Tutta la tradizione della Serbia sta là, in quella piana, in quella sconfitta; quella battaglia significa molto di più per noi di quanto abbia detto o utilizzato Milošević. Si badi che adattai il poema di uno scrittore, Ljuba Simović, che era contro "Slobo".
Resta l’immagine di cattivi che si sono fatti i serbi…
Milošević ha creato un’immagine dei serbi molto brutta, che non corrisponde al vero. Durante le due guerre mondiali i serbi sono stati con i "buoni", prima contro l’Austria poi contro i fascisti, sono stati eroici. Milošević ha buttato via tutto questo, in occidente si è fatta grande propaganda, pensate che il popolo serbo sia genocida. Per questo nel tempo passato andiamo alla ricerca della nostra vera identità.
Ora c’è anche la questione dell’ingresso nell’Unione…
L’Europa mi sembra interessata a farci entrare nell’Unione più di quanto noi vogliamo entrare. E non capisco il motivo.
Dentro l’Unione Europea vi ritrovereste con i Paesi con i quali avete combattuto negli anni ’90…
La Jugoslavia era un’ottima idea, ma era solo nella testa dei serbi, non in quella degli altri popoli. Con i croati abbiamo avuto spesso problemi. Per citare la mia esperienza personale, gli ustasha croati uccisero 40 membri della mia famiglia, ma nel dopoguerra si disse che eravamo tutti fratelli e bisognava superare il passato.
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