”Il fantasma è stato liberato”
I serbi del nord spingono per una secessione dell’area da loro controllata, quelli del sud vedono invece come una minaccia una possibile divisione del Kosovo. Ma tutti concordano sul fatto che ormai ”il fantasma è stato liberato”
Non si può certo affermare che i serbi del Kosovo non s’aspettassero quanto avvenuto lo scorso 17 febbraio. La politica è infatti il tema dominante nella maggior parte delle case negli ultimi mesi e la comunità serba ha seguito con regolarità tutti gli avvenimenti collegati con il Kosovo.
Ciononostante il sentimento di umiliazione e di ribellione seguito alla proclamazione di indipendenza del Kosovo – e l’appoggio del mondo che ne è seguito – regnano non solo tra i serbi del Kosovo ma anche in tutta la Serbia. E i serbi del Kosovo, a discapito di tutto, continuano a credere che rimarranno parte integrante della "madrepatria".
I serbi del nord hanno reagito il giorno stesso della dichiarazione d’indipendenza, radunandosi nelle vicinanze del ponte nella parte settentrionale di Mitrovica, ormai un simbolo della "resistenza", inviando così un chiaro segnale della loro presenza. E’ iniziata così la serie di proteste nelle zone serbe, tra cui si registra la grande manifestazione della parte nord di Mitrovica, tenutasi il giorno dopo la dichiarazione di indipendenza e le marce di protesta quotidiane degli studenti e delle ong locali.
Oltre a queste proteste pacifiche, tra le reazioni a catena seguite alla decisione di Pristina di dichiarare l’indipendenza ci sono stati anche una serie di incidenti nella parte nord del Kosovo, che hanno preso il via con delle piccole esplosioni e con l’incendio di automezzi UNMIK.
L’incidente più grave è accaduto il 19 febbraio, quando centinaia di dimostranti in due luoghi di confine tra la Serbia e il Kosovo settentrionale hanno incendiato e minato i punti di frontiera, rimuovendo di fatto per alcune ore la frontiera tra Serbia e Kosovo. Nonostante i danni materiali, nessun poliziotto o funzionario kosovaro è rimasto ferito, ma sono stati feriti alcuni giornalisti.
I membri della KFOR nel corso della giornata hanno poi chiuso "ermeticamente" la frontiera. Che è stata poi riaperta 24 ore dopo: ora vi stazionano solo i membri della KFOR e della polizia UNMIK.
I membri serbi della dogana kosovara avevano precedentemente abbandonato i loro luoghi di lavoro dichiarando che così solidarizzano con il proprio popolo e che non desiderano più essere parte delle istituzioni del Kosovo dopo che Pristina ha dichiarato l’indipendenza.
Benché il Servizio di polizia kosovara non abbia rilasciato dichiarazioni la scorsa settimana a seguito del nuovo status dei poliziotti serbi che fanno parte di questa organizzazione, le informazioni ufficiose che abbiamo ricevuto, e le dichiarazioni dei leader politici, indicano che i serbi abbiano cessato di accettare gli ordini di Pristina, e che si attengono esclusivamente alle decisioni dei leader locali, e che hanno già avviato il processo di stralcio dei contratti di lavoro. Questo lo si è potuto notare anche nella suddetta azione di rimozione dei punti di confine, quando i poliziotti serbi del Kosovo tranquillamente stavano a guardare cosa stesse accadendo. Durante la trasmissione di ieri sera, il corrispondente da Mitrovica di B92, ha riportato però le parole del comandante locale Milija Milosevic che avrebbe smentito queste voci.
In questi giorni per le vie dei comuni del nord, piene zeppe di bandiere serbe, i serbi in divisa da poliziotto kosovaro, sorvegliano le strade. Secondo quanto s’aspetta la popolazione locale essi potrebbero a breve indossare le uniformi della polizia serba. Secondo la comunità serba sarebbe un’opzione legittima proprio in base ala risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. E’ a quest’ultima che i leader del nord in questi s’appellano in continuazione dichiarando di voler collaborare con la polizia e con l’amministrazione UNMIK, perché questo rispetta la risoluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Altra cosa per la missione EULEX, che qui viene vista come la missione del nuovo stato indipendente e per questo non è benvenuta.
Se il serbo medio e deluso si domanda se valga la pena fare differenza tra UNMIK ed EULEX – e lo si può vedere anche dagli incidenti in cui sono stati colpiti obiettivi Onu – per i leader serbi del nord non c’è alcun dubbio. Tra i sostenitori della linea dura Marko Jaksic, che durante una manifestazione è stato molto chiaro con una dichiarazione poco amichevole nei confronti della missione dell’UE, ma allo stesso tempo invitando i manifestanti a rispettare la presenza dei membri dell’UNMIK. Pur aggiungendo che la popolazione locale non vuole nemmeno questi ultimi.
Quando tra la notte del 18 e 19 febbraio è stata incendiata l’auto dell’amministratore di Zvecan, il russo Vladimir Gromorov, il sindaco di questo comune, lontano circa 3 chilometri da Mitrovica, Dragisa Milovic, ha fortemente condannato questo l’incidente. Milovic la mattina del 19 febbraio si è rivolto ai concittadini attraverso la radio di Kosovska Mitrovica affermando: "Invito tutti i cittadini, e soprattutto mi rivolgo ai giovani, a mantenere la calma e la dignità e di attenersi alle conclusioni della nostra assemblea e alle sedute pubbliche del consiglio comunale, sulla collaborazione con i funzionari dell’UNMIK. Noi dobbiamo rispettare la risoluzione 1244 e lo vogliamo fare. Noi desideriamo collaborare anche con l’amministrazione dell’UNMIK e con la missione. Invito ancora una volta tutti i cittadini, tutti i giovani, a non esprimere la propria insoddisfazione nei confronti della polizia dell’UNMIK e voglio ripetere che noi rispettiamo la risoluzione e la missione. Finché avremo il nostro stato e la nostra risoluzione, potremo rimanere qui".
Oltre alle marce quotidiane di protesta degli studenti e dei cittadini e alle quasi quotidiane esplosioni, le azioni per prendere il controllo delle istituzioni sono rivolte in particolare alla sede del tribunale distrettuale e comunale, che si trova nella parte nord di Mitrovica.
Gli ex dipendenti del tribunale distrettuale e comunale del nord si sono ritrovati il 21 febbraio al mattino, davanti all’edificio del tribunale, chiedendo il ritorno ai propri luoghi di lavoro, da dove sono stati allontanati nell’agosto del 1999 dai kosovaro albanesi, con l’aiuto dei membri della polizia dell’UNMIK. Anche allora i serbi protestarono per mesi davanti alla sede del tribunale, ma gli albanesi avevano il pieno controllo degli edifici e, anche se con trasporti organizzati provenienti dalla parte meridionale e un po’ di tensione, venivano al lavoro ogni giorno, fino a ieri.
"Nella nuova situazione bisogna accettare lo stato delle cose" ha affermato uno dei giudici del tribunale, che ha desiderato rimanere anonimo, in una dichiarazione per Osservatorio "i serbi controllano il nord, e gli impiegati del tribunale, oltre al diritto morale e legittimo, adesso hanno anche la possibilità di tornare ai loro luoghi di lavoro, dai quali sono stati illegalmente cacciati nove anni fa".
Dall’altra parte, nonostante ai serbi del Kosovo appaia quasi spettrale la calma degli albanesi, è chiaro che la questione di mantenere il controllo sul tribunale nella parte nord della città è di fondamentale importanza per i kosovaro albanesi. Dopo l’interruzione delle relazioni con la polizia del nord con Pristina, e l’uscita dei serbi del nord dal sistema doganale del Kosovo, se gli albanesi adesso perdessero anche l’accesso fisico all’unica istituzione che controllavano al nord, sarebbe il segno che Pristina non ha più nulla a che fare con questa zona. La sanità, l’educazione, la politica sociale, lo sviluppo economico sono già in buona parte all’interno del sistema della Serbia.
Nella metà serba di Mitrovica regna comunque la convinzione che si possa però giungere al controllo del tribunale già questa settimana. Gli impiegati del tribunale continuano a ritrovarsi, e oggi invieranno una lettera al rappresentante regionale dell’UNMIK Gerard Gallucci, chiedendo che venga loro consentito l’accesso agli spazi del tribunale. Nel frattempo i lavoratori albanesi del tribunale si sono radunati a sud e hanno chiesto di poter tornare al nord.
Allo stesso tempo, i serbi del sud sono spaventati per il futuro che li attende, raccolti attorno alle istituzioni serbe, dove e quando è possibile, e alla chiesa. Temono che si arrivi ad una divisione ufficiale, cosa che per loro sarebbe un chiaro segnale che non potranno pensare di restare molto a lungo nelle proprie abitazioni, per il timore che gli albanesi kosovari possano rivolgere contro di loro la rabbia e la violenza. I leader dei serbi del Kosovo centrale si sono già fatti sentire in pubblico, accusando apertamente i leader del nord di lavorare alla divisione del Kosovo.
La vicepresidente del Consiglio nazionale serbo del Kosovo centrale, Rada Trajkovic, ha detto che il comportamento dei serbi del nord è del tutto irresponsabile e porta solo problemi, non solo ai serbi nelle enclave ma anche a quelli del nord. Trajkovic alla radio locale KIM di Caglavica, ha detto che queste azioni sono "in funzione dell’irresponsabilità di una risposta emotiva a questo momento, che in sostanza non dà alcuna risposta, ma offre invece molti problemi", perché i serbi del nord possono finire in un auto-isolamento e nella "mancanza" di ciò che hanno avuto fino ad ora, mentre d’altra parte, danneggiano i serbi che vivono a sud del fiume Ibar.
"Ciò che non va bene per i serbi delle enclave non dovrebbe andare bene nemmeno ai serbi del nord del Kosovo, e viceversa, ma sembra che i leader del nord non abbiano la stessa responsabilità e si ha l’impressione che pongano delle differenze su quello che loro più aggrada, e cioè stare con la Serbia", ha aggiunto Trajkovic.
I serbi del nord hanno la possibilità di azioni alternative rispetto a quelle messe in atto in questi giorni?
Il redattore del giornale serbo del Kosovo centrale, "Glas juga", Zivojin Rakocevic, buon conoscitore e cronista delle vicende post belliche in Kosovo, ha detto ad Osservatorio che la comunità internazionale ha premiato "un nazionalismo brutale a Pristina, e quando nei Balcani premiate un nazionalismo di questo tipo, allora avete destabilizzato per lungo tempo molti altri spazi e avete suscitato molte reazioni simili dall’altra parte".
"Il Kosovo in questo momento è una zona grigia e completamente illegale. Qui valgono tutti i documenti legali degli ultimi dieci anni e si interpretano come meglio si crede. Da questo punto di vista, ognuno prende ciò che desidera e come lo desidera, tanto tutto ciò ha portato ad una situazione assurda di cui non vediamo la fine", ribadisce Rakocevic.
I serbi del Kosovo, a prescindere che siano del nord o del sud, non accettano comunque la decisione di Pristina sull’indipendenza. Condannano il riconoscimento dei singoli paesi, commentando che ormai "il fantasma è stato liberato".
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