Il fantasma di Milosevic
Sarà anche morto e sepolto, ma Milosevic continua a esercitare la sua influenza su una nazione ancora riluttante a guardare in faccia il proprio passato
Di Dragana Nikolic-Solomon
Da BIRN , 4 maggio 2006. Traduzione di Gaia Baracetti per Osservatorio sui Balcani (titolo originale: "The ghost of Milosevic")
"L’Aia è finita, per i serbi", mi ha dichiarato la scorsa settimana a Belgrado un membro del partito del defunto Slobodan Milosevic, esprimendo l’opinione comune a molti nazionalisti del mio paese, che ora vedono il tribunale internazionale come una forza del male.
Incapaci ormai di tirare fuori nuovi nemici di stato, dopo una decade di guerre in Bosnia, Croazia e Kosovo, i nazionalisti hanno trasformato l’Aia nel nuovo nemico contro cui la Serbia è chiamata a combattere con tutte le sue forze.
Dalla tomba, Slobodan Milosevic è diventato uno dei grandi crociati di questa nuova missione.
Con lui combattono un’infinita schiera di pensionati, di irriducibili nazionalisti, e persino di coloro che erano oppositori di Milosevic ma ugualmente percepiscono il tribunale come un’oscura prigione riservata solamente ai serbi.
Alcuni si armano di striscioni che accusano l’Aia, "campo di concentramento nazista", di aver ucciso Milosevic, il "nostro eroe innocente" -accusato di 66 crimini di guerra, tra cui genocidio e crimini contro l’umanità. Per giorni e giorni, dopo la morte di Milosevic, le folle che erano a lutto per lui orgogliosamente esibivano foto di Ratko Mladic e Radovan Karadzic -accusati dall’Aia e ancora latitanti, responsabili della morte di decine di migliaia di musulmani bosniaci.
Intanto, è stato pubblicato un altro libro di lodi al generale Mladic, venduto agli angoli delle strade di Belgrado per cinque euro, che non è poco in un paese la cui economia è a pezzi. Il giovane che li vendeva non riusciva a stare dietro alle orde di sprezzanti clienti.
Il risentimento contro l’Aia è esasperato dai titoli dei quotidiani che non fanno che alimentare la storia secondo la quale Milosevic è stato avvelenato dagli "assassini" dell’Aia. Alcuni di questi quotidiani sono usciti con il titolo: "Ucciso".
Ucciso, dicono, perchè i boia del tribunale non sarebbero riusciti a provare la sua colpevolezza entro i limiti di tempo fissati. Quelli che si sono lanciati in quest’ultima offensiva anti-tribunale tendono a dimenticarsi quattro guerre -tutte perse, un quarto di milione di morti, molti altri feriti e mutilati, la peggior fuga di cervelli nella storia del paese, una devastazione economica che impedirà alla Serbia di tornare ai livelli pre-bellici per almeno un’altra decade.
I serbi non riconoscono la propria responsabilità nell’aver appoggiato Milosevic durante numerose elezioni. Sono anche ciechi quando si tratta di decidere sul futuro del paese. Invece di cercare la strada più veloce verso un’associazione economica e diplomatica con il suo mercato naturale, l’Unione Europea, un’intero paese è tenuto ostaggio nel nome di un mitico passato i cui eroi sono personalità come Milosevic, Mladic e Karadzic.
Mentre in molte moderne società europee le voci a favore della una consegna di persone sospettate di crimini di guerra si farebbero sentire sempre più forti, in Serbia la gente sorride orgogliosamente a vedere come questa piccola, coraggiosa nazione riesce a sfidare Carla del Ponte e la comunità internazionale, che richiede l’estradizione di importanti imputati accusati di crimini di guerra, come Karadzic e Mladic.
Al processo di Milosevic sono state prodotte più di 300,000 pagine di prove orali e scritte ed è una tragedia che la sua morte abbia impedito una conclusione che renda giustizia alle vittime delle sue guerre. Le vittime in Bosnia, Croazia e Kosovo -e anche i serbi, che devono riconoscere la dolorosa verità di quello che è stato fatto in loro nome, e del ruolo giocato da molti entusiasti connazionali che si unirono a Milosevic e al suo progetto.
Sicuramente se fosse dipeso dai Balcani e dalle nostre corti, non saremmo certo più vicini all’aver stabilito cosa esattamente è successo in quei sanguinosi anni.
Il Tribunale dell’Aia fu stabilito per processare crimini di guerra e altre serie violazioni del diritto internazionale nella ex-Jugoslavia. Segue le orme di Nuremberg, dove fu introdotto il principio secondo il quale i crimini contro l’umanità e i crimini sistematici contro la popolazione non resteranno impuniti.
Il Tribunale ha anche avuto un ruolo importante nello stabilire un’agenda per i diritti umani. Processando Milosevic, che era ancora capo di stato quando fu imputato, ha mandato un messaggio importante: nessuno è immune dalla giustizia internazionale. Deve anche essere detto che le imputazioni contro Milosevic erano troppo ampie, permettendogli di presentare al mondo la versione della storia a cui credono ancora molti serbi.
Dev’essere anche detto che i confini di quello che era o non era rilevante sfumarono durante il processo, e si può capire un osservatore medio che, seguendo dalla Serbia le sue filippiche televisive, poteva comprensibilmente pensare che Milosevic fosse lì ad accusare e non a difendersi.
Ma deve anche essere detto che alcune delle decisioni della corte contribuirono a rafforzare la diffidenza dei serbi.
Per esempio, il fatto che il tribunale abbia permesso a Ramush Haradinaj -ex leader dell’UCK e premier del Kosovo- di partecipare alla vita pubblica mentre aspettava di essere processato per crimini di guerra. Questo mentre cominciavano i negoziati sullo status della provincia e i serbi del Kosovo venivano aggrediti da estremisti albanesi.
O il fatto che Carla del Ponte, capo procuratore all’Aia, cambiò idea sul livello di cooperazione croata nella caccia al generale Ante Gotovina -essendo il suo arresto un prerequisito per l’accesso all’UE della Croazia.
Una volta definì deludente la cooperazione di Zagabria, per poi far capire pochi giorni dopo di esserne invece soddisfatta. La corte si spiegò dicendo che erano arrivate nuove informazioni da Zagabria, ma nonostante ciò questo episodio alimentò i sospetti che il tribunale avesse subito pressioni da parte di paesi occidentali che volevano vedere la Croazia entrare nell’UE.
Pur con tutte le sue mancanze, il tribunale ha aperto la strada a un sistema di giustizia internazionale, con in prima fila la Corte Penale Internazionale (CPI), stabilita di recente, che diventerà un fattore importante nella futura scena politica internazionale.
Prima dell’accusa a Milosevic, alcuni capi di stato si credevano al di sopra della legge. Dopo questo processo, pochi leader mondiali o politici in carica agiranno senza chiedersi dove li porteranno le loro azioni.
Purtroppo, finchè la CPI non avrà l’appoggio completo degli Stati Uniti, il sistema legale internazionale dovrà combattere i criminali di guerra presenti e futuri con una mano legata dietro la schiena.
Milosevic si è dimostrato uno dei politici più abili dell’ultima decade degli anni ’90. La corte gli ha ingenuamente permesso di continuare a giocare il suo gioco legale, lasciando che ogni giorno si prendesse gioco sia di ufficiali del tribunale che di testimoni.
Se era abbastanza cinico da giocare con le vite di milioni con il solo scopo di mantenere il potere, ci saremmo dovuti aspettare che avrebbe fatto qualunque cosa per privare la corte e le proprie vittime della giustizia a cui aspiravano. E per assicurarsi, crudelmente, di avere sempre l’ultima parola.
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