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Il fallimento di Brdo

Doveva essere una svolta epocale. Far sedere allo stesso tavolo i leader politici degli stati ex jugoslavi e dell’Albania. Ma il 20 marzo a Brdo pri Kranju, l’eccesso di entusiasmo degli ideatori, i premier di Slovenia e Croazia, si è scontrato con l’assenza della Serbia e dei rappresentanti Ue

25/03/2010, Stefano Lusa - Capodistria

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La nuova politica balcanica della Slovenia sarebbe dovuta ripartire da Brdo. Nuova perché prima non c’era. Sin dalla metà degli anni Ottanta, infatti, Lubiana cercò di far capire al mondo che non era parte dei Balcani e successivamente la sua politica estera si premurò di tenere il paese quanto più lontano dal calderone in ebollizione dell’Europa sud-orientale.

Ora invece il premier Borut Pahor ha ipotizzato di far diventare Lubiana la gran traghettatrice di quest’area nell’Unione europea. La conferenza di Brdo avrebbe dovuto mettere dietro ad un tavolo i leader politici di tutti gli stati sorti dall’ex Jugoslavia e l’Albania. Sarebbe stata la prima volta dopo quasi vent’anni di guerre.

L’idea era nata durante gli incontri con la premier croata, Jadranka Kosor. I due, negli ultimi mesi, si erano impegnati a risolvere la questione del blocco che Lubiana aveva imposto all’adesione croata all’Unione europea. Il loro feeling, platealmente dimostrato a gennaio dall’idilliaca immagine dei due primi ministri seduti accanto ad un caminetto a Kranjska gora, aveva così fatto nascere nuove iniziative.

Pahor e la Kosor si erano ben guardati dall’organizzare l’evento in silenzio. Se lo avessero fatto sarebbe stato più facile presentare la conferenza sui Balcani “occidentali” come un successo. A Brdo, oltre che agli esponenti sloveni e croati, sono arrivati i rappresentanti albanesi, bosniaci, macedoni, montenegrini, kosovari; mentre ha fatto una fugace apparizione anche il commissario europeo per l’allargamento Štefan Füle. E solo alla fine è stato spiegato – per ridimensionare il tutto – che lo scopo di questo incontro informale era esclusivamente quello di mettere in luce gli sforzi che questi paesi stanno facendo per avvicinarsi all’Unione europea, nonché rafforzare la collaborazione bilaterale e multilaterale. Presentata in questi termini la conferenza potrebbe persino sembrare un successo.

Pahor e la Kosor, però, avevano deciso di accendere sull’evento le luci della ribalta ben prima di aver trovato consensi ed adesioni. Il dichiarato obbiettivo della conferenza così era diventato ben presto quello di far sedere fianco a fianco serbi ed albanesi del Kosovo e far venire a Brdo i più alti esponenti dell’Unione europea.

I serbi avevano subito fatto capire che ci sarebbero stati solo se il Kosovo sarebbe stato presente ai lavori in conformità con la risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite. Si trattava quindi di non farlo partecipare ai lavori come uno stato indipendente vero e proprio. Da Bruxelles, intanto, era stato dato a intendere che senza i serbi non ci sarebbero stati nemmeno gli alti rappresentanti dell’Unione.

La settimana scorsa Pahor ce l’ha messa tutta per far riuscire la conferenza. Mercoledì è volato a Belgrado ed il giorno successivo a Bruxelles. Si trattava di convincere i rappresentanti serbi e quelli dell’Unione a venire a Brdo. Nonostante i suoi generosi sorrisi ed il suo costante ottimismo non ce l’ha fatta.

Così, in Slovenia, non è arrivato il presidente dell’Unione europea Herman Van Rompuy e nemmeno il ministro degli Esteri spagnolo Miguel Angel Moratinos, cioè del paese che in questo semestre presiede l’Unione europea, mentre il commissario europeo per l’allargamento è rimasto all’incontro solo mezz’oretta.

Agli organizzatori non è rimasto che rallegrarsi del fatto che all’incontro abbia accettato di partecipare il premier bosniaco Nikola Špirić, cioè l’esponete di uno stato che non riconosce il Kosovo. Ad ogni modo Špirić ha pensato bene di abbandonare temporaneamente i lavori della conferenza quando il premier kosovaro Hashim Thaci ha preso la parola. Thaci dal canto suo, commentando la mancata presenza di Belgrado, ha rimarcato che la Serbia prima o dopo riconoscerà il Kosovo. La risposta non si è fatta attendere ed il ministro degli Esteri serbo Vuk Jeremić ha precisato che il suo paese “a nessuna condizione ed indipendentemente dalle circostanze” riconoscerà l’indipendenza del Kosovo.

Quello che comunque è sembrato chiaro dalla conferenza è che ancora una volta l’Unione europea in questo momento è in tutt’altre faccende affaccendata. A Bruxelles ci si occupa della crisi greca e della nuova nascente diplomazia europea, più che dei problemi balcanici. Ad ogni modo l’iniziativa di Lubiana e Zagabria sin dall’inizio non era stata salutata con eccessivo entusiasmo.

Proprio la Spagna, che attualmente è impegnata nel suo semestre di presidenza sta, infatti, lavorando ad una conferenza sui Balcani che dovrebbe svolgersi a Sarajevo nel giugno prossimo. Madrid avrebbe anche elaborato un particolare documento in collaborazione con l’Italia.

Significativamente, all’inizio di questo mese, il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini aveva detto chiaramente che quella promossa da Lubiana e Zagabria non era un’iniziativa europea. C’è così anche chi ha speculato sul fatto che dietro la mancata presenza della Serbia ci sarebbe stata la Spagna che non sarebbe stata per nulla interessata a far riuscire la conferenza. Da Madrid negano, ma precisano anche che al loro vertice ci saranno tutti, Serbia compresa.

Sta di fatto che a Bruxelles qualcuno dice a mezza voce che Slovenia e Grecia non sarebbero i membri più adeguati dell’Unione europea per occuparsi dei Balcani, considerato che Lubiana aveva bloccato il processo di adesione croato e che Atene, invece, sta creando non poche difficoltà alla Macedonia.

Bisogna poi vedere quanto i paesi nati dall’ex Jugoslavia vogliano essere traghettati nell’Unione europea dalla Slovenia. Probabilmente se potranno scegliersi dei padrini preferiranno puntare su membri più potenti, come Francia o Germania. Va detto poi che se agli occhi degli sloveni le responsabilità della dissoluzione della Jugoslavia stanno nella politica nazionalista serba degli anni Ottanta, per gli altri ex jugoslavi anche gli sloveni non sarebbero privi di responsabilità.

Probabilmente Pahor ha tenuto poco conto di questi fattori quando ha immaginato per sé un importante ruolo internazionale. In pratica ha fatto lo stesso errore del dicembre del 2008 quando ha imposto il blocco della trattativa di adesione croata all’Unione europea senza premurarsi di avere prima solide alleanze all’interno dell’Unione e senza avere una chiara via d’uscita prima di fare grandi proclami di fronte alle telecamere.

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