Il dialogo è possibile
Niente polemiche quest’anno per la celebrazione del Giorno del ricordo. Toni cordiali e pacati sono stati reciprocamente espressi dal presidente italiano e da quello sloveno. Ora si tratta di passare dall’elaborazione della memoria all’interpretazione storica
In Slovenia il Giorno del ricordo è passato quasi sotto silenzio . Il principale telegiornale gli ha dedicato un servizio, ma nemmeno un accenno nei titoli, dove invece è stato dato spazio alle linci che si starebbero estinguendo. Il giorno successivo il “Delo”, il più autorevole quotidiano nazionale, ha messo la notizia in prima pagina ed ha commentato con un certo fastidio la cerimonia che si è svolta al Quirinale, ammettendo però che il discorso del presidente italiano, Giorgio Napolitano, è stato meno duro rispetto a quelli del passato.
Napolitano, in effetti, ha misurato le parole, ma non ha mancato di lanciare alcuni segnali. Il più forte è stato quello in cui ha chiesto che un “capitolo così originale e specifico della cultura e della storia non solo italiana ma europea sia non semplicemente riconosciuto ma acquisito come patrimonio comune nelle nuove Slovenia e Croazia”. Il presidente, di fronte agli esponenti degli esuli, ha anche rimarcato l’impegno dell’Italia “per la soluzione dei problemi ancora aperti (…) nel rapporto con le nuove istituzioni e autorità croate e slovene”.
Gli ha risposto con toni alquanto cordiali, due giorni dopo, il presidente sloveno, Danilo Türk, sottolineando che le tragiche esperienze di tutta la Seconda guerra mondiale e dell’immediato dopoguerra non devono essere dimenticate. Türk ha ribadito che in Slovenia si è apprezzato che lo scorso anno Napolitano si sia soffermato sulle sofferenza causate anche a molti sloveni dal fascismo; poi, il presidente sloveno, ha parlato della necessità di un ampio dialogo “per superare i pregiudizi ancora esistenti”. Lubiana – ha aggiunto Türk – è fortemente interessata alla reale soluzione dei problemi aperti, compresi quelli della minoranza slovena in Italia.
Se l’Italia ha tirato in ballo le questioni legate agli esuli, la Slovenia ha subito risposto mettendo sul piatto la situazione in cui si troverebbe la sua minoranza. La tutela delle minoranze slovene all’estero, d’altronde, è uno dei crucci della politica slovena e viene posta ad ogni incontro con esponenti italiani, austriaco o ungheresi.
Dall’articolato mondo degli esuli non sono mancate reazioni positive per quanto detto dal capo dello Stato sloveno. Il presidente dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, Lucio Toth, le ha subito definite “un passo avanti significativo nel riconoscimento della tragedia che ha colpito gli italiani d’Istria di fiume e della Dalmazia al termine della Seconda guerra mondiale”. Poi, con grande maestria, ha aggiunto che i torti subiti dal popolo sloveno ad opera del regime fascista sono una verità che gli esuli non hanno mai nascosto: “sia riguardo alle discriminazioni cui fu sottoposta la minoranza slovena e croata della Venezia Giulia durante il ventennio fascista (…), sia riguardo alle sofferenze della Slovenia d’oltralpe occupata dall’esercito italiano(…)”. Toth ha concluso dicendo che “ricordare insieme significa rispettarsi”.
Toth del resto sapeva che il suo discorso sarebbe stato letto anche in Slovenia ed infatti è stato subito ripreso dall’agenzia di stampa nazionale. Toth del resto già lo scorso anno fu al centro di un’iniziativa dal grande impatto mediatico. I due quotidiani triestini, quello di lingua italiana “Il Piccolo” e quello di lingua slovena “Primorski dnevnik”, avevano, infatti organizzato un singolare dibattito pubblico mettendo dietro allo stesso tavolo Toth e un esponente della minoranza slovena, l’ex senatore Miloš Budin. Fu il primo tentativo di dialogo tra gli sloveni di Trieste e gli esuli. I due dimostrarono che non soltanto era possibile parlarsi, ma anche essere d’accordo su molti punti.
Quell’evento fu salutato persino da un comunicato dello stesso presidente della repubblica slovena, che in quell’occasione sottolineò che seguiva con grande interesse le attività che contribuivano al dialogo ed alla distensione delle passioni politiche tra gli esuli e gli sloveni d’Italia.
Tra le polemiche a bassa intensità tra Slovenia ed Italia, quindi pare poter esserci anche qualche spiraglio di dialogo, a cui, ovviamente, non tutti guardano con sincero entusiasmo. La grande pacatezza di quest’anno, comunque, sembra percorrere la strada tracciata in un bel saggio scritto alcuni anni fa dal professor Guido Crainz, dal titolo “Il dolore e l’esilio”. Nel testo si esaminava la complessa vicenda del confine orientale invitando soprattutto a riflettere sul “dolore degli altri”. I politici e l’opinione pubblica slovena ed italiana dovrebbero soprattutto imparare a far questo: in sintesi prima di guardare le colpe degli altri dovrebbero fare i conti con le proprie.
D’altra parte l’assenza, o quasi, di polemiche legate alla Giornata del ricordo l’hanno forse fatta entrare nella normalità. E’ il segno che da una parte è diventata accettabile e che dall’altra si è anche esaurita la spinta propulsiva dei primi anni, che aveva dato vita ad un ampio ed articolato dibattito politico, non sempre dai risvolti positivi.
Per contro le associazioni degli esuli sono soddisfatte. Le iniziative crescono ogni anno in tutta Italia e addirittura nascono nuovi comitati nelle più svariate città. Per gli esuli il 10 febbraio è diventato un momento, a volte, anche catartico, dove poter raccontare la loro esperienza e riflettere su loro stessi.
Quello che hanno ottenuto in questi anni è stato di aver fatto diventare il loro dramma parte integrante della storia d’Italia. L’operazione ovviamente non è priva di conseguenze. Sino a ieri, infatti, erano proprio loro i custodi della memoria di quelle vicende, che avevano un esatto schema interpretativo e che nessuno era interessato a mettere in discussione. Oggi non è più così. Per il professor Giuseppe Parlato – presidente del comitato scientifico del Centro di documentazione multimediale per la cultura giuliana, istriana, fiumana e dalmata – infatti si tratta di passare dalla mera elaborazione della memoria all’interpretazione storica che per sua natura è diversa dalla memoria.
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