Il deserto inclinato di Marija Čudina
Poetessa croata e belgradese, poco conosciuta anche in patria, ma tradotta all’estero. Marija Čudina è un’artista d’avanguardia dall’anima selvaggia. Danilo Kiš dedicò un saggio a lei e alla sua poesia. La sua poesia richiede uno sforzo, ma è uno sforzo piacevole
Solcando il mare del web facilmente scoprirete che il nome di Marija Čudina (Lovinac, 1937 – Belgrado, 1986), poetessa croata e belgradese, viene perlopiù associato al nome e all’opera del pittore Leonid Šejka (1932 – 1970). Čudina fu la prima moglie di questo artista serbo e jugoslavo, spirito e anima di Medijala. Un piccolo promemoria: Medijala è quel movimento d’avanguardia sui generis, sorto nell’ex Jugoslavia nel secondo dopoguerra, che ancora oggi può insegnarci qualcosa sulla necessità di mantenere vivo il legame tra il tradizionale e il moderno.
Sì, Čudina fu la moglie di Leonid Šejka, ma aveva la propria voce, le proprie poesie, una propria visione poetica. È vero che l’ombra di Šejka sovrasta l’opera poetica di Čudina, ed è un’ombra complessa, ma il pittore e la poetessa seppero gestire questa complessità: lui era lui, lei era lei.
Non sforzatevi inutilmente durante il vostro viaggio nel mare virtuale, non vi troverete alcuna informazione sulla presenza delle poesie di Čudina nelle liste delle letture scolastiche. Questo perché la sua opera non è mai entrata nel canone scolastico né in Croazia né in Serbia, né tanto meno in altri paesi della regione. Probabilmente però vi imbatterete in informazioni riguardanti le traduzioni delle poesie di Čudina in inglese, polacco, olandese, ungherese, romeno. E una versione italiana? Vi risparmio la fatica di cercare condividendo questo link dove troverete una manciata di poesie di Čudina tradotte in italiano.
Danilo Kiš dedicò un saggio a Čudina e alla sua poesia, sostenendo: “Nessuno mai riuscirà a scrivere una biografia di Marija Čudina sulla base delle sue poesie. In loro è impossibile scovare il destino personale della poetessa; Čudina non ha un destino personale”.
Alcuni stretti amici di Čudina nelle loro memorie affermano che spesso sembrava che la poetessa stesse fuggendo dalla propria biografia, cioè dai fatti della cosiddetta vita reale. Ma non aveva mai cercato di fuggire dalle parole, anzi, sembra che le parole cercassero lei.
È vero però che i cenni biografici di Čudina sono talmente pochi da riempire appena un quarto di pagina. Nasce nel 1937 nel villaggio di Lovinac, nella regione della Lika, frequenta il ginnasio a Sisak, per poi trasferirsi a Zagabria per studiare lingue e letterature dei popoli slavi del sud. Non avendo mai completato gli studi, per un certo periodo lavora come giornalista per il quotidiano Slobodna Dalmacija. Nel 1961 sposa Leonid Šejka e la coppia si trasferisce a Belgrado dove la poetessa rimarrà fino alla morte, avvenuta nel 1986.
Molto più lunga della sua biografia è la lista dei libri di poesie e prose di Čudina pubblicati a partire dal 1959, a cui si aggiunge anche un lungo elenco dei giornali su cui sono state pubblicate le sue opere.
Volendo scoprire qualcosa di più su Lovinac, villaggio natale di Čudina, ben presto ci si rende conto che su Wikipedia (sia quella croata sia quella serba, ma anche quella bosniaca) da nessuna parte viene menzionato il fatto che in quel luogo è nata una delle voci poetiche più originali della letteratura croata e jugoslava (su Wikipedia in lingua croata come l’unica “persona celebre” nata a Lovinac viene citato un certo conte Ivan Karlović). Chi ha scritto le voci dedicate a Lovinac su Wikipedia evidentemente non ritiene importante il fatto che vi è nata una poetessa le cui opere sono state incluse in tutte le grandi antologie della poesia croata e tradotte in diverse lingue europee. Se Marija Čudina, ovunque sia la sua anima, dovesse venire a conoscenza di questa trascuranza, credo sarebbe contenta: è rimasta viva nella sua unica vera patria, ossia nelle sue poesie.
Ma lasciamo stare i nobiluomini e l’aldilà, e torniamo alla nostra poetessa. In occasione della pubblicazione postuma di un libro incompiuto di Čudina intitolato Nož punog mjeseca [Il coltello della luna piena, Spalato, 1990] Tonči Petrasov Marović descrisse così l’essenza dell’opus poetico di Čudina: “Marija era una persona coraggiosa, forte e pervicace. Viveva senza inganni. Così anche scriveva: senza ingannare né se stessa né gli altri. Senza cercare di stemperare quella duplicità che era il suo destino”.
In un breve documentario intitolato Ogledalo pesnika [Lo specchio del poeta], l’editore Slobodan Mašić ricorda un episodio accaduto nel 1966. Essendosi ribellata contro il regime comunista, Čudina fu arrestata insieme agli altri membri del gruppo Medijala. Mašić ricorda che, pur essendosi ritrovati nei corridoi oscuri e freddi del carcere di Belgrado, i membri di Medijala furono travolti da una sentimento solare e caldo, ossia dalla sensazione di sacrificarsi l’uno per l’altro e per la libertà di espressione e creazione. Parlando di Čudina, Slobodan Mašić afferma: “Ricordo il suo piccolo corpo, i vestiti che indossava. La guardavo negli occhi pensando: Dio mio, questa Čudina ha la forza di far sentire la sua voce per difendere la reputazione di tutti noi”. Questo documentario, che è stato presentato anche al Torino Film Festival, è riuscito a rimediare alla lunga marginalizzazione della figura e del contributo di Čudina al gruppo Medijala.
Leggere la poesia di Čudina richiede uno sforzo, ma – come vedrete – è uno sforzo piacevole. La sua poesia lascia una traccia in ogni lettore, una traccia profonda tanto quanto profondo può essere il desiderio di ritornare a quei versi che rivelano il dramma del divario tra l’io e il mondo, il desiderio della poetessa di trasformare la fauna del mondo in un bestiario simbolico da decifrare. In quel bestiario c’è anche lei, un’anima selvaggia, sempre pessimista nel percepire l’esistenza, un io complesso in costante metamorfosi. Il fauvismo poetico di Čudina è frutto di una virtuosa intemperanza dello spirito e della lingua, frutto di un io privo di qualsiasi illusione su se stesso, sugli altri, sulla terra e sul cielo, espressione appunto di un’anima selvaggia (come recita anche il titolo di una raccolta delle sue poesie).
Gli amici di Marija Čudina la descrivevano come una donna di minuscola statura con la forza di un animale poderoso, sostenendo che aveva un carattere selvaggio e che era sempre fedele a se stessa, ai suoi amici, e soprattutto a Leonid Šejka. Una fedeltà che non aveva nulla a che fare con la possessività. Čudina e Šejka rimasero vicini anche dopo il divorzio, ne è prova la prima biografia di Šejka scritta propria da Čudina, un vero e proprio libro di poesie in prosa su un artista che ha portato uno spirito nuovo all’arte serba e jugoslava della seconda metà del Novecento. Ho letto alcune pagine in cui si afferma che Leonid e Marija vivevano, come individui e artisti, in un mondo che assomigliava ad uno di quegli enormi dipinti di Šejka, e che una delle finestre del loro appartamento, situato al nono piano di un vecchio palazzo a Belgrado, dava sulla pianura pannonica.
E lei, Marija Čudina? Scriveva di montagne, vulcani e rocce osservando la pianura. Riescono a farlo solo quelli che hanno un’anima selvaggia e irrequieta?
Una sua amica ha ricordato un episodio interessante. “Mangiavamo le prime fragole su un balcone. Ad un certo punto lei disse: ‘Leonid e io eravamo due vulcani paralleli. La sua lava sputava creature provenienti da altre galassie, la mia invece varie tigri terrestri ed extraterrestri”.
L’anima selvaggia di Čudina?
Ecco un frammento tratto da un suo saggio intitolato Opredmećenost [Oggettivazione]: “L’uomo dall’anima selvaggia è un malinconico, incline ad un’euforia improvvisa e irruente, alla follia immaginata, alla fatale predestinazione, ai sogni sul suicidio, alla predizione fantasmagorica, alla perfezione (solo nei sogni); ama la solitudine, i segni grafici, i vecchi alfabeti gotici, gli iniziali-geroglifici, gli specchi che emanano un bagliore opaco, i pozzi, i vulcani disposti parallelamente ai mari-oceani burrascosi, il disco lunare, le frecce, le tigri. È bizzoso. Solitario”.
Aggiungo solo una riflessione di Danilo Kiš sull’opera poetica di Čudina: “Tale poesia non riscuote successo, non può riscuotere successo, perché non è mossa dal desiderio di piacere né di raggiungere successo. Essa cerca, e trova, i fedeli, quelli che nella sua voce, nel suo silenzioso lamento e nella sua imprecazione troveranno i propri pensieri nascosti, la propria voce”.
Per concludere, propongo ai lettori una delle più belle lettere d’amore del Novecento della mia ex patria.
La prima lettera di Leonid Šejka a Marija Čudina
Cara Marija Čudina,
Finora non ho mai scritto a qualcuno che non conosco, ma per me lei non è una sconosciuta, l’ho conosciuta del tutto casualmente sfogliando ‘Mladost’. Ho visto una sua fotografia e un’intervista con lei. Ho menzionato prima la fotografia perché è stata essa a spingermi a leggere l’intervista. E, per farla breve – mi è piaciuta. Sia la foto sia l’intervista. E ora cosa mi aspetto? – nulla di particolare! Volevo dire solo questo. Prima di tutto, non conosco nemmeno il suo indirizzo, proprio così:
Per me lei è una creatura irreale, una specie di astrazione.
Qui davanti a me c’è solo una piccola impronta del suo volto e dei suoi pensieri, ma non è forse anche questa una forma di presenza? Eppure la mia voce va in una direzione indefinita, ed è poco probabile che si senta la sua eco; del resto, anche quando mandiamo lettere all’indirizzo giusto a volte non riceviamo alcuna risposta. Lei comprenderà se le dico che l’attesa di una lettera è un grande dolore, poi le dico anche che attualmente sto prestando servizio militare (mancano ancora tre mesi e mezzo), e lei forse già sa (forse anche no) che il servizio di leva è una buona occasione per essere dimenticati e per sentirsi soli. Lei conosce la solitudine, ha menzionato questa parola.
“Chi di noi non rimarrà per sempre estraneo e solo”.
Ma forse lei non è più sola, lo spero. Le dico apertamente cosa spero – spero di ricevere una sua lettera, una lettera qualsiasi. Lo ammetto, vorrei conoscerla meglio. Marija Čudina!
Sin da ieri, quando l’ho letto, mi piace pronunciare questo nome, lo pronuncio con la “d” morbida, perché somiglia ad un nome russo. Solo in un secondo momento ho notato la sua poesia, sì, in tutto questo c’è qualcosa che sento vicino.
“Attraverso il binocolo dell’orrore si vede un deserto inclinato”.
“un deserto inclinato”… ogni arte che vale mi è vicina, ma non intendevo solo questo, c’è qualcos’altro, penso al suo volto… Se per qualche miracolo le giunge questa lettera, mi scriva qualcosa, se le va. Nel frattempo, la penserò. Forse per lei questo non ha alcuna importanza, ma di certo non è una cosa spiacevole. Due parole su di me: vivo a Belgrado, ho ventinove anni, faccio il pittore.
Infine mi presento e aggiungo il mio indirizzo
Leonid Šejka
V. P. 9775 Titovo Užice
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