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Il biologico in Serbia

Qualità, rigore, informazione: questi i fattori chiave nello sviluppo del settore biologico. Inizia dalla Serbia una panoramica di BalcaniCooperazione sull’agricoltura bio nei Balcani

20/10/2009, Matteo Vittuari -

Il-biologico-in-Serbia

Il biologico cresce e i numeri iniziano ad essere importanti. A livello mondiale sono 141 i paesi dove viene praticato questo tipo di agricoltura (che esclude l’uso di sostanze chimiche di sintesi) e tra il 2000 ed il 2007 la superficie mondiale coltivata a biologico è aumentata del 118% raggiungendo i 32,2 milioni di ettari. Lo dicono i dati di uno studio del Worldwatch Institute, e lo confermano numerose ricerche di mercato. L’Europa è il secondo continente, dopo l’Oceania, per ettari destinati al biologico. Italia, Spagna e Germania contano per circa il 40% dei 7,8 milioni di ettari complessivi dell’UE e paesi come Polonia e Gran Bretagna stanno crescendo rapidamente.
 
E il Sud Est europeo? Il potenziale è decisamente importante, ma il biologico resta un settore estremamente complesso dove si compete sulla qualità e giocano un ruolo importante gli enti di certificazione, dove i produttori devono rispettare in modo rigoroso regolamenti e normative ed il consumatore medio è particolarmente attento ed informato. Per avere un quadro di riferimento più preciso è bene andare a vedere nel dettaglio la situazione in alcuni paesi della regione.

Osservatorio ha intervistato Nikola Damljanović, che lavora da alcuni anni come esperto indipendente e come ispettore per BioAgricert, un organismo indipendente di controllo e certificazione delle produzioni agro-alimentari biologiche con sede in Italia ed in alcuni paesi del Sud Est Europa (Bulgaria, Romania e Serbia).

Quando si è iniziato a parlare di biologico in Serbia?

In Serbia il primo regolamento sull’agricoltura biologica è stato adottato nel 2006, con l’obiettivo di definire un quadro di riferimento per lo sviluppo del settore. Ovviamente il quadro normativo è stato influenzato dal processo di integrazione europea e quindi si è evoluto ispirandosi ai principali e successivi regolamenti comunitari in materia (EC Reg. 834/2007, 889/2008).

Quindi il settore non è ancora maturo…

In realtà in Serbia non esiste ancora un mercato per i prodotti bio: da un lato non c’è una quantità sufficiente di prodotti da commercializzare attraverso la grande distribuzione organizzata e dall’altro la domanda è ancora limitata. La maggior parte dei prodotti biologici sono destinati all’esportazione e il mercato locale è ancora largamente dominato dai prodotti convenzionali, per i quali è ammesso l’utilizzo di sostanze chimiche di sintesi e non esiste un sistema di certificazione e controllo.

Che ruolo per l’agricoltura biologica nel quadro della politica agricola nazionale?

Sulla carta, all’interno dei documenti strategici (per la lotta alla povertà, per lo sviluppo rurale, per la protezione dell’ambiente), l’agricoltura biologica occupa uno spazio importante. Il discorso cambia nel passaggio dalla teoria alla pratica. Sostanzialmente mancano piani d’azione e misure specifiche per la realizzazione di queste linee strategiche e per un pieno supporto al settore.

A livello di strumenti di politica agraria, quali misure sono state utilizzate?

Le misure a supporto dell’agricoltura biologica sono ancora poche ed insufficienti. Fino ad ora il budget dedicato è stato decisamente ridotto, sono stati raggiunti pochi beneficiari ed erogati soltanto aiuti diretti. I risultati, se ci sono, restano ben poco visibili. Esistono comunque alcune proposte per l’introduzione di misure indirette, come la riduzione dell’imposta sul valore aggiunto per le produzioni biologiche.

Certificato biologico Serbia

E i produttori? In prospettiva il biologico viene considerata un’opportunità?

Come detto al momento non c’è mercato, il supporto da parte del governo è ridotto ed i consumatori, come i produttori, non sono preparati e non comprendono appieno i benefici e le potenzialità del biologico. In sostanza, molti produttori non vedono ancora il bio come un’opportunità. Fino ad ora ci sono stati soprattutto casi di produttori medio-grandi orientati all’esportazione, mentre i piccoli produttori che scelgono di orientarsi verso il bio sono ancora pochi. Tuttavia esiste un gruppo di "pionieri", produttori medio-piccoli che condividono l’idea che nel medio termine il biologico inizierà a crescere anche in Serbia, come accaduto negli altri paesi europei.

Hai parlato di esportazioni. Quali sono i principali partner commerciali?

I partner principali sono sicuramente i paesi della Comunità europea, seguiti da Stati Uniti e Giappone. A livello di prodotti, per la maggior parte si tratta di cosiddetti piccoli frutti: ciliegie, fragole, lamponi, mirtilli, more ed erbe officinali. E anche qualche trasformato come succhi di frutta e marmellate.

E per quanto riguarda l’Italia? Ci sono state o sono in essere progetti o collaborazioni?

Negli ultimi anni ci sono stati importanti progetti di formazione, come BIO 84 (Training of Technical experts in organic agriculture, in support of rural development and of food emergency in the Balkan area), promosso dall’Istituto Agronomico Mediterraneo di Bari e rivolto alla formazione di esperti locali. Oltre alla formazione vanno poi menzionate le relazioni commerciali. Ci sono prodotti biologici italiani sul mercato serbo e allo stesso tempo prodotti serbi (cereali su tutti) che vengono esportati in Italia.

Dai produttori ai consumatori. Hai detto che manca la consapevolezza dei benefici che può offrire il biologico. Ma la domanda interna di prodotti bio cresce o non esiste proprio?

In qualche modo si sta consolidando, anche se lentamente e senza un trend prevedibile. È anche vero che con lo sviluppo della Serbia come destinazione turistica sta crescendo una domanda di prodotti bio da parte di turisti stranieri e di conseguenza sta lentamente aumentando anche l’importazione di alcuni prodotti proprio per soddisfare tali richieste. Questo probabilmente avrà un impatto anche sui consumatori locali, che per ora mantengono comunque un atteggiamento piuttosto scettico.
 
Per concludere: barriere e opportunità…

Credo che tra i vincoli principali vada inclusa la mancanza di adeguate campagne informative con il risultato di consumatori ancora poco aperti verso il biologico e quindi con una domanda che come detto cresce lentamente. Un discorso simile si può fare per i produttori: poca informazione sulle tecnologie e sui requisiti legali. Oltre a questi aspetti va registrata la mancanza di canali di commercializzazione dedicati e la difficoltà del governo nel passare dai piani strategici alle azioni concrete. In realtà il quadro legislativo è ancora lontano dall’essere definito pienamente, soprattutto per quanto riguarda i prodotti destinati all’esportazione verso i Paesi comunitari.

Inoltre sul mercato mancano alcuni degli strumenti tecnici utilizzati nel biologico: i fertilizzanti ammissibili, i prodotti per la difesa delle piante. Infine, ma questo è un problema che riguarda il settore agricolo nel suo complesso, manca l’associazionismo che potrebbe costituire un vero motore per lo sviluppo del bio. Associazioni, unioni e cooperative potrebbero rappresentare strumenti importanti per la diffusione delle informazioni, per l’acquisto dei mezzi tecnici, per l’individuazione di strategie di marketing appropriate, per la creazione di gruppi di certificazione.

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