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I padrini di Sarajevo

Intrecci criminali che affondano le radici nei conflitti degli anni Novanta. Dalle cronache dei processi un quadro delle attività illecite dei gruppi organizzati presenti in Bosnia Erzegovina e nel resto dei Balcani

06/11/2013, Cecilia Ferrara -

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"Non eravamo responsabili di fronte a nessuno, tranne nei confronti dello Stato. Dopo la guerra avrebbero dovuto ucciderci tutti, inventarsi una trappola, una parata in cui ci avrebbero fatto fuori. Perché avevano fatto di noi 300 bestie". Milenko Lakić detto Laki, ex "berretto rosso" di Bijeljina, sta parlando dei vecchi tempi con il gruppo paramilitare di Milorad Ulemek Luković diventato poi Unità per le operazioni speciali del governo serbo (JSO). Riflette con il suo compagno di cella a Mostar senza sapere di essere registrato dalla SIPA, l’Agenzia investigativa statale della Bosnia Erzegovina.

Siamo nel 2011, in novembre. Lakić era stato arrestato un anno prima come associato al gruppo criminale di Zijad Turković, accusato di omicidio e di aver partecipato ad un furto di 2 milioni e mezzo di marchi all’aeroporto di Sarajevo. Lakić viene dalla formazione militare di Luković “Legija”, responsabile dell’omicidio del premier serbo Zoran Đinđić. Oggi è un sicario. "Tutti gli uomini sono potenziali assassini, la differenza è che io ho imparato ad uccidere – dice al suo compagno di cella. Sai che si dice in giro? Che se non riesci ad uccidere qualcuno devi chiamare Kalinić [Sretko Kalinić del clan di Zemun condannato a 40 anni per l’omicidio di Đinđić ndr.] o Lakić".

Queste sono alcune delle storie che stanno emergendo nel corso del processo Turković, presunto capo di un gruppo criminale a Sarajevo. E Lakić in fondo non è nessuno. E’ un esecutore, eroinomane oltretutto, che racconta di aver lavorato oltre che con Zijad Turković, anche con Darko Šarić e Sreten Jocić (Joca Amsterdam).

La storia agghiacciante di Laki è solo un piccolo frammento del complicato milieu criminale bosniaco-erzegovese. Oggi alcuni processi della procura contro il crimine organizzato e alcune operazioni della SIPA stanno portando alla luce intrecci importanti, ma il sistema giudiziario e inquirente soffre ancora un’evidente debolezza.

Intanto la Bosnia Erzegovina resta uno snodo fondamentale per tutti i tipi di traffici illegali che passano dai Balcani, in primis quello dell’eroina che proviene dall’Afghanistan arrivando in Bosnia dal Sangiaccato o dal Montenegro, e quello della marijuana che arriva sia dall’Afghanistan che dall’Albania.

Secondo le ricerche del sarajevese Centro per il giornalismo investigativo (CIN) , dal Sangiaccato serbo partono ogni settimana 20, 30 chili di eroina con destinazione Sarajevo, e tutti i più importanti gruppi hanno connessioni criminali con la capitale bosniaca. Le rotte afghane dell’eroina arrivano in Bosnia passando da Peć/Peja (Kosovo), Novi Pazar (Serbia) e Rožaje (Montenegro). Ultimamente, come raccontano i testimoni nel processo Turković, anche la rotta della cocaina, grazie agli “uffici” di Darko Šarić, potente narco-boss montenegrino ancora latitante.

Il processo Turković

Il procedimento che si sta concludendo in queste settimane a Sarajevo contro Zijad Turković, racconta una parte degli eventi legati al mondo criminale sarajevese. Turković è accusato di essere a capo di un’organizzazione criminale e, assieme agli altri incriminati (fra i quali Lakić), di reati che vanno dal racket al traffico di cocaina, all’omicidio e tentato omicidio, fino alla rapina aggravata. Il capo è l’unico bosniaco mentre i suoi soci, anch’essi incriminati, sono cittadini serbi o croati e gli atti criminali – traffico di droga e riciclaggio di denaro – vengono compiuti in più paesi dei Balcani occidentali. L’accusa ha chiesto 45 anni di pena detentiva per il capo del presunto gruppo criminale, e il massimo della pena per gli altri.

Durante le indagini le attività di Turković sono venute alla luce soprattutto grazie ad un pentito: Isljam Kalender. Assieme al suo braccio destro Saša Stijepanović, secondo quanto racconta Kalender, Turković gestiva il traffico di cocaina ed eroina che veniva trasportata nascosta in particolare in una BMW. Veniva comprata in Montenegro e a Bijeljina, portata a Sarajevo dove veniva tagliata, impacchettata e rivenduta. Stijepanović, munito di passaporto croato, poteva entrare in Europa occidentale senza visto e fare da corriere verso i paesi ricchi.

Nel 2007 il gruppo organizza il grande colpo, una rapina al Centro Cargo dell’aeroporto di Sarajevo. Grazie ad un complice interno, vestiti da unità speciali della polizia, gli uomini di Turković riescono a rubare 2,5 milioni di marchi. Con la sua “stecca” di 250 mila euro Turković avrebbe comprato un’azienda in Macedonia in via di privatizzazione. Un classico del riciclaggio nei Balcani. Il restante, circa un milione di euro, sarebbe finito a soci serbi non ancora individuati.

A Turković e complici sono stati imputati 5 omicidi e il tentato omicidio di Naser Kelmendi e di suo figlio Elvis. Il tentato omicidio di Kelmendi è l’unico capo di accusa per il quale si dichiara colpevole. "Ho avuto l’ordine da Fahrudin Radončić", ha dichiarato Turković durante la deposizione, "e mi sento in colpa perché ho preso i soldi e non ho fatto il lavoro".

Turković vs Kelmendi vs Radončić

Kelmendi, il “controverso businessman” di origine kosovara, ritenuto dagli inquirenti il vero Al Capone dei Balcani e arrestato in Kosovo lo scorso maggio, negli anni era diventato un acerrimo rivale di Turković.

Pochi mesi prima di darsi alla macchia per l’operazione anti-mafia “Lutka” [bambola] nel settembre del 2012 che lo avrebbe visto tra gli incriminati, Kelmendi fa il suo dovere di cittadino e va a testimoniare contro Turković (si può ancora trovare in video) e racconta di come sia stato presentato a Turković dal suo caro amico e compare Muhammed Ali Gaši (condannato a 20 anni per reati legati al crimine organizzato, estorsione e tentato omicidio).

Kelmendi dice che era rappresentante di alcune marche di sigarette in Kosovo. Spiegazione che fa sorridere se si pensa che secondo la polizia serba, come racconta B92, Kelmendi fece i soldi proprio con il contrabbando di sigarette, con cui finanziò l’UCK. Infine racconta di come per tre volte Turković abbia tentato, fallendo, di ucciderlo. Una di queste al Radon Plaza, hotel dell’uomo politico Radončić, dove stava festeggiando il matrimonio del figlio Elvis.

Fahrudin Radončić, patron del quotidiano sarajevese Dnevni Avaz, presidente del "Partito per un futuro migliore" e oggi ministro per la Sicurezza, invece, riesce ad uscirne pulito, nonostante i numerosi legami con quello che è ormai ritenuto il più potente trafficante di droga dei Balcani, Naser Kelmendi (tra i due ci fu almeno uno scambio di denaro, 100.000 euro, e di un immobile a Zenica, l’uso della sua Grand Cherokee e numerose frequentazioni). Radončić si giustifica dicendo che aveva rapporti con lui prima che diventasse “controverso”.

Un ruolo nella storia lo gioca anche Selja Jugo – Turković, moglie di Zijad, che è stata per tanti anni giornalista al Dnevni Avaz e alla TV Alfa. La donna, che oggi scrive sul tabloid Express, sostiene da tempo che il marito è a processo per coprire le malefatte di altri, in particolare di Radončić e Kelmendi i quali, secondo quello che avrebbe sentito in prima persona, avrebbero pianificato l’omicidio di Ramiz Delalić “Ćelo”, avvenuto nel 2007 (ancora oggi la principale accusa contro Kelmendi).

I ragazzi di Sarajevo Est

Quindi il campo è diviso tra albanesi e non albanesi? Non solo, tramite il processo Turković si viene a conoscenza anche di gruppi che agiscono a Sarajevo Est più o meno in accordo con Turković o con Kelmendi.

Ne sarebbe coinvolto Darko Elez, che si trova in carcere a Sremska Mitrovica in Serbia, con l’accusa di essere a capo di un gruppo criminale che si occupava di traffico di stupefacenti ed omicidi. Secondo i media serbi era il gruppo destinato a prendere il posto di Sretko Kalinić e degli altri della “vecchia guardia” ora in carcere per l’assassinio del giornalista croato Ivo Pukanić.

Dalla Serbia Elez è apparso in video-conferenza al processo di Turković raccontando di come quest’ultimo lo avesse contattato per la rapina al Cargo Center a Sarajevo ma che lui si era rifiutato. Dopo di che era venuto a sapere che il colpo sarebbe stato attribuito a lui grazie all’influenza della moglie di Turković come giornalista. Inoltre egli stesso sarebbe stato nel mirino di Lakić come obiettivo da essere “liquidato” così come altri “amici” suoi a Sarajevo. Elez racconta di come Turković fosse in affari con Šarić per lo smercio della cocaina in Bosnia Erzegovina e di come addirittura avesse chiesto al montenegrino (ancora latitante) di fargli il favore di uccidere Elez a Belgrado.

Intanto anche l’Agenzia investigativa statale della Bosnia Erzegovina (SIPA) durante l’operazione denominata “Lutka” è arrivata a compiere indagini e la procura ad aprire incriminazioni contro Elez e altri 30 membri del suo gruppo per crimine organizzato con attività di estorsione, rapina e atti di violenza portate avanti a Sarajevo Est ovvero a Lukavica, piccolo paese a maggioranza serba a est di Sarajevo, dal 2004 in poi.

Ma anche tra i “bravi ragazzi” di Sarajevo Est non mancano le rivalità. Fra le imputazioni a Elez vi è infatti anche il tentato omicidio nei confronti di Đorđe Ždrale, altra figura criminale, famoso per essere uno di quelli che raccoglievano i soldi per la latitanza di Karadžić, e soprattutto altro noto assassino che sta scontando 20 anni di carcere per l’omicidio di Ljubiša Savić detto Mauzer, ex capo della polizia della Republika Srpska ed ex comandante dell’unità le Pantere dell’esercito serbo-bosniaco. Mauzer fu ucciso da Ždrale mentre questi era in permesso premio da un’altra condanna che stava scontando per un omicidio precedente.

Con l’arresto di Kelmendi lo scorso maggio sembra però che i pezzi grossi siano stati presi. Ciò che manca è il livello politico, quello del grosso business e delle istituzioni. Chi proteggeva Kelmendi? Chi difendeva Ždrale e Elez? Sono tutti interrogativi che forse si riusciranno a risolvere in un eventuale processo Kelmendi, la cui estradizione però sembra ancora lontana. Per ora ‘il capo del narcotraffico dei Balcani’ resta in Kosovo. Il tribunale di Pristina, seguendo una richiesta della procura EULEX, ha prolungato la detenzione di Kelmendi fino al 7 gennaio 2014. Le risposte a queste domande dunque dovranno ancora attendere.

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