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Eurodeputati, migranti e polizia croata: le tensioni del confine croato-bosniaco

Sabato 30 gennaio al confine tra Croazia e Bosnia Erzegovina la polizia croata ha bloccato un gruppo di eurodeputati italiani. Una vicenda che mette in rilievo quanto la situazione sia esplosiva e quanto la soluzione non possa che essere europea

03/02/2021, Giovanni Vale - Zagabria

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"Questa è solo l’ultima di una serie di provocazioni contro la polizia croata nell’adempimento delle sue funzioni". Il ministro dell’Interno croato, Davor Božinović, ha commentato così l’incidente avvenuto questo sabato alla frontiera tra Croazia e Bosnia Erzegovina, dove quattro eurodeputati italiani sono stati bloccati dalla polizia croata mentre visitavano la regione attorno a Bojna, una zona in cui negli ultimi mesi sono stati segnalati molti respingimenti illegali e atti di violenza nei confronti dei migranti, perpetrati dalle forze dell’ordine di Zagabria.

"Non era una delegazione ufficiale ma una visita privata", ha proseguito Božinović, facendo riferimento alla missione che i parlamentari europei Pietro Bartolo, Alessandra Morretti, Pier Francesco Majorino e Brando Benifei (tutti in quota S&D) avevano organizzato tramite l’ambasciatore croato a Roma. Dopo alcuni incontri a Zagabria sabato mattina (tra cui la visita del centro per richiedenti asilo Porin ), i quattro deputati – accompagnati da tre giornalisti – si erano diretti al confine croato-bosniaco e quindi all’area di Bojna, a est di Velika Kladuša, con l’obiettivo di osservare il checkpoint tra i due paesi.

Campo di Lipa (foto © IPSIA)

The Lipa camp (photo © IPSIA)

I filmati pubblicati dal quotidiano Avvenire e da Fanpage raccontano il seguito, ovvero l’improvviso intervento della polizia croata che ha sbarrato la strada ai parlamentari impedendo loro di ispezionare la frontiera. "La polizia ha fermato il gruppo a 200 metri dal confine e ha detto loro che non potevano attraversare la frontiera illegalmente. Sette agenti di polizia hanno bloccato loro la strada", ha spiegato nella conferenza stampa di sabato sera il capo della polizia di frontiera, Zoran Ničeno, secondo cui "in quel momento, anche i migranti volevano attraversare il confine (dalla Bosnia, nda.)".

Per evitare che la visita degli eurodeputati permettesse ai migranti di entrare in Croazia, le autorità di Zagabria hanno dunque deciso di interrompere la missione del gruppo. "Abbiamo proposto loro (agli eurodeputati, nda.) di guardare il confine da qualche altra parte, ma si sono rifiutati. Poi sono andati in Bosnia Erzegovina", ha concluso Ničeno, mentre Božinović si è scagliato contro l’opposizione e in particolare contro l’eurodeputata croata Biljana Borzan (S&D), colpevole di aver difeso i colleghi parlamentari invece dell’"interesse nazionale croato", come ha affermato il ministro.

La provocazione di Paola L.

Cosa c’è di vero in questa storia e cos’è successo domenica al confine croato-bosniaco? Effettivamente sembra ci sia stato un tentativo di attraversamento del confine proprio nel momento in cui gli eurodeputati erano in visita. E non si sarebbe trattato di un fenomeno spontaneo, ma organizzato. Ieri, il portale croato Telegram ha infatti rivelato che una giornalista italiana, tale Paola L., avrebbe cercato, sabato, di passare dalla Bosnia Erzegovina alla Croazia portando con sé 11 migranti, con lo scopo di "mostrare ai deputati europei la reazione della polizia croata".

A dichiararlo è stato un ufficiale della polizia bosniaca di frontiera (GP BIH), Svevlad Hoffmann, secondo cui "la giornalista ha chiesto agli agenti della GP BIH di lasciare che un gruppo di migranti entrasse illegalmente in Croazia in modo che gli eurodeputati potessero vedere come li trattava la polizia croata". La donna, regolarmente residente in Bosnia, avrebbe inoltre detto di essere in contatto con i giornalisti che stavano accompagnando la delegazione di parlamentari europei (da cui forse l’accusa di "provocazione" espressa dal ministro Božinović nei confronti di tutta la delegazione). Le forze dell’ordine bosniache hanno rifiutato di lasciare passare il gruppo. Alla stampa croata Svevlad Hoffmann ha detto ieri che l’indagine è ancora in corso e che non è escluso che venga sporta denuncia contro la donna.

«Non distogliamo l’attenzione dalle violenze»

A tre giorni di distanza dai fatti di sabato, un clima di amarezza si respira al Centro studi per la pace (CMS), una delle organizzazioni non governative più attive in Croazia nella tutela dei migranti e dei richiedenti asilo. I fatti di sabato rischiano infatti di compromettere un lungo lavoro di denuncia e sensibilizzazione. "Non bisogna però distogliere l’attenzione dal problema più grande: le violenze che i migranti e i rifugiati subiscono da oltre quattro anni al confine croato-bosniaco e che sono state denunciate anche dalle autorità del Cantone Una-Sana", rilancia Maddalena Avon del CMS.

Da quando l’accordo tra l’Unione europea e la Turchia ha sancito in qualche modo la fine ufficiale della cosiddetta “rotta balcanica” dell’immigrazione, la frontiera tra Croazia e Bosnia Erzegovina – ovvero la linea che marca l’ingresso nell’UE – è in effetti diventata un luogo di violenza. Sono innumerevoli ormai i rapporti che puntano il dito contro la polizia croata, accusandola di respingimenti illegali (Human Rights Watch ), botte e furti (Medici senza frontiere ), atti di puro sadismo o addirittura violenze a sfondo sessuale (Danish Refugee Council ) e tortura (Amnesty International ).

L’ultima denuncia, pubblicata questo lunedì dal quotidiano The Guardian , riporta la testimonianza di una famiglia respinta dalla polizia croata proprio nei pressi di Bojna. "L’hanno perquisita come se fosse un adulto. Non potevo credere ai miei occhi", ha dichiarato al giornale londinese Maryam, una giovane donna afghana, riferendosi alla figlia Darya di appena 10 mesi. A detta della donna, gli agenti croati avrebbero tolto il pannolino alla bimba per verificare che non ci fossero soldi o telefonini nascosti. Una denuncia ricorrente, tra i migranti che dicono di essere stati respinti dalla Croazia, è proprio quella di essere stati derubati e di aver visto il proprio telefonino distrutto dagli agenti.

La pratica rodata dei respingimenti

Storie come questa ne esistono purtroppo a migliaia al confine croato-bosniaco (il Danish Refugee Council stima 20mila respingimenti tra il 2019 e il 2020) e in particolare nell’area di Bojna. "Ogni giorno, da quel fazzoletto di terra, riceviamo molte richieste di aiuto. Persone che hanno già attraversato il confine di stato e che dunque si trovano su territorio croato ci chiedono come possono fare richiesta di asilo", spiega Maddalena Avon del CMS. "Noi chiediamo loro l’autorizzazione e poi trasmettiamo i loro dati, comprese le coordinate GPS, alle autorità competenti: l’Ombudswoman e la polizia, spesso chiedendo anche l’intervento di un’ambulanza perché ci sono donne incinte, bambini, persone svenute o congelate dal freddo".

Quello che succede dopo, però, non è quasi mai la registrazione di una richiesta d’asilo da parte delle istituzioni croate, anzi. "Sistematicamente, la polizia ci risponde di non aver trovato nessuno alle coordinate GPS fornite e, poco dopo, siamo contattati dagli stessi migranti che ci dicono di essere stati respinti in Bosnia Erzegovina", prosegue Avon. È questo il game, il gioco, come è diventato tristemente noto ai confini dell’Unione europea: ogni giorno qualcuno tenta di entrare e si vede negato il proprio diritto fondamentale all’asilo. Viene malmenato ed espulso nel silenzio più totale.

Nella straziante quotidianità di questa violenza, molte istituzioni infatti tacciono. Dalla Commissione europea, che ha promesso una missione d’ispezione al confine croato-bosniaco, al governo di Zagabria, che non ha mai completato delle inchieste interne alle forze dell’ordine per punire gli eventuali abusi. Anzi, chi indaga è ostacolato, come succede all’Ombudswoman croata, che ha ammesso di avere difficoltà nel svolgere il suo lavoro di inchiesta per la mancata collaborazione dei poliziotti. Tra questi ultimi, c’è invece chi ha denunciato in forma anonima degli “ordini illegali ” e un’operazione, detta Koridor, che agisce al di fuori dello stato di diritto (ad esempio, comunicando via Whatsapp per non lasciare tracce ufficiali degli interventi), ma senza che questo portasse a cambiamenti.

"Quel che manca è la volontà politica di occuparsi dei richiedenti asilo e di far valere, anche per loro, lo stato di diritto», conclude Avon. In effetti, la recente condanna del tribunale di Roma nei confronti dell’Italia per i cosiddetti “respingimenti a catena” (tra Italia, Slovenia e Croazia) non fa che confermare l’esistenza di una responsabilità condivisa, a livello europeo, nell’istituzione di un clima di illegalità alle frontiere nazionali e comunitarie. La stessa Commissione europea deve rispondere della sua possibile complicità nell’aver taciuto al parlamento la mancata creazione da parte di Zagabria di un sistema di monitoring indipendente della polizia di frontiera. Un sistema per cui la Croazia ha però ricevuto dei fondi europei.

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