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ESI e la guerra in Ucraina: serve risposta umana al cinismo disumano

Il think tank con sede a Berlino ha sviluppato una proposta per garantire accoglienza ai milioni di profughi di guerra provenienti dall’Ucraina. "Il calcolo di Putin è spietato: espellendo i civili, spera non solo di demoralizzare gli ucraini e costringerli ad arrendersi, ma anche di far rivoltare l’UE contro l’Ucraina e tradirla. Questo non deve accadere"

25/03/2022, Redazione RedazioneT -

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Dopo quattro settimane dall’aggressione della Russia all’Ucraina, più di 3,5 milioni di persone sono già fuggite dall’Ucraina. Entro la fine di marzo saranno probabilmente 5 milioni. In poche settimane raddoppieranno. A fornire queste cifre è l’European Stability Initiative (ESI), centro studi con sede a Berlino che si è molto occupato negli anni passati di crisi migratorie. ESI sottolinea come si tratti della più grande crisi relativa a rifugiati avutasi in Europa dalla fine della Seconda guerra mondiale. Una sfida umanitaria alla quale occorre secondo il centro studi berlinese rispondere immediatamente.

Gli analisti dell’ESI ricordano come durante l’altrettanto storico movimento di rifugiati del 2015, un milione di persone ha attraversato l’Egeo dalla Turchia in 12 mesi. Dall’inizio dell’attacco di Vladimir Putin all’Ucraina il 24 febbraio, più di 100.000 persone ogni giorno – soprattutto donne e bambini – sono fuggite dall’Ucraina verso l’Unione Europea e la Moldavia. Questo significa 1 milione di persone alla settimana.

“Non ci si può aspettare che Polonia, Moldavia e Ungheria accolgano tutte queste persone. A Varsavia (popolazione prima di questa crisi: 1,8 milioni) vi sono già 300.000 rifugiati, 90.000 dei quali sono bambini in età scolastica. Solo in Polonia si stima che ci siano 2,1 milioni di rifugiati. Il paese più povero d’Europa, la Moldavia, ospita ora più di 100.000 rifugiati; più delle persone che la benestante Austria ha accolto durante tutta la crisi del 2015”, scrivono gli esperti di ESI.

Proprio l’ESI, qualche settimana fa, aveva stimato che 10 milioni di ucraini avrebbero potuto fuggire dal loro paese. Per il calcolo ci si era basati sull’esperienza delle guerre che Vladimir Putin aveva condotto in precedenza, come in Cecenia nel 2000 e in Siria, dove le forze di Putin sostengono Bashar al-Assad, e dove un quarto della popolazione ha dovuto fuggire all’estero a causa delle brutalità diffuse e della distruzione selvaggia delle infrastrutture civili. Ad un mese dall’avvio della guerra sta diventando sempre più chiaro che la stima di 10 milioni di rifugiati è, purtroppo, un’ipotesi anche troppo realistica.

Milioni di persone cercheranno quindi nelle prossime settimane un alloggio e un’accoglienza. Dove, e come, li troveranno si chiede l’ESI? La Polonia sta già ospitando più persone di quante sia in grado di occuparsi. Così come altri vicini dell’Ucraina. Né i membri centro-europei dell’UE né la Germania da sola saranno in grado di fornire a tutti loro un alloggio e servizi adeguati, compresi quelli scolastici per un numero altissimo di bambini profughi. Serve allora, secondo l’ESI, una più ampia mobilitazione delle democrazie europee e nordamericane.

Il centro studi di Berlino prova ad immaginare anche cifre e destinazioni. Se altri 2 milioni di persone arriveranno nelle prossime due o tre settimane, è probabile che un milione si diriga verso l’Austria e la Germania in treno o in auto. Ad un altro milione, invece, si dovrebbe offrire di salire su aerei (o autobus) per essere portato direttamente in altri paesi d’Europa: in Spagna, Portogallo, Irlanda o Svezia, ma anche nel Regno Unito, forse anche negli Stati Uniti e in Canada.

Realistico? si chiede l’ESI. Se Spagna e Portogallo insieme fossero d’accordo ad accoglierne 160.000 entro la fine di marzo, e Francia e Regno Unito facessero lo stesso, allora sì, sarebbe possibile. Questo significherebbe: 1.500 voli con 300 persone a bordo entro la fine di marzo solo verso questi quattro paesi.

Poi vengono fornite alcune cifre nello specifico rispetto a Germania e Austria: Joachim Stamp, il ministro dei Rifugiati e dell’Integrazione del Nord Reno-Westfalia, lo stato più popoloso della Germania, ha recentemente invitato il cancelliere tedesco Olaf Scholz a lavorare con la Francia per aiutare l’evacuazione di 1 milione di rifugiati dalla Polonia e dalla Moldavia per il reinsediamento in tutta l’Europa occidentale, e forse in Nord America. Il ministro dell’Interno dello stato tedesco della Bassa Sassonia, Boris Pistorius, ha chiesto che tale mobilitazione inizi subito. In Svezia, il governo ha capito la gravità della sfida e sta parlando di uno scenario di accoglienza fino a 200.000 persone. Il governo austriaco parla di cifre simili. La Germania si prepara ad accogliere presto un milione di persone.

Per gli studiosi ESI è comunque molto probabile che alla fine la quota maggiore di rifugiati resterà nei paesi vicini all’Ucraina, dalla Polonia all’Austria, dalla Moldavia all’Ungheria. Ma per garantire che non vi sia il caos, che non vi siano centinaia di migliaia di madri e bambini (che costituiscono la maggior parte dei rifugiati) lasciati fuori al freddo, per fare in modo che siano protetti dallo sfruttamento e che vi sia un rapido accesso ad alloggi e scuola, c’è bisogno di una distribuzione più ampia.        

La logistica di un tale ponte aereo per i rifugiati dall’Ucraina è una sfida enorme, ma non insormontabile. E questi ultimi devono essere consapevoli che volare da Chisinau, Iasi, Praga, Varsavia o Lipsia a Lisbona, Dublino, Madrid, Lione o Manchester è nel loro interesse. La comunicazione e la logistica necessarie richiedono un livello di organizzazione collettiva che non si è vista in Europa per decenni – chiariscono ad ESI – paragonabile a nessuno sforzo di delocalizzazione o di reinsediamento con cui le istituzioni europee o internazionali hanno familiarità.

“Fortunatamente – nota ESI – la base legale per un tale sforzo umanitario esiste già. Con l’entrata in vigore della direttiva europea sulla protezione temporanea, tutti coloro che fuggono nell’UE hanno il diritto di essere ammessi ovunque nell’Unione. La Svizzera e la Danimarca hanno adottato una legislazione simile a livello nazionale. Questo rende le cose molto più semplici e costituisce un grande differenza dalla precedente politica sui rifugiati, dove i governi nazionali hanno talvolta bloccato le singole municipalità dall’accogliere i rifugiati di propria iniziativa. Se tutte le principali città dell’UE annunciassero oggi di voler accogliere più del due per cento della loro popolazione, se qualcuno fosse in grado di organizzarlo, tale sforzo potrebbe iniziare immediatamente”. 

Da Berlino si sottolinea però che la sfida maggiore nel far funzionare un tale schema non è legale, e nemmeno logistica – anche se la logistica sarà una sfida enorme – ma è politica. Centrale per un tale sforzo sarebbe comunicare efficacemente nelle molte lingue d’Europa perché un tale sforzo è necessario e di cosa si tratta in definitiva: uno sforzo umanitario per aiutare milioni di persone e per contrastare i cinici calcoli politici di Putin che le democrazie europee non possono gestire questi rifugiati e che milioni di persone in fuga dalle bombe russe potrebbero destabilizzare le società europee e le loro istituzioni.

Di qui una proposta molto specifica dell’ESI. La creazione di una struttura piccola, flessibile e politica, preferibilmente nominata per agire in nome sia dell’UE che del G7, meglio se guidata da un gruppo di comunicatori abili e con forti relazioni tra loro, come ex capi di governo o ministri. 

Secondo ESI tale struttura non avrebbe bisogno di un’autorità formale, poiché non dovrebbe competere con le istituzioni esistenti, dalla Commissione europea alle organizzazioni internazionali, ma cooperare con esse. E questo è possibile solo attraverso la persuasione e il concentrarsi su un obiettivo comune. Il successo di tale struttura secondo ESI richiederebbe tre cose: 

  • una lista pubblica su cui registrare ogni giorno tutti i principali impegni per l’accoglienza dei rifugiati da parte di città, paesi e regioni: un bilancio della solidarietà, nella tradizione di Jean Monnet, il padre dell’integrazione europea, e ispirato ai suoi sforzi nel coordinare la logistica degli alleati durante la Prima guerra mondiale e la ricostruzione della Francia dopo la Seconda guerra mondiale;
  • una linea di comunicazione diretta di questa agile struttura con i governi e con le aziende pubbliche e private di trasporto per coordinare i loro sforzi in modo da colmare eventuali lacune;
  • una squadra di esperti di comunicazione per documentare, condividere e quindi rafforzare questa mobilitazione in tutta Europa in tempo reale. L’ingrediente più importante per un successo duraturo è l’empatia di milioni di persone. L’empatia vive sull’attenzione e su storie avvincenti ed emotive, raccontate in un modo che incoraggi ed ispiri.                    

ESI ritiene che solo così si possa far fallire il cinico obiettivo di Putin di ricattare l’Ucraina e l’UE attraverso una guerra brutale che porti a spostamenti di massa, come in Siria e Cecenia. Perché, chiarisce l’ESI, i rifugiati ucraini fanno parte del piano d’attacco di Putin. Il suo calcolo è tanto spietato quanto trasparente: espellendo i civili, spera non solo di demoralizzare gli ucraini e costringerli ad arrendersi, ma anche di far rivoltare l’UE contro l’Ucraina e tradirla. Questo – ribadisce l’ESI – non deve accadere. E lo si ottiene dando risposte umane al cinismo disumano.

Tutti i nostri approfondimenti nel dossier "Ucraina: la guerra in Europa"

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