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Entrata e uscita

La Slovenia non pone più impedimenti e questo fine settimana la Croazia entrerà a far parte della Nato. Continuano intanto, finalmente fuori dalla luce dei riflettori, i negoziati sui problemi confinari tra i due paesi. E uno degli ”immortali” della politica slovena sembra uscire definitivamente di scena

02/04/2009, Stefano Lusa - Capodistria

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Questo fine settimana Croazia ed Albania entreranno a far parte dell’Alleanza atlantica. La Nato festeggerà il sessantesimo anniversario della sua fondazione anche con l’estensione ai due paesi dei Balcani. Se per l’Albania non ci sono stati intoppi la Croazia ha dovuto attendere fino all’ultimo minuto, a causa dei suoi problemi confinari con la Slovenia.

Lubiana aveva dato ad intendere chiaramente che per risolvere il contenzioso con Zagabria era intenzionata a sfruttare la rendita di posizione che le dava l’esser membro dell’Unione europea e della Nato. Nelle due organizzazioni, infatti, si entra solo con il consenso di tutti.

Il nuovo governo sloveno di centrosinistra – che aveva imposto lo stop alla prosecuzione della trattativa di adesione della Croazia all’Unione europea – avrebbe, però, voluto dare un bel segnale di distensione ratificando con un ampio consenso il protocollo di adesione di Zagabria alla Nato. In parlamento non ci sono stati problemi, ma subito è stata presentata la richiesta di avviare la raccolta delle firme per promuovere un referendum sulla ratifica del documento. A volerlo una piccola forza extraparlamentare di estrema destra: il Partito del popolo sloveno.

Lo stesso premier, Borut Pahor, ha cercato di venire a patti con loro, ma non è riuscito a farli desistere. Senza soldi e privi di qualsiasi supporto logistico, i promotori dell’iniziativa, hanno dovuto fare i conti con un generale ostracismo. E’ stato, comunque, necessario attendere i canonici 40 giorni in cui bisognava raccogliere 40.000 firme necessarie per indire la consultazione. Alla fine sono riusciti a racimolarne solo 1087.

Ciò non ha evitato che un’imbarazzata classe politica slovena fosse costretta a giustificarsi per il contrattempo. Nella stessa Alleanza atlantica i termini di consegna dei protocolli di ratifica sono stati considerati meno perentori. Lubiana, del resto, non appena naufragata l’iniziativa si è precipitata a portare i documenti necessari a Washington.

Quella dell’uso del referendum per bloccare la Croazia, del resto, non è né un’invenzione recente né del piccolo ed insignificante Partito del popolo sloveno. E’ da anni che se ne parla con riferimento esplicito all’adesione di Zagabria all’Unione europea. I più si dicono contrari, ma precisano beffardamente che nessuno può impedire ad un "gruppo di cittadini" o a una forza politica di promuovere "autonomamente" la raccolta delle firme. A ventilare un simile scenario era stato già nel 2005 l’allora ministro degli esteri Dimitrij Rupel. Nel clima arroventato che c’è, nei rapporti tra i due paesi, non è difficile ipotizzare come andrebbe a finire.

Del contenzioso confinario tra Lubiana e Zagabria ora, suo malgrado, si sta occupando l’Unione europea. La speranza è quella di trovare una soluzione per far rimuovere il blocco sloveno alla prosecuzione dei negoziati di adesione della Croazia. Dei progressi croati si sarebbe dovuto discutere alla conferenza intergovernativa dell’Unione in programma a fine marzo, ma il vertice – su insistenza di Lubiana – è stato rimandato alla fine di aprile, considerato che ci si sarebbe trovati di fronte ad un altro stop sloveno.

Per ora qualche piccolo passo avanti è stato fatto. I due paesi hanno formalmente accettato la mediazione proposta dal commissario all’allargamento Olli Rehn. Ovviamente ognuno la interpreta a modo proprio, così, adesso Rehn sta mediando sulla mediazione.

L’unica notizia positiva, comunque, è che adesso a negoziare sono i due ministri degli Esteri, lo sloveno Samuel Žbogar ed il croato Gordan Jandroković. Né uno né l’altro sembrano essere primedonne e né l’uno né l’altro paiono aver bisogno di far politica con le telecamere accese.

Così per ora i toni si sono leggermente calmati e la vicenda ha cominciato a slittare nelle scalette dei telegiornali. In ogni modo – forse un po’ tardivamente – Rehn ha invitato soprattutto i media dei due paesi a smetterla con la retorica nazionalista. Si rende probabilmente conto che sarà più semplice raggiungere un’intesa che spiegarla all’opinione pubblica, per ora quindi bocche cucite sui negoziati.

Quello che è chiaro, comunque, che si sta discutendo ancora di forma. La Slovenia vorrebbe che la mediazione portasse ad una soluzione della vicenda, la Croazia invece vorrebbe che i mediatori indicassero il foro internazionale in cui risolvere il contenzioso. Insomma Lubiana e Zagabria, accettando la proposta di Rehn, ma non hanno modificato nella sostanza le loro posizioni di partenza.

Intanto potrebbe uscire di scena uno degli uomini cardine della politica estera slovena. L’ex ministro degli Esteri Dimitrij Rupel sta, infatti, lasciando il suo ruolo di consigliere per la politica estera del premier Borut Pahor. La sua nomina aveva scatenato un vero e proprio putiferio nella maggioranza, ma Pahor era sembrato irremovibile nella sua decisione di non voler rinunciare all’esperienza di Rupel.

La collaborazione tra i due, però, non è durata a lungo. Rupel, infatti, è destinato a tornare al ministero degli Esteri con il rango di ambasciatore. Secondo Pahor l’intesa di chiudere la collaborazione è stata consensuale.

La goccia che ha fatto traboccare il vaso è stata una lettera di Rupel- su carta intestata del gabinetto del premier – indirizzata al ministro degli Interni Katarina Kresal, in cui considera inaccettabile che la polizia abbia riavviato le indagini sul suo conto e su quello di sua moglie. Nel testo si chiede al ministro di bloccare il procedimento. L’accusa rivolta alla Kresal è che si intende prenderlo di mira politicamente.

La vicenda è apparentemente banale e risale al periodo in cui Rupel faceva il ministro. Nel dicembre del 2006 sua moglie era stata beccata da un paparazzo mentre scaricava da una macchina di servizio del ministero degli Esteri – aiutata dall’autista – scope, rotoli di carta igienica detersivi ed altre suppellettili. Ovviamente la sua consorte non avrebbe avuto diritto di usare quella vettura del ministero. Scattarono le indagini, ma all’epoca vennero bloccate dai vertici della polizia. Adesso gli inquirenti hanno deciso di riaprire il caso.

Stizzita la reazione della Kresal che ha subito precisato che non è competenza del ministro far bloccare o avviare indagini. La stessa Kresal si è premurata di far sapere alla stampa che il premier Pahor l’aveva informata che Rupel avrebbe lasciato il suo gabinetto. La conferma di Pahor è arrivata solo due giorni dopo.

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