Tipologia: Notizia

Area: Balcani

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Emigrazione: sud-est Europa anemico

L’emigrazione di forza lavoro e la cosiddetta fuga di cervelli – due fenomeni in crescita in tutti i paesi del sud-est europeo – preoccupano esperti, politici e imprenditori da Budapest ad Atene 

22/08/2019, Euractiv -

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(Originariamente pubblicato dal portale euractiv.rs il 23 luglio 2019)

Una delle cose che accomunano i paesi del sud-est Europa è il timore che, a causa di una massiccia emigrazione dei propri cittadini verso l’estero, siano destinati a spopolarsi. Nonostante un progressivo, seppur lento, aumento del tenore di vita e dei salari in tutti i paesi della regione, molti cittadini scelgono di emigrare, perlopiù verso Germania, Austria, Italia e Spagna. L’emigrazione di forza lavoro e la cosiddetta fuga di cervelli – due fenomeni in crescita in tutti i paesi del sud-est europeo – preoccupano esperti, politici e imprenditori da Budapest ad Atene.

Secondo quanto riportato dall’agenzia di stampa tedesca DPA, in tutti i paesi del sud-est Europa si registra una carenza di forza lavoro. Ad andarsene sono soprattutto i giovani altamente istruiti, molto richiesti dai mercati del lavoro di alcuni paesi dell’UE.

“Il nostro paese sta scomparendo”, dice Marian Hanganu, proprietario di un’agenzia di lavoro con sede in Romania, commentando il fenomeno dell’emigrazione di massa da uno dei paesi più poveri dell’Unione europea. “Di conseguenza, molte multinazionali hanno deciso di non investire più in Romania, semplicemente perché manca forza lavoro”, ha scritto Hanganu sul sito della sua agenzia che svolge attività di intermediazione tra domanda e offerta di lavoro.

La situazione è simile anche in Bulgaria. “Le imprese iniziano a ritirarsi dagli accordi e a posticipare l’avvio di nuovi progetti perché manca forza lavoro”, ha dichiarato il ministro dell’Economia bulgaro Emil Karanikolov nel corso di una trasmissione televisiva.

Di fronte al fenomeno dell’emigrazione di massa, alcune autorità locali reagiscono cercando disperatamente di convincere la popolazione che tutto va bene. Le autorità del villaggio di Ruševo, nei pressi di Slavonski Brod in Croazia, hanno recentemente provveduto a intonacare l’unica scuola del villaggio, frequentata da quattro alunni in tutto. Tuttavia, nessuna intonacatura può nascondere il fatto che in questo villaggio, che oggi conta appena 310 abitanti, la metà delle case è vuota e molti edifici versano in uno stato di degrado.

Stando ai dati diffusi dal governo di Bucarest, sono oltre 2 milioni i romeni che vivono all’estero, perlopiù in Spagna e in Italia. Cifre simili si registrano anche in altri paesi del sud-est Europa. Secondo le statistiche ufficiali, oltre 700mila cittadini bulgari vivono in un altro stato membro dell’UE.

Stando ad uno studio commissionato dalla Banca centrale croata, nel periodo compreso tra il 2013 e il 2016 dalla Croazia sono emigrati 230mila cittadini, un dato che corrisponde ad un tasso emigratorio annuo del 2% della popolazione.

Dal 2000 ad oggi 654mila persone hanno lasciato la Serbia, aggiungendosi a quel mezzo milione di cittadini serbi emigrati durante gli anni Novanta a causa della guerra e del regime di Slobodan Milošević.

I dati diffusi da alcune organizzazioni sindacali greche dimostrano che, dallo scoppio della crisi del debito pubblico nel 2010, dalla Grecia se ne sono andati circa 400mila cittadini, perlopiù giovani. Il neo premier greco, il conservatore Kyriakos Mitsotakis, ha più volte ribadito che uno dei principali obiettivi del suo governo sarà quello di migliorare le condizioni di vita di tutti i cittadini greci e di offrire nuove prospettive ai greci emigrati all’estero affinché tornino in patria.

Secondo una ricerca realizzata dalla sociologa ungherese Ágnes Hárs, la crisi finanziaria globale del 2008 ha provocato un’ondata di emigrazione dall’Ungheria – fino ad allora considerata uno dei paesi più sviluppati dell’Europa sud-orientale -, e il fenomeno ha subito una forte accelerazione a partire dal 2010, anno in cui Viktor Orbán ha assunto l’incarico di primo ministro.

Nel periodo compreso tra il 2010 e il 2017, dall’Ungheria sono emigrati 200mila cittadini, e il paese si è collocato al primo posto tra i nuovi stati membri dell’UE per numero di espatriati.

Mancanza di medici e personale sanitario

Una delle più gravi conseguenze della massiccia emigrazione dai paesi del sud-est Europa è la carenza di medici e di personale sanitario in tutta la regione. Il reparto di malattie infettive dell’ospedale di Szolnok in Ungheria è stato chiuso per mancanza di personale. L’ospedale di Tulcea in Romania è attualmente senza anestesisti: due dei tre anestesisti che vi lavoravano si sono licenziati, mentre uno è assente per malattia.

Molti medici e operatori sanitari provenienti dai paesi dei sud-est europeo decidono di continuare la loro carriera in Germania. Da un sondaggio condotto in 217 ospedali in Germania è emerso che la maggior parte degli infermieri stranieri impiegati negli ospedali tedeschi proviene dalla Bosnia Erzegovina. Stando ai dati della Federazione tedesca delle aziende ospedaliere, la maggior parte degli infermieri stranieri impiegati presso gli ospedali tedeschi è stata assunta direttamente dalle aziende ospedaliere o tramite un intermediario privato.

Cristina Mihu, 32 anni, originaria dalla Romania, ha deciso di emigrare in Germania senza troppa esitazione. Ha studiato il tedesco, come seconda lingua straniera, a scuola a Deva, in Transilvania. Successivamente, da studente di medicina presso l’Università di Timișoara ha trascorso periodi di specializzazione in Italia, Spagna e a Heidelberg. “Volevo fare un’esperienza all’estero”, dice Cristina, che ormai da sei anni vive a Norimberga, dove lavora come medico internista presso una clinica.

Mihu spiega che, oltre ai bassi salari, un altro motivo che l’ha spinta a lasciare la Romania è la corruzione, ormai dilagante, nel settore sanitario. Aggiunge inoltre che in Germania gli ospedali sono attrezzati molto meglio rispetto a quelli romeni e che i medici “parlano molto di più con i loro pazienti”.

Per far fronte alla grave carenza di manodopera, gli imprenditori romeni cercano di attrarre i lavoratori stranieri, compresi quelli provenienti dal Medio Oriente. Quest’anno il governo romeno ha autorizzato l’ingresso di 20mila lavoratori extracomunitari. Marian Hanganu dice che questa misura non può risolvere il problema, perché la Romania ha bisogno, come minimo, di 300mila lavoratori.

Stando alle parole di Andrea Tartacan, collaboratore di Marian Hanganu, i lavoratori provenienti dai paesi del Medio Oriente spesso decidono di disdire il contratto di lavoro stipulato con un datore romeno perché non riescono ad abituarsi al clima e al cibo romeno. “Ora stiamo cercando di reclutare lavoratori edili dal Tajikistan. Sono più robusti dei vietnamiti perché provengono dalle steppe”, spiega Tartacan.

Anche in Bulgaria ci sono molti gastarbeiter, anche se provengono dai paesi meno esotici, mentre nei ristoranti e alberghi sulla costa montenegrina lavorano molti cittadini ucraini, bielorussi e moldavi.

Sembra che i paesi occidentali, con le loro politiche del lavoro, favoriscano l’emigrazione da alcuni paesi meno sviluppati. Il ministro della Sanità tedesco Jens Spahn ha recentemente visitato una scuola superiore medico tecnica in Kosovo che ha stipulato una convenzione con alcune aziende ospedaliere tedesche. Anche il ginnasio tedesco di Prizren sembra favorire la fuga dei cervelli. Ogni anno fino ai 30 studenti dell’ultima classe ricevono un contributo per continuare gli studi in Germania, e sono pochi quelli che, una volta conclusi gli studi, decidono di tornare in Kosovo.

Secondo Herbert Brücker, ricercatore presso l’Istituto per la ricerca sull’occupazione (IAB) con sede a Norimberga, la Germania trae grande vantaggio dalla presenza di lavoratori provenienti dal sud-est Europa. Stando alle sue parole, senza questi lavoratori alcuni settori dell’economia tedesca, come quello dell’edilizia, ristorazione e cura della persona, sarebbero in grande difficoltà perché è praticamente impossibile trovare lavoratori tedeschi disposti a lavorare in questi settori.

Brücker afferma inoltre che la prospettiva di un buon lavoro nell’Europa occidentale spinge molti cittadini dei paesi dell’Europa sud-orientale a studiare, contribuendo così all’aumento dei livelli di istruzione in questi paesi.

Tado Jurić, politologo e docente di storia presso l’Università Cattolica di Zagabria, la pensa diversamente. Stando alle sue parole, la Germania non dovrebbe cercare di risolvere la crisi demografica che sta attraversando ormai da tempo attingendo alla forza lavoro proveniente dal sud-est Europa. “Non è giusto che la Germania si stia salvando a scapito di tutti noi”, ha dichiarato Jurić, aggiungendo che l’Unione europea dovrebbe occuparsi del problema delle “migrazioni ingiuste”.

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