Elezioni in Kosovo, il vero sconfitto è Vučić
Nel nord del Kosovo alle recenti amministrative hanno votato meno del 10% dei serbi aventi diritto, mettendo a rischio gli Accordi di Bruxelles. E’ la prima vera sconfitta dell’astro emergente della politica serba, Aleksandar Vučić. Un’analisi
Gli incidenti e la bassa affluenza alle urne nell’enclave serba nel nord del Kosovo sono la prima sconfitta politica seria patita dal Partito progressista serbo (SNS) e dal suo leader Aleksandar Vučić. E vi saranno conseguenze negative sia a livello internazionale che locale. Bruxelles a Washington hanno motivo ora di chiedersi se Vučić abbia effettivamente la capacità di controllare la situazione, mentre sul piano interno l’opposizione vede l’insuccesso come possibilità di aumentare la pressione sul blocco di governo.
Il futuro politico di Vučić e del suo partito dipende molto dalla prospettiva europea, e la prospettiva europea dipende ancora di più dalla capacità di Belgrado di garantire l’implementazione dell’Accordo di Bruxelles siglato con il governo di Pristina. L’affluenza decisamente bassa nel nord del Kosovo delle recenti amministrative (a Mitrovica Nord non supera il 10%) rende molto difficile la messa in atto dell’accordo e costringe Vučić ad imporre ai suoi concittadini di quella enclave kosovara una soluzione contro la quale si sono chiaramente espressi boicottando le elezioni.
In questo momento, l’unica via d’uscita per Belgrado sembrerebbe la ripetizione delle elezioni a Mitrovica Nord e forse in alcune altre città. Con ciò si aprirebbe lo spazio per una nuova campagna elettorale e nuove pressioni sugli elettori serbo-kosovari nel tentativo di attenuare l’influenza delle componenti più radicali tra i serbi del Kosovo. Che ciò sia teoricamente possibile lo dimostra la percentuale di affluenza degli elettori nei comuni del Kosovo centrale, in alcuni casi anche superiore al 50%. In questi comuni l’influenza di gruppi e organizzazioni radicali serbi non è molta, in buona parte perché non sono vicini alla frontiera con la Serbia.
Se la Commissione centrale del Kosovo, la quale decide sull’eventuale ripetizione delle elezioni, dovesse ritenere validi i risultati a Mitrovica Nord, Belgrado non potrà farci nulla. Il governo serbo con l’Accordo di Bruxelles si è impegnata a riconoscere i risultati delle elezioni kosovare e questo devono fare, persino se dovesse accadere che, grazie al boicottaggio serbo, il sindaco della parte nord di Mitrovica diverrà un albanese.
Violenze
Gli incidenti di Mitrovica Nord sono stati fatti da gente mascherata che la domenica pomeriggio ha attaccato i seggi e ha distrutto le urne elettorali. Prima che ciò avvenisse, nel corso dell’intera giornata, attivisti dei gruppi ultranazionalisti filmavano gli elettori mentre andavano ai seggi e li hanno minacciati: un efficace metodo di intimidazione. Belgrado sostiene che gli attacchi sono stati organizzati da membri dei gruppi radicali e dal Partito democratico della Serbia (DSS) dell’ex premier Vojislav Koštunica, mentre da questo partito l’accusa viene rimandata al mittente: sarebbe la stessa compagine governativa ad aver inscenato il tutto quando era chiaro che ai seggi non si sarebbe raggiunto il 10% dei votanti.
Ad ogni modo, l’esito finale è che Belgrado non è riuscita a tenere sotto controllo i gruppi radicali del nord del Kosovo, i quali rimangono attivi grazie all’appoggio politico degli ultranazionalisti di Belgrado, ma anche grazie al denaro che arriva dalla Serbia. Il loro attivismo dopo l’ascesa al potere dell’SNS di un anno e mezzo fa è persino aumentato, mentre le misure intraprese da Belgrado sono risultate insufficienti. Il DSS e i gruppi radicali hanno dimostrato che continuano a controllare la situazione sul campo, mescolando campagna politica e intimidazioni degli elettori.
I media serbi, compresa la Radio televisione della Serbia (RTS), alcune ore dopo gli incidenti per la prima volta hanno usato il termine “estremisti serbi”. Ciò dimostra l’aumento di nervosismo nel blocco di governo, e forse anche la disponibilità ad assumere misure più radicali nel confronto con i gruppi estremisti. Perché, nonostante le denunce di Belgrado che addossano la maggior parte della responsabilità degli incidenti alla parte kosovara, perché la polizia del Kosovo non sarebbe intervenuta contro gli “estremisti serbi”, è chiaro che la radicalizzazione e l’estremismo al nord del Kosovo sono un problema che Bruxelles e Washington mettono sul conto di Belgrado e non su quello di Pristina.
Tenendo presente che i partiti e le organizzazioni ultranazionalistiche che agiscono nel nord del Kosovo hanno sedi a Belgrado, e non a Mitrovica Nord, è chiaro che la polizia serba avrebbe dovuto avere un quadro completo delle loro attività, così come delle azioni che stavano preparando. Con ciò, la campagna di boicottaggio, e in particolare il comportamento estremista e violento, avrebbero dovuto essere impedito “in casa”, ossia prima che superassero la frontiera kosovara.
Polizia
L’SNS al nord del Kosovo ha cercato di modificare la situazione, convincendo Krstimir Pantić, uno dei leader radicali locali, a passare dalla loro parte. Ma, sul campo, ossia a Mitrovica Nord e in altri luoghi del nord, il governo serbo non è riuscito nell’impresa. I gruppi radicali e ultranazionalisti della Serbia da anni ormai stanno rinforzando le loro posizioni e Belgrado fino a poco tempo fa non ha mai dimostrato il necessario grado di volontà politica per contrastarli.
Il governo serbo e la polizia non sono in grado di fare i conti in modo definitivo ed efficace con gli hooligan e con i gruppi ultranazionalisti nemmeno in Serbia, figuriamoci nel nord del Kosovo, dove la polizia non ha nemmeno libero e diretto accesso. Quest’autunno il governo ha proibito il Gay Pride, riconoscendo di non essere in grado di garantire la pace nelle strade. Il giorno prima delle elezioni in Kosovo, gruppi di tifosi presenti al derby tra la Stella Rossa e il Partizan hanno creato disordini allo stadio e per le vie della capitale serba senza che le autorità riuscissero ad impedirlo.
È necessario quindi che anche a Belgrado ci si ponga la questione sulla capacità e la prontezza della polizia di agire in modo risoluto. In quest’ottica potrebbe essere colpito anche il ministro degli Interni Ivica Dačić, che riveste anche la funzione di premier. Il partito socialista serbo (SPS) di Dačić è un partner chiave della coalizione con l’SNS e quest’ultimo potrebbe esigere una maggiore efficacia delle azioni della polizia, sollevando in questo modo questioni politiche sui rapporti tra i due partiti. Tra l’altro la questione è molto delicata perché si sa che l’’SNS sta crescendo a vista d’occhio e sta assumendo il controllo delle leve del potere, anche a discapito dello stesso SPS.
Ma questi sviluppi non avranno comunque un effetto a breve termine sulle relazioni all’interno del blocco governativo, perché tutti i membri della coalizione sono consapevoli che ora la priorità è il rispetto delle richieste di Bruxelles a Washington. Senza queste ultime non inizieranno infatti i negoziati con l’Unione europea.
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