Elezioni in Albania: Rama 3, democrazia 0
Maggioranza confermata senza perdere colpi, qualche amara sorpresa nella composizione del nuovo parlamento, opposizione sempre più in crisi e un clima di conflittualità che non sembra destinato a scemare. Questo il bilancio delle elezioni politiche che si sono tenute in Albania lo scorso 25 aprile, in attesa del “verdetto” dell’UE sui colloqui di adesione
Da un lato le polemiche sul monitoraggio segreto degli elettori, gli scontri a mano armata in pieno giorno e il tono conflittuale dei leader politici durante tutta la campagna, dal capo del governo al capo dello stato. Dall’altro la nuova legislazione elettorale e una gestione del processo che ha retto e sembra avere incrementato la fiducia dei cittadini nelle elezioni: lo spoglio, storicamente lento nel paese, è stato concluso entro le 48 ore promesse dalla Commissione elettorale centrale. E il risultato emerso dalle urne premia ancora il governo di centrosinistra di Edi Rama.
Dopo otto anni di governo il Partito socialista conferma la maggioranza assoluta con 74 seggi su 140, conquistando il 48% delle preferenze, esattamente come quattro anni fa. Un risultato che consente al premier Rama di formare il suo terzo governo consecutivo, senza bisogno di ricorrere ad alleanze.
Sul campo dell’opposizione non è sufficiente il recupero del Partito democratico (PD) di Lulzim Basha, che dopo il tonfo del 2017 sale dal 28% al 39% delle preferenze e porta in parlamento 59 deputati.
Un incremento ottenuto soprattutto a discapito del Partito socialista per l’integrazione (LSI), a questo giro al fianco del PD, che con il 6% dei voti scende da 19 a soli 4 seggi.
A sorpresa, il Partito socialdemocratico diventa quarto partito e porta in parlamento tre deputati. All’indomani del voto, il suo presidente Tom Doshi, da tempo nella black list degli Stati Uniti per presunti casi di corruzione , si è dimesso nonostante il successo elettorale, lasciando il campo a tre anonimi colleghi di lista e aprendo ad un possibile sostegno ai socialisti. Una mano tesa che potrebbe tornare utile al premier Rama per rinfoltire le fila della maggioranza.
Non ce la fa nessuno degli altri partiti in gara o dei candidati indipendenti, nonostante l’esposizione mediatica. Al momento, i giochi sembrano fatti e l’appuntamento con il nuovo parlamento è a settembre.
Le poche sorprese della riforma elettorale
Quelle del 25 aprile sono le prime elezioni con la legge elettorale adottata lo scorso luglio, senza il consenso dell’opposizione di centrodestra. Sull’ondata del precedente successo elettorale, la maggioranza ha imposto l’abolizione delle coalizioni, “concedendo” il voto di preferenza attraverso un complicato sistema che consente la sovversione dell’ordine stabilito dai partiti solo se superata una, altissima, soglia di preferenze.
Come previsto, solo tre candidati sono riusciti nell’impresa. Tra questi, il giovane e sconosciuto Ornaldo Rakipi, figlio di un ex deputato escluso dal parlamento nel 2018 a causa di un precedente penale per furto in Italia.
Ha funzionato meglio l’introduzione per la prima volta del riconoscimento elettronico dei cittadini, contribuendo a rendere il processo più affidabile.
In aumento anche la rappresentazione delle donne. Nel nuovo parlamento siederanno 47 deputate, il 33% rispetto al 23% delle precedenti elezioni. Le quote garantiscono infatti il 30% di rappresentanza nelle liste, ma la parità rimane lontana.
Affluenza tiene, ma vincono le schede nulle
Nonostante l’entusiasmo iniziale, la Commissione elettorale ha ridimensionato il dato sull’affluenza, che si è fermata al 46,3%. La percentuale è la più bassa di sempre, ma hanno influito anche le restrizioni dei viaggi a causa del covid-19 e l’esclusione dei circa 25 mila cittadini risultati positivi.
Tuttavia, il vero “vincitore” di questa tornata sono le schede nulle: più di 83 mila. Un aumento del 2.5% rispetto alle precedenti politiche. Fatto in parte riconducibile alla poca dimestichezza degli elettori con il nuovo modello della scheda, pubblicato a meno di un mese dal giorno delle elezioni, a causa delle divergenze tra le parti. Più o meno consapevolmente, molti cittadini hanno disgiunto il voto tra partito e candidato, senza che il sistema lo permettesse. Una tendenza che richiederebbe un’analisi più approfondita, per coglierne le reali motivazioni. Anche perché molti analisti sostengono che gli errori nella compilazione in tale percentuale avrebbero potuto influire sulla distribuzione dei seggi in diverse circoscrizioni.
Le conseguenze del voto
Con il risultato del 25 aprile, la maggioranza di centrosinistra ha ottenuto un risultato storico ed un terzo mandato che nessun partito era riuscito ad ottenere dalla caduta del regime. Cauto anche dopo i dati ufficiali, il premier Edi Rama ha ribadito l’impegno a portare avanti quanto iniziato nel 2013 ed ha teso un non meglio precisato invito di collaborazione al Partito democratico.
L’opposizione invece ha incassato la quinta sconfitta consecutiva e la quarta personale per l’attuale presidente Lulzim Basha, che nonostante il crescente malcontento all’interno del partito, non pensa ancora alle dimissioni.
Al momento, il PD ha confermato di voler rientrare in parlamento, dopo l’uscita definitiva dal parlamento nel 2019 e il boicottaggio delle amministrative nello stesso anno, che hanno concesso anche l’amministrazione di tutti i comuni del paese al Partito socialista.
Tuttavia, i partiti di opposizione non intendono riconoscere il risultato del voto ed hanno presentato una serie di ricorsi per chiedere la ripetizione delle elezioni in 9 dei 12 distretti del paese. A sostegno della richiesta ci sarebbe un nutrito fascicolo con le irregolarità che avrebbero determinato il risultato: dalle pressioni alla compravendita del voto. Un’iniziativa che sembra utile solo al presidente Basha, per prendere tempo e far placare le voci critiche. Con il solito sostegno del vecchio Sali Berisha e il livello di democrazia interna del partito, potrebbe farcela ancora una volta a restare in sella.
Il vantaggio di chi è già al potere
Secondo il rapporto preliminare della missione di osservatori internazionali dell’ODIHR , le accuse di compravendita dei voti hanno segnato la campagna elettorale, a dimostrazione della scala di diffusione del problema. L’uso delle risorse della pubblica amministrazione da parte di ministri e rappresentanti del governo, impegnati in campagna elettorale, ha considerevolmente avvantaggiato il partito al potere e alimentato stimoli e pressioni sui dipendenti. Inoltre, il database con dati personali e preferenze di voto di 900 mila cittadini istituito dal Partito socialista costituirebbe una grave violazione della privacy e un uso improprio di informazioni ad interesse dei partiti.
Si tratta di rilevamenti preliminari, ma che offrono già una buona chiave di lettura della fragilità delle elezioni albanesi. Cui si aggiunge l’arrendevolezza delle autorità d’inchiesta e giudiziarie, che in passato non hanno fatto chiarezza sui reati elettorali, nonostante le prove emerse anche sulla stampa.
Oggi, il paese sembra scivolare verso altri quattro anni di governo con un solo partito che controlla tutte le istituzioni, centrali e locali, mettendole a servizio dei propri interessi. L’opposizione sarà in parlamento senza riconoscere l’esito delle elezioni e le accuse di presunte irregolarità continueranno a segnare il dibattito pubblico. Dal canto suo, la maggioranza ha avviato una procedura parlamentare di impeachment contro il Presidente della Repubblica, Ilir Meta, esplicitamente vicino all’opposizione, approfittando di una transizione tra le legislature che non avverrà prima di settembre.
Uno scenario conflittuale che non sembra premiare il progresso democratico del paese, in particolare nell’ottica dei colloqui di adesione con l’Unione europea, di cui queste elezioni dovevano essere banco di prova.
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