Elezioni in Albania: le linee rosse
Il think tank ESI non ha dubbi. Le elezioni politiche di giugno in Albania saranno cruciali per la democrazia nel paese e per il suo percorso europeo. E purtroppo non ci sono molti motivi per essere ottimisti. La nostra traduzione del recente paper di ESI
E’ sempre esistito il rischio che le elezioni parlamentari albanesi previste per il 23 giugno 2013 non rispettino gli standard internazionali. Questo potrebbe far precipitare il paese in una grave crisi politica. Altro risultato potrebbe essere la perdita di qualsiasi credibile prospettiva di un progresso verso l’integrazione europea nel futuro immediato ed una conseguente spirale, in Albania, di declino politico ed economico.
Per evitare questo pericolo ESI argomenta che la comunità internazionale debba prendere una posizione forte e chiara sui principi democratici che devono essere rispettati. Deve adottare un approccio non partigiano per sostenere lo stato di diritto.
Mentre l’Albania si sta preparando per le elezioni parlamentari del 23 giugno 2013 questo paper porta l’attenzione sulle recenti violazioni di principi democratici in Albania. Fornisce alla comunità internazionale, ed in particolare all’Unione europea, l’opportunità di stabilire alcuni punti di principio in un momento cruciale di quella che sarà una contesa elettorale surriscaldata e tesa.
L’Albania e l’integrazione europea
L’Albania ha consegnato la sua candidatura a divenire membro dell’UE esattamente quattro anni fa. I criteri per avviare i negoziati per ottenere l’integrazione nell’UE sono stati definiti dal Consiglio europeo nel 1993 a Copenhagen. Tra questi un paese deve aver raggiunto “la stabilità delle istituzioni in modo da garantire la democrazia, lo stato di diritto, i diritti umani e il rispetto e la protezione delle minoranze”.
Vi sono ragioni molto concrete per le quali “la stabilità delle istituzioni” è una pre-condizione per avviare i negoziati. Per divenire membro dell’UE vengono richiesti un enorme numero di cambiamenti legislativi ed istituzionali. Senza forti istituzioni parlamentari ed esecutive e un largo consensus politico è poco probabile che i paesi candidati riescano a portare a termine riforme così radicali.
In Croazia, che entrerà nell’UE tra poche settimane, il consensus politico è stato raggiunto attraverso un Comitato nazionale per il monitoraggio dei negoziati di adesione, istituito presso il parlamento. Presieduto da un rappresentante dell’opposizione, il Comitato ha controllato ogni posizione negoziale che il governo croato presentava all’UE a Bruxelles ed ha richiesto il sostegno unanime di tutti i suoi 15 membri. Questo meccanismo ha garantito il successo e l’implementazione di un’ampia agenda di riforme, nonostante i cambi di governo durante il processo di integrazione.
Sino ad ora l’Albania non è stata in grado di generare tale forma di consensus politico. Le scorse elezioni hanno creato profonda polarizzazione e instabilità politica. I risultati delle parlamentari del 2009 sono stati pesantemente contestati ed hanno portato l’opposizione a boicottare per due anni il parlamento. Molte riforme cruciali che implicano più di una maggioranza semplice non possono essere adottate dal parlamento. Al posto di “istituzioni stabili” richieste per l’integrazione nell’UE, l’Albania si è trovata ad affrontare una stasi politica, manifestazioni di piazza e scontri violenti.
E non è una sorpresa che l’Albania non abbia ricevuto una risposta positiva alla sua candidatura all’UE. Nel 2010 la Commissione europea ha scritto che “considera che i negoziati per l’ingresso nell’UE dovrebbero essere avviati per l’Albania una volta che il paese ha raggiunto il necessario grado di adeguamento con i criteri di membership e in particolare con il criterio politico di Copenhagen che implica la stabilità delle istituzioni per garantire la democrazia e lo stato di diritto” (European Commission, Albania Opinion, 2010).
L’Albania ha un disperato bisogno di un buon esito da queste elezioni del 2013. Il contesto geopolitico nei Balcani occidentali sta cambiando. I paesi della regione sono sempre più divisi in due gruppi: quelli che stanno facendo progressi vero l’UE e tra questi la Croazia, il Montenegro e, con ogni probabilità, la Serbia; e i ritardatari, tra i quali l’Albania, il Kosovo, la Bosnia Erzegovina e (almeno sino a quando non sarà risolta la questione del nome) la Macedonia. Per quest’ultimo gruppo, anche solo l’avvio dei negoziati sembra sempre più distante.
Questa divisione regionale rischia di diventare auto-avverante: sotto i colpi della crisi sociale e economica questi paesi stanno perdendo fiducia nel processo di integrazione europea, e l’UE rischia di rinunciare ad integrarli. Senza l’incentivo chiaro di una futura integrazione per aiutarli a forgiare un consensus politico non saranno in grado di adottare le necessarie riforme, scivolando sempre più nella marginalità sociale ed economica. Come risultato è probabile si arrivi ad un nuovo ghetto balcanico, che comprende la maggior parte della popolazione albanese della regione.
La crisi elettorale in Albania
Nella sua “Opinion on Albania’s EU application” del 2010, la Commissione europea ha elencato dodici riforme da adottare con priorità. Due di queste riguardavano il processo elettorale. L’Albania doveva modificare la legge elettorale in sintonia con le raccomandazioni dell’OSCE e doveva assicurare che le elezioni venissero condotte “in linea con standard europei ed internazionali”.
Il primo compito è stato ampiamente adempiuto. Dopo un accordo politico del novembre del 2011 l’opposizione è ritornata in parlamento ed ha iniziato a lavorare alla riforma elettorale e ad altre priorità poste dall’UE. Nel luglio del 2012 è passata in parlamento un’ampia riforma del codice elettorale, a grande maggioranza, che includeva la maggior parte delle raccomandazioni OSCE-ODHIR (OSCE/ODIHR, Needs Assessment Mission, 2013).
Ciononostante nutriamo timori crescenti sul fatto che si riesca ad adempiere al secondo criterio. I preparativi per le prossime elezioni non stanno andando bene. Il 15 aprile 2013 il parlamento albanese ha votato per sostituire un membro della Commissione elettorale centrale (CEC), l’istituzione che gestisce il processo elettorale. La decisione è stata adottata in violazione della nuova legge elettorale. Ha messo in discussione l’indipendenza e la legittimità di questa istituzione chiave, ancor prima che una singola scheda elettorale venisse inserita nell’urna. Il messaggio politico è stato chiaro: i politici albanesi sono pronti a tenere in scarsa considerazione le regole se ne ottengono un vantaggio politico personale.
La CEC è un’istituzione permanente composta da sette membri. Questi ultimi vengono designati dal parlamento per 6 anni, con possibilità di rielezione. Gli attuali membri sono stati scelti dopo le riforme del 2012. Tre candidati sono nominati dalla coalizione di governo, tre dall’opposizione e un presidente è indipendente.
Seppur i suoi membri siano nominati dai partiti, sono tenuti ad operare in modo a-politico una volta eletti, come avviene per i membri della Corte suprema degli Stati Uniti. Una volta nominati sono i tutori del processo elettorale e non possono essere sostituiti per motivi politici. Possono essere sottoposti a procedura di impeachment dal parlamento solo se sono responsabili di qualche crimine, nel caso rifiutino di esercitare il loro mandato o siano coinvolti in attività politica inappropriata (Legge elettorale albanese, 2012, articolo 18).
Una CEC forte ed indipendente è fondamentale garanzia per elezioni giuste. Ma come ha sottolineato il suo presidente, Lefterie Lleshi, durante un evento promosso dall’ambasciata Usa a Tirana, il 28 marzo 2013, dove si annunciava il sostegno finanziario alle elezioni da parte degli Stati Uniti, vi è già forte pressione politica da parte di tutti i partiti politici: “[i politici] riconoscono che la CEC opera in modo accurato, trasparente e indipendente solo nelle occasioni in cui prende decisioni a loro favorevoli. In questi pochi mesi di lavoro con la CEC non ho ancora visto politici con il coraggio di rifiutarsi di esercitare pressione politica sulle decisioni prese dalla CEC e ancora meno in grado di rispettare il voto individuale e collegiale in seno alla CEC”.
Ad inizio aprile 2013 vi è stato un cambiamento nelle alleanze politiche nazionali. Il Movimento socialista per l’integrazione (LSI) di Ilir Meta, già parte della coalizione governativa al fianco del Partito democratico (PD) del primo ministro Sali Berisha, ha annunciato la formazione di una coalizione pre-elettorale con il Partito socialista di Edi Rama. A seguito dell’annuncio il gruppo parlamentare del PD ha presentato una mozione parlamentare per la revoca del mandato a uno dei membri della CEC, Ilirjan Muho. Muho era stato nominato proprio dall’LSI, nel 2012. Il gruppo parlamentare del PD ha argomentato che la sua revoca era necessaria per riportare “l’equilibrio politico”: “Il codice [elettorale] si basa su un principio cardine: il bilanciamento politico tra maggioranza e opposizione. Il bilanciamento politico è il principio cardine anche della composizione della CEC… questo principio è la spina dorsale dell’intero sistema elettorale”.
Ciononostante non vi è alcun fondamento nel Codice elettorale che permetta al parlamento di rimuovere un suo membro contro la sua volontà se non per i motivi sopraelencati. Prima della decisione del parlamento, Alexander Arvizu, ambasciatore Usa a Tirana aveva sottolineato che: “La CEC ha un mandato ben definito e chiaro. E’ l’istituzione responsabile di supervisionare il processo elettorale e, come tale, è importante che l’indipendenza di tale istituzione venga rispettata. La CEC dovrebbe essere libera da interferenze di qualunque individuo e qualsiasi istituzioni e tra queste anche il parlamento albanese”.
Il dibattito parlamentare sulla legalità della rimozione del membro della CEC è durato più di dodici ore. Nel corso del dibattito, il PD ha mutato la sua argomentazione. Ha affermato che, durante il suo lavoro precedente come pubblico ministero nel 2003 Ilirjan Muho era stato sospeso dall’incarico. Ha sottolineato che il codice elettorale prevede che, per essere nominato in seno alla CEC, non si deve aver subito sospensioni da parte della pubblica amministrazione a seguito di violazioni di legge (Legge elettorale albanese, 2012, articolo 12).
Il PD ha insistito sul fatto che Muho avrebbe violato l’articolo 12 della Legge elettorale per non aver evidenziato la sua sospensione prima della sua nomina. Il Partito democratico ha poi proceduto votando su questa base l’annullamento della precedente decisione del 2012 di nominare Muho. Il voto ha rispettato le linee partitiche. Un nuovo membro della CEC proveniente dal Partito repubblicano, membro della coalizione di governo, è stato nominato al posto di Muho.
L’LSI ha protestato in modo energico contro questa decisione. In una lettera indirizzata alle missioni diplomatiche straniere a Tirana ha sottolineato che Muho era stato sospeso dal proprio mandato di pubblico ministero in modo improprio. Non aveva commesso alcun crimine, ma la sua colpa era stata quella di provvedere al trasferimento di un detenuto in un istituto di cura mentale, a seguito di un’ordinanza in tal senso ricevuta dalla corte. Dopo aver fatto appello all’Alta corte albanese la sua sospensione è stata revocata. Non avrebbe avuto quindi alcun obbligo di informare di questa sospensione.
La revoca del mandato a Muho ha portato alle dimissioni per protesta di altri tre membri della CEC. Di conseguenza, la CEC ha attualmente solo quattro componenti al posto di sette. Questa non è una disputa su tecnicismi legali. La maggioranza parlamentare ha dichiarato apertamente i motivi alla base della rimozione il membro della CEC. Se si permette che questa decisione rimanga valida, questo costituirà un precedente che permetterà anche in futuro la rimozione di membri della CEC da una maggioranza semplice del parlamento, basandosi su un pretesto piuttosto che su un altro.
Contare i voti, decisioni sugli appelli
Con solo quattro membri la CEC non può dare risposta ad un elemento chiave del suo mandato per le prossime elezioni: non può operare come istituzione d’appello per le contestazioni. Secondo la Legge elettorale sono richiesti infatti cinque voti per adottare decisioni sui ricorsi che contestano i risultati nelle singole sezioni elettorali o per "dichiarare non valide le elezioni stesse, in toto o in parte”. (Legge elettorale albanese, 2012, articolo 25).
Le recenti tornate elettorali in Albania hanno prodotto scarti molto risicati tra le coalizioni contendenti. Nel 2009 il Partito democratico e i suoi alleati hanno sconfitto il Partito socialista per soli 24.000 voti. Nelle elezioni amministrative di Tirana, nel 2011, sembrava aver prima vinto il candidato socialista Edi Rama, per soli 10 voti sul suo avversario del PD Lulzim Basha, su un totale di oltre 250.000 voti. Poi la Commissione elettorale ha deciso di riconteggiare alcuni voti e Basha è risultato vincitore per 81 voti. Nonostante sia stata una decisione controversa, è stata adottata dall’istituzione che aveva mandato per farlo.
Molti commentatori politici stanno sottolineando che, date le attuali coalizioni, vi sarebbero almeno quattro distretti dove il margine di vittoria potrebbe essere limitato a 500-1000 voti. Questo significa che l’esito elettorale potrebbe, ancora una volta, risultare da un riconteggio o da una decisione della Commissione elettorale. E’ per questo cruciale che le istituzioni che amministrano queste elezioni agiscano in rispetto della legge.
Prevedere l’esito elettorale è una questione delicata, in Albania, come nella maggior parte delle democrazie. Ma siamo certi di una previsione riguardante le prossime elezioni albanesi. Nell’assenza di una CEC credibile, imparziale e legittimata queste elezioni finiranno in una accesa disputa. Chiunque ne risulti vincitore, gli sconfitti saranno la democrazia in Albania e le sue prospettive di integrazione europea.
Il ruolo della comunità internazionale
Gli internazionali non possono farsi sostituti della buona volontà dei leader nazionali. Ma ciononostante possono aiutare a mitigare i conflitti, sia prima che dopo la tornata elettorale, prendendo una posizione chiara e comunicando in modo altrettanto chiaro ciò che la comunità internazionale si aspetta.
Il messaggio chiave da parte di tutti gli osservatori internazionali, e in particolare dall’Unione europea, deve essere che tutte le istituzioni albanesi devono attenersi rigorosamente alle leggi che loro stesse hanno adottato. Vi sono alcune linee rosse che non devono essere attraversate. I leader albanesi devono essere consci che il mondo li sta osservando.
Definire in anticipo queste linee rosse rende meno probabile vengano in seguito trasgredite. E queste dovrebbero includere certamente le seguenti:
- I membri dell’amministrazione elettorale non possono essere rimossi per ragioni non specificate nella legge elettorale;
- Il conteggio dei voti e l’approvazione o il diniego dei ricorsi devono avvenire sotto il rispetto rigido delle procedure previste nella legge elettorale.
Assumendo una posizione chiara fin d’ora e insistendo sulla revoca della decisione di rimuovere un membro della CEC che era stato nominato per sei anni, gli Stati Uniti e l’Unione europea aumentano la probabilità che queste linee rosse non vengano superate nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. Aumentano la possibilità che queste elezioni avvengano rispettando “gli standard europei e internazionali”.
Conclusioni
Queste elezioni saranno un test non solo per la democrazia albanese ma anche per il rispetto dello stato di diritto. Dimostreranno se le istituzioni albanesi sono in grado di rispettare a sufficienza lo stato di diritto per assicurare la prevalenza dei principi democratici nel paese.
ESI ritiene che la posizione dell’UE debba essere chiarita fin da ora in modo da evitare maggiori scontri in futuro. L’UE dovrebbe dichiarare senza ambiguità che a meno che la CEC non venga ricostituita nella sua totalità prima che si avvii ufficialmente la campagna elettorale il prossimo 23 maggio, in linea con quanto prevede la legge elettorale e se non è poi capace di procedere nelle sue funzioni in modo professionale e imparziale sino alla fine dell’intero processo elettorale, la UE non riterrà che queste elezioni si sono “svolte in linea con gli standard europei e internazionali”. Questo di conseguenza bloccherà ogni passo ulteriore dell’Albania verso l’integrazione nell’UE.
Anche se solo un mese fa ESI si augurava che i messaggi tempestivi della comunità internazionale avrebbero aiutato queste elezioni del 2013 ad essere differenti da quelle del 2009, ora vi sono meno ragioni per essere ottimisti.
Ciononostante rimane di vitale interesse internazionale che queste elezioni avvengano secondo standard internazionali e che emerga un governo dell’Albania credibile e legittimo. E’ una questione di vitale importanza per gli albanesi, ma anche per il resto d’Europa.
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