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Elezioni in Albania: andamento lento

Sono elezioni ritenute da tutti cruciali, in primis dall’Unione europea. Ma in Albania ci si sta avvicinando al voto del prossimo 23 giugno senza grandi cambiamenti (in meglio) rispetto al passato. Una rassegna

10/06/2013, Marjola Rukaj -

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Gli albanesi si stanno avvicinando ad uno degli appuntamenti elettorali più importanti degli ultimi anni. Eppure a prima vista sono poche le novità: la campagna elettorale sembra una delle meno spettacolari e probabilmente più povere degli ultimi anni; cartelloni elettorali ridotti al minimo e comizi elettorali che ricordano il fare populistico e i bagni di folla dei leader del regime comunista. Inoltre, come nelle campagne precedenti, i programmi elettorali sembrano essere l’ultima preoccupazione dei politici e l’elemento principale del discorso pubblico rimane – come anche in passato – l’infangare l’operato dell’avversario senza risparmiarsi di tirare in ballo vicende personali irrilevanti per l’interesse pubblico.

Bipolarismo e antipolitica

Sali Berisha, il premier uscente, si prefigge di governare per la terza legislatura consecutiva. Il Partito Democratico non presenta un programma elettorale strutturato, ma promette di continuare le politiche attuate finora. Recita “Perpara” (avanti) il suo slogan principale. Il contenuto della campagna del partito di Berisha si basa tutto sull’operato nelle ultime legislature, tra cui l’integrazione del paese alla Nato, la liberalizzazione dei visti con lo spazio Schengen, e le numerose opere pubbliche avviate in merito alle infrastrutture del paese. Sulla scia di quanto già attuato, il premier promette principalmente nuove riforme e nuove assunzioni nel mondo del lavoro, l’integrazione europea dell’Albania e la liberalizzazione dei visti con gli USA.

Una novità – molto discussa – dell’attuale campagna elettorale è stata la comunicazione diretta con cui Berisha ha scelto di trasmettere la sua offerta politica: niente meno che un sms privato firmato S. Berisha giunto sui cellulari privati di buona parte dei cittadini in possesso di un telefono cellulare.

Non sono mancate le sottolineature ironiche su quanto successo mentre in pochi si sono preoccupati di avviare un dibattito sulla legittimità di violare la privacy dei cittadini sia da parte del premier che da parte delle compagnie di telefonia mobile che hanno reso possibile tale mossa.

Come anche nelle elezioni precedenti rimangono al centro dell’attenzione invece il fatto che il premier indossi un giubbotto antiproiettile e che negli spot elettorali il suo viso sembri molto ritoccato e quasi snaturato rispetto a prima.

Il Partito Socialista (PS) di Edi Rama si è reinventato con lo slogan Rilindje (Rinascimento), con un nuovo colore che diversamente dal rosa precedente tende di più al viola, come a voler simboleggiare quello che Rama ripete continuamente riguardo il suo essere oltre la politica, oltre la destra, oltre la sinistra, e oltre i regionalismi, puntando anche all’elettorato tradizionalmente blu (il colore del partito di Sali Berisha) che si è trovato deluso nel corso delle ultime legislature.

Quello che il PS offre come suo programma di partito, strutturato con slogan che si rifanno molto a quelli generici e pieni di buoni propositi dei padri della nazione ai tempi del Rinascimento albanese, è poco articolato e spesso non poggia su analisi condotte da esperti, basti pensare alle politiche proposte per potenziare il mercato del lavoro, che non analizzano affatto il mercato del lavoro attualmente in Albania.

In ogni caso il PS di Edi Rama è riuscito a superare le divisioni interne e sembra in grado di rimanere unito sino alle elezioni.

Come anche in passato non mancano di emergere chiaramente i legami tra politici albanesi, media e uomini d’affari.

Ha fatto molto discutere una delle ultime mosse di Edi Rama, che ha fatto candidare nella zona di Valona uno dei magnati dell’industria edile e mediatica del paese, Koço Kokedhima. Dal canto suo il sostegno al PD di Berisha da parte di TV Klan, una delle emittenti nazionali più importanti, ha finito per scaturire una situazione imbarazzante in cui durante un talk show il giornalista Blendi Fevziu censurava Artan Lame del PS per privilegiare l’attuale ministro dei Trasporti, Sokol Olldashi del PD.

Ilir Meta e il terzo polo mancato

La lotta alla disoccupazione sembra il principale obiettivo dell’LSI di Ilir Meta, che partecipa alla campagna elettorale con lo slogan “Te ecim shpejt” (Camminiamo veloce). Ilir Meta che ha rotto con Sali Berisha per allearsi con il PS di Edi Rama, ha più volte chiarito che vuole andare al governo e possibilmente vorrebbe diventare il nuovo premier del paese, pur specificando che non ha ancora raggiunto un accordo con Edi Rama al riguardo. Alcuni analisti di Tirana hanno interpretato tale dichiarazione come una sorta di porta aperta, per abbandonare di nuovo il PS di Rama e allearsi con chi meglio gli conviene. Nessuno si stupirebbe vista l’esperienza delle elezioni precedenti.

Si sono invece ridimensionati i nazionalisti di Kreshnik Spahiu, che nel frattempo è stato abbandonato da alcune figure di spicco all’interno dell’Alleanza Rossonera. Per quanto non molto chiari i motivi sembrano essere simili a quelli che hanno causato le crepe nei partiti più tradizionali della politica albanese, un forte centralismo da parte del leader, e l’intransigenza di Spahiu nel non schierarsi con una delle due possibili coalizioni di governo, mossa cruciale e necessaria per assicurare la sopravvivenza di un partito nuovo, piccolo, ed estremista.

Spahiu, sempre attivo nei media albanesi, ha iniziato ultimamente a darsi al vittimismo e al messianesimo comparando le sue difficoltà con il percorso degli inizi di figure religiose come Gesù o Maometto. A Tirana non manca chi sostiene che Spahiu sia una carta di riserva inventata da Berisha da utilizzare in un secondo momento, in caso di necessità per ottenere la maggioranza al governo. Con il discredito di Spahiu è diventato chiaro che in Albania solo con la carta nazionalista, non si può andare molto lontano, ma d’altro canto questo fatto sta anche a dimostrare che dopo tutto gli albanesi rimangono fedeli ai grandi poli e ai rispettivi sistemi clientelistici.

Nel corso dell’attuale campagna elettorale sono emersi anche importanti candidati indipendenti. Tra questi Dritan Prifti, il politico che ha portato alla ribalta il video sulla vicenda di corruzione in cui veniva coinvolto Ilir Meta. Si candiderà a Fier, sua zona d’origine, e roccaforte dei socialisti.

Arben Malaj, ex ministro delle Finanze del PS, si candiderà invece a Valona, dopo aver abbandonato il PS di Edi Rama nel corso dell’ultima crisi di partito avvenuta pochi giorni prima dell’inizio della campagna elettorale.

Saranno decisivi nella formazione del nuovo governo il partito delle minoranze etniche PBDNJ, e il suo oppositore nazionalista PDIU. In quanto rappresentanti di gruppi politici ben definiti, questi due partiti tendono a essere sempre integrati nelle coalizioni vincenti.

Infine la formazione politica dell’ex presidente Bamir Topi, FRD, si prefigge di diventare la "vera" destra albanese e di ottenere i voti degli ex fedeli di Berisha.

Media e comparse

Anche nel corso dell’attuale campagna elettorale la trasparenza mediatica e il commercio dei voti sembrano costituire un vero e proprio tallone d’Achille per il paese. La maggior parte dei partiti albanesi dispone di una vera e propria redazione di ex giornalisti, che seguono, filmano e curano il montaggio di filmati o scrivono i report che poi vengono consegnati ai media nazionali e locali.

E i giornalisti dei media hanno solo l’obbligo di pubblicare o mandare in onda il materiale come viene loro consegnato.

La novità di questa campagna elettorale è che finalmente si è deciso di reagire a questa situazione. L’unione dei giornalisti albanesi ha organizzato il 6 giugno una manifestazione di protesta contro questo fenomeno davanti alle sedi dei partiti principali. Ma la manifestazione, a detta della giornalista Anila Basha, è praticamente fallita e i giornalisti partecipanti si contavano sulle dita di una mano.

Un altro fenomeno imbarazzante delle campagne elettorali albanesi è l’arruolamento (di fatto un’assunzione) di comparse che seguono i partiti per tutti i comizi elettorali. E’ facile incontrare tra le cerchie dei propri conoscenti dei disoccupati che per circa 300 euro di stipendio mensile si offrono di fare le comparse elettorali, promettendo in seguito il voto al partito da cui sono stati assunti.

Per quanto sia chiaro che le elezioni del 23 giugno siano cruciali per il futuro del paese, tra i soliti clientelismi, e i politici che puntano esclusivamente al potere, l’attuale campagna elettorale non promette il grande cambiamento che l’Albania avrebbe dovuto attuare nel 2013.

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