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Elezioni a Cipro: astensione e voto di protesta

Forte astensione e calo di consensi per i partiti tradizionali, Disy e Akel, alle politiche del 22 maggio scorso. Entrano in parlamento l’ultra-destra e altre piccole forze populiste

10/06/2016, Francesco Grisolia -

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Le ultime elezioni parlamentari a Cipro, svoltesi lo scorso 22 maggio, sembrano aver dato due principali messaggi: da un lato, l’elevata astensione (oltre il 32%) ha segnalato una diffusa disaffezione dell’elettorato; dall’altro, il calo di consenso dei due principali partiti e l’ingresso in parlamento di una controversa forza nazionalista, sono stati chiari segnali d’insoddisfazione e protesta.

La gestione della crisi economica, dal 2013 ad oggi

Nella campagna pre-elettorale il confronto tra le forze politiche greco-cipriote è stato concentrato sugli effetti della crisi finanziaria ed economica che ha investito la Repubblica di Cipro a partire dal 2012. La terapia concordata con la troika nel 2013 ed efficacemente conclusa lo scorso marzo, ha comportato la liquidazione e ricapitalizzazione di due dei principali istituti bancari ciprioti e l’intervento sui depositi non assicurati – il controverso bail-in. A ciò si sono aggiunte misure di austerità e privatizzazioni – alcune delle quali in itinere – che hanno prevedibilmente suscitato malumori o aperto dissenso presso una parte dell’elettorato e delle forze politiche di opposizione.

La terapia è stata quindi energica, ma ha prodotto i risultati attesi. Alcuni mesi fa l’Eurogruppo ha infatti commentato positivamente sull’operato di Nicosia, definendolo superiore alle aspettative. L’economia mostra segni di ripresa ma le privatizzazioni concordate – fra cui quella dell’autorità per le telecomunicazioni – dovranno continuare. Accanto alla gestione dei negoziati con i turco-ciprioti – tema costante dell’agenda politica – il confronto si è quindi polarizzato intorno alla crisi, la disoccupazione e le misure di austerità.

Il messaggio del 22 maggio è stato duplice: i due principali partiti, il Disy (centro-destra) e l’Akel (centro-sinistra), hanno subito un calo di consensi, sebbene con valenze differenti; una serie di piccoli partiti hanno invece conquistato, o consolidato, la propria presenza in parlamento. Il verdetto dei seggi, tuttavia, non può essere interpretato come semplice insoddisfazione verso i partiti tradizionalmente al potere e un simmetrico sostegno alle forze che al momento sembrano incarnare la protesta anti-sistema.

I risultati e le possibili interpretazioni

Il primo punto su cui riflettere è il livello record di astensione: quasi un elettore su tre ha deciso di non votare. Tale reazione può essere almeno in parte attribuita ai vincoli del piano di ristrutturazione economico-finanziaria e alla sensazione di molti cittadini che, a prescindere dal partito o coalizione di governo, tali misure dovranno essere implementate. D’altra parte, il non voto può essere interpretato come segnale di più ampia disaffezione verso il panorama politico greco-cipriota. Un dato su cui riflettere è che tradizionalmente i voti combinati di Akel e Disy rappresentano due terzi dell’elettorato; questa volta lo spoglio ha rivelato una perdita congiunta di oltre dieci punti.

Il Disy, con il 30,7% e 18 seggi nel nuovo parlamento, si è confermato il primo partito. Pur avendo registrato un calo del 3,6% (- 2 seggi), ha retto piuttosto bene alla prova delle urne. Il partito del presidente Anastasiadis, avendo assunto nel 2013 il difficile compito di gestire l’applicazione del piano di salvataggio e ristrutturazione, costituiva prevedibilmente il bersaglio dei partiti d’opposizione. Tuttavia, l’efficacia del piano triennale, conclusosi a marzo, ha consentito al Disy di contenere le perdite.

L’Akel, al contrario, è uscito palesemente sconfitto dalle urne, con il 25,7% e 16 seggi – 3 seggi e 7 punti in meno rispetto al 2011. L’attribuzione di responsabilità del crollo finanziario ed economico è stata chiara e inappellabile. Nel corso della campagna elettorale vari rappresentanti dell’Akel hanno cercato di distanziare la figura dell’ex presidente Christofias dal partito, ma l’operazione non è pienamente riuscita. Sebbene dopo l’avvicendamento fra Christofias e Anastasiadis l’Akel abbia cercato di ricostruire la propria credibilità nel dibattito su disoccupazione, privatizzazioni e gestione della spesa pubblica, non pochi fra i suoi stessi simpatizzanti devono aver pensato che era ormai troppo tardi. Neanche la disciplina di partito tradizionalmente attribuita al suo elettorato è stata sufficiente ad evitare il pesante verdetto.

Il Diko (Partito democratico; centro) ha invece mantenuto i suoi 9 seggi, ottenendo quasi il 14,5% dei voti. Pur non avendo risparmiato critiche al Disy, nell’ultima legislatura ha occasionalmente sostenuto le proposte di legge legate al memorandum, permettendo così l’avanzamento del piano di ristrutturazione. Combinando opposizione e sostegno, il Diko è quindi riuscito a conservare il proprio consenso elettorale. In perdita è risultato invece l’EDEK (Movimento per la Socialdemocrazia; centro), con il 6,2% dei voti e 3 seggi in parlamento; il 2,8% e 2 seggi in meno rispetto al 2011. In questo caso, la linea di permanente – e a volte pretestuosa – contestazione non ha pagato. Infine, i piccoli vincitori delle elezioni legislative: l’Alleanza dei cittadini (3 seggi), il Movimento per la Solidarietà (3 seggi), i Verdi (2 seggi) e l’Elam (2 seggi). Tali partiti sono accomunati da due orientamenti: euroscetticismo, manifestatosi anche nella loro costante opposizione alle misure previste nel memorandum; rifiuto sostanziale – se non in linea di principio – della cornice federale, bizonale e bicomunitaria, quale compromesso di base per la riunificazione di Cipro. I Verdi sono l’unica forza presente anche nel precedente parlamento; il Movimento per la Solidarietà, invece, ha inglobato in sé un altro piccolo partito, l’Evroko, di analoghi orientamenti.

Tuttavia, la vera novità per lo scenario politico greco-cipriota è stata l’entrata in parlamento dell’Elam (Fronte Nazionale Popolare). Nato nel 2008, divenuto partito nel 2011, l’Elam promuove un nazionalismo “sociale e popolare” ed è considerato il gemello di Alba Dorata nell’isola. Negli ultimi anni membri del Fronte sono stati protagonisti d’isolati atti di violenza contro cittadini turco-ciprioti; più in generale, la retorica del partito è chiaramente xenofoba, oltre che sorda al dialogo con l’altra principale comunità cipriota. D’altra parte, se la presenza nel nuovo parlamento dell’ultra-destra e di altre piccole forze populiste è considerata da alcuni analisti come un preoccupante segnale per il futuro, le prospettive del Disy, in qualità di primo partito, non sono necessariamente cupe.

Economia e negoziati: possibili scenari

Come ricordato sopra, il voto del 22 maggio è stato un rischioso test per il Disy. Il partito del presidente Anastasiadis tre anni fa si è assunto l’ingrato compito di attuare tagli alla spesa pubblica, privatizzazioni (in corso) e le altre misure previste da un bail-in che è derivato – molti cittadini sembrano non averlo dimenticato – dal rifiuto di un precedente accordo di bail out (meno gravoso) e, ancor prima, da una gestione finanziaria ed economica piuttosto azzardata da parte dell’Akel, partito che non a caso ha subito le maggiori perdite nelle urne. Il periodo più difficile della ristrutturazione sembra essere passato e vi sono primi segnali di ripresa. Tali elementi rafforzano l’autorevolezza del Disy in vista della nuova legislatura.

Per quanto concerne i piccoli partiti, probabilmente un’indicazione sull’impatto che potranno avere nello scenario greco-cipriota è arrivato dagli stessi contenuti della loro campagna elettorale. Un’agenda basata sull’aumento generalizzato delle misure di welfare, della spesa pubblica per creare lavoro e sulla simultanea riduzione di una serie di imposte può consentire l’assegnazione di qualche seggio alle nuove forze di opposizione, ma sarebbe del tutto impraticabile come linea di governo a breve e medio termine.

L’altro terreno su cui si gioca non solo il futuro dei due principali partiti greco-ciprioti, ma dell’isola, è il processo negoziale. Akel e Disy sono accomunati dalle posizioni moderate rispetto alla possibile soluzione della questione cipriota. Nel recente passato non sono mancate svolte impreviste: nel 2004, in occasione del referendum sul Piano Annan, l’Akel, tradizionalmente pro-riunificazione, ha scelto il no; il Disy, a dispetto delle proprie origini, ha invece optato per il sì. Tuttavia, Akel e Disy rimangono fedeli – almeno in linea di principio – alla cornice bizonale e bicomunitaria, la base per il compromesso ribadita fin dagli anni ’70 del secolo scorso nei negoziati promossi dalle Nazioni Unite.

Ben diverse, invece, le posizioni dei piccoli partiti che hanno trovato spazio nel nuovo parlamento. Uno degli argomenti spesso adottati da queste forze è che bizonalità e bicomunalità rappresenterebbero una violazione dei diritti umani dei ciprioti e delle libertà (di movimento, insediamento e proprietà) su cui l’Unione Europea è fondata. Tuttavia, la cornice bizonale e biomunitaria è l’unica realistica base per un accordo fra greco e turco-ciprioti; di ciò addetti ai lavori, analisti e cittadini informati sono consapevoli da almeno tre decenni. Dietro il rigetto di tale cornice sembra tuttavia nascondersi – oltre ogni ragionevole dubbio nel caso dell’Elam – un ben più profondo rifiuto della coesistenza paritaria, sul piano politico e amministrativo, con i turco-ciprioti. Come nelle scelte di politica economica e finanziaria, anche nei negoziati il Disy dovrà quindi affrontare una significativa opposizione interna. Il 2016 può ancora essere l’anno della svolta, come ripetutamente auspicato dai presidenti Akıncı e Anastasiadis; è giunto però il momento di dimostrarlo.

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