Elefteria di Istanbul
Magnolia vive in Grecia con la madre Elefteria. Alla morte di quest’ultima il passato irrompe violentemente nella sua vita e la porta lungo il Bosforo. Un romanzo che racconta la cacciata della comunità greca da Istanbul nel 1955
Della grande questione greco-turca, territoriale e non solo, sono rimasti nella memoria collettiva gli esiti nefasti della guerra d’indipendenza turca che vide contrapposti i due paesi tra il maggio del 1919 e l’ottobre del 1922, in seguito alla quale l’esercito turco, guidato da Kemal Atatürk che, sulla dissoluzione dell’Impero ottomano aveva fondato la Repubblica Turca, sconfisse quello greco con la conquista di territori che erano stati greci da oltre tremila anni.
L’occupazione di Smirne, che fu data alle fiamme, più di un milione di greci cacciati dall’Anatolia, violenze di ogni genere, morti ammazzati, stupri, furono le cause che comportarono fughe, esili, fame, malattie, fino al Trattato di Losanna del 24 luglio 1923 che stabilì ufficialmente lo scambio di popolazioni in seguito al quale i greci dell’Anatolia andarono in Grecia e i turchi nella nuova Turchia. Un’eccezione fu fatta per i greci di Costantinopoli/Istanbul, e delle isole di Imbro e Tenedo, una popolazione di circa 400 mila persone per le quali il Trattato impose al governo turco il rispetto, così come lo impose al governo greco per la minoranza turca.
La letteratura greca, e più in generale filoellenica, ha più volte trattato questo tema, insieme al pogrom dei greci del Ponto. Non altrettanto però è stato fatto per un altro pogrom di greci, molto più recente, e questa volta contro la minoranza greca di Istanbul, avvenuto nel 1955 con il suo apice nei giorni 6 e 7 settembre, in seguito al quale altri greci si trovarono costretti a fuggire dalle proprie case per trovare rifugio nella madre patria greca. Ci ha pensato però, straordinariamente, e aggiungerei in modo ammirevole anche per lo spirito di riconoscimento e richiesta di perdono che sottintende l’opera, uno scrittore turco, Kemal Yilmaz, con il romanzo “Elefteria di Istanbul”, edito da Francesco Brioschi Editore per la traduzione di Tina Maraucci.
L’impianto della storia parte da un’introduzione che rende del tutto insospettabile il percorso lungo il quale ci porterà il racconto.
La vecchia Elefteria è morta, sua figlia Magnolia la piange. Non è più una bambina, ha quasi trent’anni e la madre ha sperato, fino all’ultimo, che si sistemasse con un brav’uomo. Ma la ragazza ha preferito vivere con lei, in una simbiosi dovuta al fatto che hanno sempre vissuto insieme a causa della morte prematura del padre, in un incidente e che Magnolia non ha fatto in tempo a conoscere. Come capita a molti esuli che cercano di rimuovere il dolore che la tragedia della cacciata dalla propria casa ha generato, Magnolia sa poco delle motivazioni che hanno spinto tanti greci ad andarsene da Istanbul. La madre, alla quale più volte aveva chiesto: “Perché non sei rimasta a Istanbul?” si era limitata a un racconto essenziale: riferisce della sua corsa al treno alla stazione di Sirkeci, con i soli propri abiti addosso, senza trovare neppure il tempo di salutare amici e parenti.
A riguardo l’autore continua ricordando anche la seconda ondata di persecuzioni che ha colpito la minoranza greca in Turchia, quella, più recente ancora, del 1964 a causa della situazione di Cipro. “Il governo turco” leggiamo “aveva emanato un decreto per tutti i greci di Istanbul: in cambio di quattro soldi avevano l’ordine di lasciare il paese entro quarantotto ore. E così avevano raggiunto Atene anche molte altre persone che conoscevano Elefteria”. E qui l’autore conferma il motivo del silenzio nelle vittime: “Al loro arrivo si erano disperse, avevano fatto passare gli anni senza rivedersi, forse per non ricordare il buio di quei terribili giorni”. Quanto terribili lo vedremo più avanti nei racconti che emergeranno nei capitoli finali.
Magnolia ha poche amicizie, una in particolare, quella di una donna più grande di lei: Celena, legata alla madre per le comuni origini, anche lei esule da Istanbul/Costantinopoli, nella quale cerca il conforto per quella sua grande perdita. Nello stesso tempo, il ricordo della madre spinge Magnolia a ritrovarla nelle cose che ha lasciato, frugando nella sua camera. Trova così, oltre a un diario, anche una lunga lettera scritta di suo pugno e indirizzata proprio a Magnolia, con la raccomandazione di aprirla dopo la sua morte. Naturalmente l’ansia di scoprire che cosa la madre le ha voluto trasmettere di così importante è tanta. La lettera però è scritta in turco, che Magnolia non conosce. Lo conosce però l’amica Celena che chiede tempo per tradurla.
Comincia da qui un’abile operazione narrativa che via via farà crescere la suspense procurata dalla scoperta di quella lettera, il cui contenuto, anche dopo che Celena l’avrà tradotta, resterà oscuro al lettore, nonostante questi assista agli sconvolgimenti interni, emotivi di Magnolia. “In silenzio Celena esaminava le sue reazioni. La prima pagina, la seconda… Più Magnolia andava avanti più il suo viso diventava cereo”. “Com’è possibile?” riuscirà a chiedersi Magnolia al termine di quella sconvolgente lettera, dopo la quale non sarà più la stessa, per chiudersi in una sua profonda depressione per guarire dalla quale l’amica Celena la spingerà al grande passo: tornare a Istanbul.
Ed è lì che apprenderà, con il lettore, quanto di terribile era accaduto nei fatidici giorni del 1955, con la complicità del governo dittatoriale d’allora di Adnan Menderes, leader del Partito Democratico, che diede ordine alla polizia di restare chiusa nelle caserme mentre i facinorosi dell’Associazione “Cipro è turca” – che avevano anche incendiato la casa natale di Atatürk a Salonicco con l’intento di imputare i greci del gesto così da giustificare la loro violenta reazione – scorrazzavano per le strade di Istanbul, nei quartieri abitati dalla popolazione greca, incendiando le loro case, i loro negozi, le loro chiese (ben 78 saranno le chiese greco-ortodosse di Istanbul incendiate), con decine di donne violentate, spari, morti, fino a costringerli alla fuga.
Ma non sarà, quella, la sola verità che Magnolia apprenderà. Ce ne sarà un’altra, più grande per lei personalmente, che le farà capire quanto la tragedia di un intero popolo colpisca la vita personale, intima, non solo delle persone che la vivono, ma inevitabilmente anche il destino di persone come lei, venute dopo, nonostante tutto, al mondo.
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