Edina Bećirević, le divisioni della Bosnia Erzegovina e il paradosso Ucraina
L’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, paradossalmente, potrebbe aver evitato un nuovo scontro aperto in Bosnia Erzegovina. È questa una delle riflessioni di Edina Bećirević, professoressa all’Università di Sarajevo ed esperta di influenza russa nei Balcani occidentali. Un’intervista
Dal febbraio 2022, quando il presidente russo Vladimir Putin ha ordinato l’invasione dell’Ucraina, quali sono secondo lei gli sviluppi più significativi in Bosnia Erzegovina?
Credo sia importante tornare a un paio di mesi prima dell’aggressione all’Ucraina, quando il presidente della Republika Srpska Milorad Dodik ha dato inizio ad una vera e propria avventura secessionista, imponendo normative che sfidano apertamente lo stato della Bosnia Erzegovina. È stato un momento di grave crisi: secondo i servizi segreti occidentali e molti diplomatici con cui io e i miei colleghi abbiamo parlato, eravamo molto vicini alla ripresa del conflitto in Bosnia Erzegovina. Dodik era a un passo dal dichiarare la secessione, una mossa che non sarebbe stata accettata pacificamente dalle forze pro-bosniache. Tutti temevamo l’inizio della guerra. Dodik ha fatto visita a Putin, probabilmente nel novembre 2021, e poco dopo ha iniziato a spingere sul suo programma secessionista, e questo sicuramente non è un caso.
Sono però convinta che l’inizio della guerra in Ucraina abbia paradossalmente evitato la guerra in Bosnia Erzegovina. Mi spiego: molti hanno studiato l’influenza russa nei Balcani occidentali, ma l’analisi a livello politico è stata assolutamente scollegata dal livello decisionale. Solo quando la Russia ha invaso l’Ucraina, la maggior parte dei paesi e dei funzionari europei si è svegliata. Dodik allora ha smesso di avanzare richieste istituzionali apertamente secessioniste. Si è fermato fondamentalmente perché si è sentito minacciato dall’Occidente. Ha visto come l’Occidente si è unito contro Putin e probabilmente ha pensato: "Se questa è la reazione nei confronti del Cremlino, cosa potrebbe accadere a me se facessi una mossa di simile?". Così Dodik ha smesso di chiedere la secessione e ha iniziato a giocare un ruolo più cooperativo con l’Occidente.
E come vede la situazione oggi?
Credo che in Bosnia Erzegovina non ci sia al momento un reale rischio di guerra. Purtroppo, però, l’UE e gli Stati Uniti hanno iniziato una strategia di cooptazione della Serbia e delle forze politiche serbe, sperando di allontanarli dalla Russia. Dal punto di vista politico, Dodik ha ottenuto tutto ciò che voleva, non è stato punito in modo adeguato e continua a diffondere una retorica odiosa. E non si tratta solo di Dodik, ma anche del leader croato Dragan Čović: i due sono in una sorta di alleanza che ricorda l’ingerenza di Serbia e Croazia negli equilibri interni della Bosnia Erzegovina ai tempi di Tuđman e Milošević.
Inoltre, le modifiche alla legge elettorale imposte dall’Alto Rappresentante hanno avvantaggiato la parte croata e hanno anche rafforzato la componente politica etno-nazionale. L’elettorato bosniaco è molto arrabbiato perché sembra che Dodik e Čović – che finora sono stati trattati dall’Occidente come forze destabilizzanti – siano improvvisamente accettabili per l’Occidente.
Come si può descrivere l’influenza russa in Bosnia Erzegovina e nella regione, soprattutto a livello di politica di sicurezza?
Penso che l’influenza russa più negativa sia a livello politico, non solo in Bosnia Erzegovina, ma anche in Serbia e soprattutto in Montenegro. In Serbia non possiamo parlare di influenza indesiderata, perché la Serbia vuole l’influenza russa. Ma in Montenegro e in Bosnia Erzegovina possiamo vedere un’influenza russa davvero aggressiva. A livello politico questa è strettamente legata alla Chiesa ortodossa serba, al mondo accademico e ad alcuni media.
In Montenegro, per esempio, una maggioranza della popolazione ha sentimenti filo-russi molto forti. Credo che l’Occidente abbia ignorato a lungo questa ideologia ibrida della Russia per affermare il cosiddetto “mondo russo”. E l’Occidente sta ripetendo lo stesso errore ignorando le richieste molto esplicite della Serbia di creare un “mondo serbo”. Questi due piani devono essere analizzati insieme. In questi paesi, nel mondo accademico e tra la maggioranza degli intellettuali, la narrativa mediatica è favorevole alla Russia. Lo stesso vale per la Repubblica Srpska: per anni è stato costruito qualcosa che non può essere decostruito da un giorno all’altro, proprio a causa di questi atteggiamenti positivi della maggioranza della popolazione. C’è una narrazione collettiva e un’ideologia che ora non può essere rivolta positivamente verso l’Occidente.
Credo che la risposta chiave sia a livello di ideologia pan-slava, dove la Chiesa ortodossa, come ho detto, gioca un ruolo molto importante. C’è anche una strategia di finanziamento dei gruppi etno-nazionalisti di estrema destra che si sono diffusi in Bosnia Erzegovina, in Serbia e nella parte serba del Kosovo. Sono quindi penetrati in quest’area e riescono a mantenere questa costante sensazione di instabilità. Ci sentiamo costantemente sull’orlo del conflitto, a volte di più, a volte di meno. La principale agenda russa in questo momento per la Bosnia Erzegovina e per i Balcani occidentali in generale è mantenere questo stato di perenne insicurezza.
Ci sono altre ragioni per cui la guerra in Ucraina ha in qualche modo impedito l’esplosione di un nuovo conflitto in Bosnia Erzegovina?
Dodik oggi non può iniziare unilateralmente una guerra in Bosnia, né portare avanti il suo piano di secessione, né unirsi alla Serbia. Non può farlo, la Russia è lontana. Non è facile inviare milizie della Wagner nella Republika Srpska; e la Bosnia Erzegovina è coperta dall’intelligence occidentale. Quindi, in tutta franchezza, senza l’aiuto della Serbia – che ora non è interessata al conflitto in Bosnia – e senza l’aiuto diretto della Russia, non possono iniziare una guerra. Ma possono mantenere l’idea della distruzione della Bosnia o della dichiarazione di indipendenza e secessione. Possono tenerla in vita e aspettare che arrivi il momento geopolitico per portare avanti questo piano.
Da un punto di vista politico, come valuta la reazione europea e occidentale a quanto sta accadendo in Bosnia Erzegovina?
Penso che l’UE e l’Occidente siano davvero intenzionati a prevenire l’instabilità. Ma i compromessi politici che hanno fatto sono disastrosi per il futuro della Bosnia Erzegovina. Hanno l’intelligence sul terreno e sono ansiosi di evitare l’insorgere di seri problemi. Sono sicura che sono pronti a serie misure per evitare la guerra, e se Dodik volesse lanciarsi ora in questa avventura, per lui sarebbe un disastro perché l’Occidente non permetterebbe una propria umiliazione in Bosnia Erzegovina da parte dalla Russia. Ma a livello politico, considerando la legge elettorale e le eventuali modifiche costituzionali, la situazione è disastrosa.
È difficile pensare a qualsiasi risultato della guerra in Ucraina ed è difficile prevedere cosa accadrà. Tuttavia, pensa che esiti diversi della guerra in Ucraina possano portare a conseguenze diverse per la Bosnia Erzegovina?
È difficile dirlo. Penso che la chiave non sia solo in Ucraina. La chiave è negli Stati Uniti e in ciò che accadrà tra due anni. La politica statunitense ha ancora gli occhi puntati sulla Serbia e continua a pensare che la Serbia sarà il fattore di stabilità nei Balcani. La storia si ripete. Hanno cercato Milošević come fattore di stabilità per molto tempo. Quindi, penso che per mantenere la Serbia sul versante occidentale, forse sosterranno la Serbia con il Kosovo e daranno loro la Republika Srpska. Tutte le carte sono ancora sul tavolo, ed è davvero difficile prevedere quale sia il piano degli americani per i Balcani occidentali. Nonostante quello che dicono ufficialmente, la politica statunitense per i Balcani occidentali è molto orientata a favore dei serbi.
Inoltre, l’opinione pubblica serbo-bosniaca non è mai stata così anti-NATO come oggi. Ciò che si può fare ora è essere pragmatici e non discutere dell’adesione della Bosnia Erzegovina alla NATO, ma continuare a fare riforme nel campo della sicurezza che ci avvicinino alla NATO, per rendere le nostre forze compatibili con gli standard del Patto Atlantico. Penso che questo sia tutto ciò che possiamo fare ora, che non è poco, finché non cambia qualcosa in Serbia. Non credo sarà possibile l’adesione alla NATO, almeno finché Dodik sarà al potere.
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