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Dubbi sotto la cenere

Bufera politica dopo l’esplosione del deposito di armi di Gerdec, nei pressi di Tirana. Mentre procedono le indagini della magistratura e le inchieste investigative dei media per accertare i responsabili del grave incidente, l’opposizione chiede le dimissioni del premier Berisha

26/03/2008, Marjola Rukaj - Tirana

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L’esplosione del deposito di armi di Gerdec, avvenuta lo scorso 15 marzo, ha profondamente sconvolto la politica albanese. La gravità della tragedia, con un bilancio di ben 24 morti e 300 feriti che, secondo le stime riferite dal premier Salì Berisha, costerà alle casse dello stato albanese 1.5 miliardi di lek (circa 12 milioni di euro), ha schiacciato tutte le altre tematiche politiche diventando il tema del giorno su tutti i media albanesi.

Sono proprio i media, come molti analisti hanno sottolineato, ad aver fatto luce sulla questione più di quanto ne abbia fatto lo Stato. Ardian Klosi, noto intellettuale e attivista della società civile, ha affermato che "dopo 17 anni di libera informazione in Albania, finalmente i media albanesi si sono svegliati, facendo un’informazione per la prima volta libera dalle pressioni del potere". I media, infatti, hanno intrapreso un cammino investigativo, con una serie di indagini e raccolta di prove, fornendo delle informazioni che nessun organo statale è stato in grado di portare alla luce.

Mentre il premier Berisha, con aria impassibile, si è limitato a frasi generiche sulla condanna dei responsabili, parallelamente alle ricerche incessanti dei media sono iniziate anche le indagini da parte della procuratrice generale Ina Rama. Tre giorni dopo l’esplosione fatale il ministro della Difesa Fatmir Mediu, del Partito Repubblicano, stretto alleato del Partito democratico di Berisha, si è dimesso, "non perché responsabile di quanto accaduto, ma percependo le dimissioni come un obbligo morale". "Sono state le 72 ore più difficili della mia vita" ha commentato Mediu ai media, mentre Berisha ha rimediato subito proponendo come successore di Mediu, il vice premier Gazmend Oketa, PD-izzando ulteriormente il Consiglio dei ministri, che diventa sempre più blu.

Le indagini sono solo all’inizio, ma la questione sembra complessa e piena di nodi oscuri. In una delle sue poche dichiarazioni in merito alle responsabilità, Berisha ha accusato la società che operava nel deposito, l’americana SACI (Southern Ammunition Company Inc) che ha un subcontratto con la società albanese, alle dipendenze del ministero della Difesa, Meico (Military Export and Import Company), la quale, però, secondo Berisha doveva solo trasportare le armi che venivano raccolte da tutta l’Albania a Gerdec, a pochi chilometri da Tirana, per venire selezionate e smantellate.

Berisha ha giustificato l’esistenza di un tale deposito con la necessità di eliminare le munizioni antiquate e pericolose ereditate dalle paranoie del regime, in vista dell’adesione del paese alla NATO. Ma ad essere implicata è anche un’altra compagnia albanese, la Alba Demil di proprietà di Mihal Delijorgji, conosciuto in Albania come il re del business dei metalli e presidente dello sport club Dinamo, con alle spalle diversi precedenti di evasione fiscale. I responsabili delle società per ora coinvolte si trovano già agli arresti. Rimangono però poco chiari i rapporti tra di esse. Molti media hanno riferito sulle irregolarità dei contratti con la società americana SACI, un’altra ditta americana, la AEY, e la cipriota off-shore Evdin.ltd. Si tratta di contratti che non sembrano atti giuridici, riportano i media albanesi, e scritti in un inglese che appare essere una traduzione letterale dall’albanese, cosa che fa pensare si tratti in realtà di una società fantasma.

Nella seduta parlamentare straordinaria, Berisha ha dato tutta la responsabilità della tragedia alla società americana SAC, che a quanto dichiarato dallo stesso premier è specializzata nel trattamento delle munizioni e che ha siglato nel giugno 2007 un contratto sulla gestione del deposito di Gerdec. La società americana, però, aveva a sua volta girato il contratto all’albanese Alba Demil il 28 dicembre.

I toni rassicuranti di Berisha sulle indagini da intraprendere a tutto campo così come sull’estrema gratitudine ai media per il loro ottimo lavoro, sono totalmente cambiati quando nella complessa questione è stato menzionato anche il nome di Shkelzen Berisha, figlio del premier di cui ha parlato anche se con molta cautela il businessman Kosta Trebicka. Nelle conversazioni intercettate, pubblicate dai media, risulta che Berisha figlio avesse un’importanza chiave nella questione

Il premier, infuriato, il giorno seguente ha espresso in modo esplicito, e senza riportare alcuna prova o fatto convincente, la sua convinzione che le persone che hanno menzionato il figlio abbiano solo cercato di sfruttare il suo nome, per meglio riuscire in loschi affari di mafia.

Il premier, in uno dei numerosi messaggi alla nazione in cui ha menzionato i nomi delle vittime, ha fatto riferimento tra gli altri anche a quello di Muhamet Hoxha, compagno di sua cognata, che però Berisha afferma di non aver mai conosciuto. "Era tornato dall’Inghilterra nel 2007 e lavorava nel deposito di Gerdec, come tutti gli altri, per sbarcare il lunario" ha commentato. Ma i sopravvissuti di Gerdec che sono continuamente intervistati dalle TV albanesi, hanno detto di aver riconosciuto solo la sua foto, mentre nel deposito si faceva chiamare Xhimi e non comunicava con nessuno. Tutti dicono tra l’altro che nel caos gerarchico del deposito, Hoxha non era affatto un semplice operaio che smontava proiettili e razzi, ma si occupava bensì del bilancio delle munizioni che entravano nel deposito, e di altre questioni di coordinamento.

Il premier è stato fortemente preso di mira dai media e dall’opinione pubblica. "I media sono parte della mafia albanese – ha replicato con toni aggressivi Berisha – hanno ballato sui cadaveri di Gerdec, hanno gridato" viva la morte" e "morte al governo". Ma non mi stupisco. I media sono liberi, possono anche andare in diretta nudi, e non mi stupirei lo stesso". Sul suo coinvolgimento nella questione di possibili traffici, Berisha ha risposto: "quando c’è stata l’esplosione, ho sentito per la prima volta di Gerdec, prima ne ignoravo l’esistenza".

Mentre si discute sulle responsabilità, e il presidente Bamir Topi, la presidentessa del parlamento Jozefina Topalli e infine lo stesso Berisha hanno parlato della necessità di profonde riforme strutturali, tutta l’opposizione albanese e la maggior parte degli analisti politici, persino quelli di destra, chiedono le dimissioni del premier e la rinuncia alla sua immunità perché venga indagato come tutte le altre persone coinvolte. Inizialmente gli stessi sopravvissuti e i cittadini di Vora, a pochi chilometri da Tirana, hanno manifestato le proprie accuse bloccando per quattro ore l’autostrada.

Venerdì 21 sono stati i giovani di Mjaft! e di altre associazioni studentesche a marciare per il centro di Tirana, con dei manifesti "Vogliamo un’Albania senza razzi" e "Se hai un po’ di coscienza civile, dimettiti". Sabato 22 il centro di Tirana è stato di nuovo affollato, questa volta da un corteo capeggiato da tutti i leader dell’opposizione, senza che venisse tenuto alcun discorso politico, per una manifestazione che Edi Rama aveva considerato come un omaggio alle vittime di Gerdec. I partecipanti, tra cui molte personalità di spicco della cultura albanese, hanno percorso l’arteria principale di Tirana con lo striscione "Impiegato statale Berisha, in nome del popolo sei licenziato" che è stato in seguito deposto ai cancelli del Consiglio dei Ministri, insieme a centinaia di candele accese per le vittime di Gerdec. A seguire anche la protesta della società civile, capeggiata da Ardian Klosi.

Tutti i partiti dell’opposizione hanno d’un tratto superato le divisioni all’interno della sinistra, trovandosi d’accordo sul fatto che sia il premier Berisha il primo responsabile della tragedia di Gerdec e chiedendone pertanto le dimissioni. "Noi non riconosciamo più Berisha come nostro premier. Egli si deve dimettere come Mediu e rinunciare alla sua immunità parlamentare per farsi indagare" ha più volte espresso Edi Rama. Mentre il deputato del PS Pellumb Xhufi ha invitato Berisha a sottoporsi alla mozione di sfiducia come si sarebbe fatto in ogni paese democratico. Skender Gjinushi, leader dei Socialdemocratici, ha addirittura affermato che l’allontanamento di Berisha sia una priorità da considerare più importante dell’adesione alla NATO. Il vicepresidente del gruppo parlamentare Erjon Brace, denuncia invece il coinvolgimento di Berisha in traffici illeciti di armi. Tacciono i deputati delle fila della destra, ma alcune voci come quelle di Ridvan Bode, Spartak Ngjela e Nikoll Lesi attribuiscono apertamente la responsabilità al premier.

Berisha ha però chiarito di non avere alcuna intenzione di rinunciare alla sua immunità parlamentare e tanto meno di dimettersi. "Non posso rinunciare alla mia immunità solo perché lo vuole l’opposizione. Dopo tutto è questo il dovere dell’opposizione" ha concluso Berisha assicurando che i responsabili risponderanno fino all’ultimo.

Solo pochi mesi fa è mancato poco che il premier abolisse le immunità a tutti i deputati del parlamento albanese sventolando il suo slogan "Tolleranza Zero", per cui tutti avrebbero dovuto offrirsi al sistema giudiziario.

Per ora la procura si sta orientando sulla pista dei parametri tecnici che hanno comportato l’esplosione. Inizialmente era stata diffusa da voci anonime la tesi di un sabotaggio, di un attentato, o di un’azione per mano di vicini balcanici che non vogliono che l’Albania aderisca alla NATO. Il timore, che ricordava il clima da guerra fredda, è stato totalmente escluso dalla maggior parte degli analisti albanesi, mentre i rappresentanti della NATO hanno fatto sapere che Gerdec non graverà sull’adesione albanese.

I media albanesi hanno fatto luce sulle condizioni in cui si lavorava nel deposito-fabbrica di smantellamento di munizioni. La tragedia è venuta a colpire una poverissima fascia di popolazione tra cui la maggior parte trasferitasi a Gerdec dalle montagne del nord albanese, che aveva trovato nel deposito di armi un posto di lavoro per assicurarsi appena il livello minimo di sopravvivenza. Lavoravano per circa 1.000 lek (circa 8 euro) al giorno nello smantellamento e nella pulizia delle munizioni.

Tutti gli operai che ora danno testimonianze del lavoro nel deposito, raccontano che la possibilità di stipulare un contratto non era neanche presa in considerazione. Si faceva solo firmare un foglio in cui si attestava che in caso di esplosioni ognuno si assumeva la propria responsabilità. Gli operai sostengono che le esplosioni di proiettili, o della polvere da sparo che prendeva fuoco, erano all’ordine del giorno. Gli operai, tra cui molte donne e numerosi ragazzi minorenni, persino di 10 e 12 anni, che gli albanesi hanno visto parlare davanti alle telecamere, non ricevevano alcun tipo di preparazione e non erano seguiti da nessun esperto.

Gli esperti di un altro centro di smantellamento delle munizioni, il Poliçan, nel sud del paese, hanno denunciato la totale mancanza di parametri tecnici nel deposito di Gerdec che era in realtà solo un capannone sprovvisto delle strutture necessarie, dove decine di operai lavoravano senza rispettare neanche le distanze di sicurezza. Sono in molti, infatti, a chiedersi come mai non siano stati coinvolti gli esperti in materia, o come mai sia stato costruito un nuovo centro per lo smantellamento delle munizioni mentre già esisteva quello statale di Poliçan dove lavorano solo operai specializzati.

Si discute molto anche sul fatto che non sia mai stato fatto nessun controllo da parte del ministero della Difesa. Il portavoce dello Stato Maggiore, Vladimir Ndreu, ha reso pubblico, in una conferenza stampa, che per la costruzione del deposito di Gerdec non è stato preso in considerazione il parere dello stesso Stato Maggiore, che aveva già negato la possibilità di costruire un centro del genere a Berzhite (tra Tirana e Elbasan) in simili condizioni. La maggior parte dell’opinione pubblica è rimasta infatti stupita nello scoprire l’esistenza di un tale deposito, così vicino alle abitazioni e a pochi chilometri dall’aeroporto nazionale. "In questo modo l’Albania ha violato la convenzione di Aarhus, che il parlamento ha già ratificato, sull’obbligo di sentire il parere degli abitanti di una zona dove si intende costruire un struttura di tale portata", ha commentato Ardian Klosi, ambientalista.

Per ora si è parlato a lungo dei parametri tecnici non rispettati, ma sui media si inizia ad esaminare il destino delle armi che passavano per Gerdec. Secondo i dati dell’ACIT (Albanian Centre for International Trade) l’Albania esporta armi verso l’Afghanistan, la Georgia, l’Argentina, l’Iran, e persino Israele. Nel 2006, un anno dopo il ritorno al potere di Berisha, l’esportazione di armi, secondo News24, è aumentata del 560% rispetto al 2005. Le indagini continuano, e la procuratrice Ina Rama ha chiesto aiuto all’FBI, che manderà in Albania un gruppo di 6 esperti.

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