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Drie Kameraden (Three Comrades)

Le tragiche vicende parallele di tre ragazzi ceceni, uniti da una salda amicizia fin dalla più tenera infanzia, vengono ripercorse in quest’opera vincitrice della prima edizione del Premio Amnesty Italia ‘Cinema e diritti umani’ della Mostra internazionale del Cinema di Pesaro

24/10/2007, Redazione -

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Di Alessia Spagnoli da Il Paese delle Donne

Ruslan, Ramzan e Islam sono i protagonisti del bellissimo film di Masha Novikova, vincitore alla recente Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro del "Premio Amnesty International". Le tragiche vicende parallele dei tre idealisti ragazzi ceceni, uniti da una salda amicizia fin dalla più tenera infanzia, vengono ripercorse in questo partecipe documentario: un legame, il loro, nato sui banchi di scuola e approfondito in seguito dalle ore trascorse insieme negli ampi cortili di gioco di Grozny, oltre che dalla comune passione per il cinema e la musica occidentale.

I tre si confessano, difatti, fan entusiasti di gruppi mitici come Led Zeppelin, Deep Purple, Pink Floyd e Beatles. "Ascoltare musica occidentale era considerato un’attività anti-sociale dal regime comunista: la nostra era anche una forma di protesta" ricorda Islam. La pellicola della regista russa si apre e chiude proprio con le belle immagini di questo terzetto di amici che canta e scandisce il ritmo accelerato di celebri pezzi rock, godendosi il ritorno a casa in macchina in una qualsiasi notte di pace a Grozny. Un’istantanea dal malinconico fascino, che potrebbe venir applicata senza sforzo a qualunque altro gruppo di amici in un punto qualsiasi del globo. Qui, tuttavia, ci troviamo subito prima dello scoppio della prima guerra cecena e proprio tale consapevolezza acuisce il dolore per la perdita di quella stessa bellezza, di quel momento perfetto che finisce deturpato dall’improvvisa follia susseguente (è l’autunno del 1994).

La cineasta utilizza a più riprese brani musicali a definizione e commento di origine anglosassone (si riconoscono, fra gli altri, Dire Straits, Michael Jackson, U2, Red Hot Chili Peppers). Una scelta che vuole evidentemente "internazionalizzare" eventi purtroppo circoscritti anche nelle coscienze.
Ben altra musica, quella che saluta il capodanno del 1995, per i ceceni. Al posto dei festosi scoppi di fuochi d’artificio, a dare il benvenuto all’anno nuovo per le popolazioni colpite interviene il suono di esplosioni tutt’altro che allegre: sono i bombardamenti che hanno cominciato a mietere un numero impressionante di vittime fra i civili.

Il registro all’avvio scanzonato di "Three Comrades" si altera, dunque, impercettibilmente fino a pervenire alla progressiva presa di coscienza di un destino che non può essere altrimenti che tragico, in un simile contesto, per i due cameraman Ramzan e Ruslan.
Una sorte non molto migliore attende il terzo di loro, il medico Islam: incriminato per false accuse, è costretto a scontare dieci anni di carcere durissimo. E’ egli stesso a citare il Sistema dei Gulag, ancora, incredibilmente, operativo su suolo russo, senza che qualcuno, nel sempre più impassibile Occidente, abbia nulla da eccepire.

La regista attinge a piene mani al materiale di repertorio filmato dai due ardimentosi reporter. Se Ramzan e Ruslan possono essere "riportati in vita" solo tramite i videotape registrati, come struggenti presenze fantasmatiche nelle vite tormentate dal ricordo di chi è rimasto dietro di loro, la macchina da presa acquisisce il diritto di restare incollata proprio ai volti impietriti dal dolore e alle testimonianze delle mogli, le madri, le sorelle, le figlie. Qui, difatti, non può più sussistere alcun discorso di pudore: le famiglie dei due protagonisti sono perfettamente a loro agio di fronte alle telecamere, avvezze come sono a finire sotto il loro vigile occhio, e sono perfettamente consce dell’importanza testimoniale di quelle immagini registrate (tanto più che è proprio per riprendere i fatti così come avvenivano in quei giorni terribili che i loro cari hanno perso la vita). La sofferenza profonda che traspare nei racconti delle donne rimaste rappresenta quanto riempie maggiormente di sgomento, in questo necessario film-inchiesta che, temiamo, difficilmente vedrà la luce nelle nostre sale. Ma è l’ennesima crudeltà che la sorte ha in serbo per le popolazioni cecene: è proprio di film che scavano coraggiosamente alla ricerca di verità sepolte come questo, che c’è maggior bisogno, nel mondo d’oggi.

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