Drago Hedl, giornalismo e crimini di guerra
Una serie di interviste realizzate da SEEMO a giornalisti del sud-est Europa che hanno subito minacce e aggressioni nel fare il loro lavoro. L’incontro con Drago Hedl
(Intervista originariamente pubblicata da www.seemo.org)
Drago Hedl è un giornalista croato che ha lavorato per Glas Slavonije, Slobodna Dalmacija, Feral Tribune e Novi list. Attualmente è corrispondente per Jutarnji list. Drago è ed è stato inoltre corrispondente dalla Croazia per molte testate internazionali, tra cui Osservatorio Balcani e Caucaso, ed ha ricevuto numerosi riconoscimenti internazionali per la sua attività giornalistica.
Come giornalista hai dovuto affrontare spesso serie minacce. Ci puoi raccontare la tua esperienza?
Fortunatamente le minacce che ho subito sono state prevalentemente verbali. Due volte si è trattato di minacce da prendere molto sul serio: la prima negli anni ’90 quando Branimir Glavaš, un politico molto influente all’epoca, disse che mi avrebbe “trasformato in polvere” a causa di una serie di articoli che avevo pubblicato e che parlavano di un suo coinvolgimento in crimini di guerra perpetrati a Osijek.
L’altra minaccia molto seria è arrivata da Davor Boras nel 2006. Quest’ultimo mi ha aggredito verbalmente ed in modo molto volgare in un luogo pubblico, minacciando di uccidermi “come un cane”. A quel tempo Boras era il presidente dei giovani dell’Alleanza democratica croata per la Slavonia e Baranja (HDSSB), partito politico fondato da Branimir Glavaš. Boras ha ricevuto una condanna per queste sue frasi.
Inoltre ho preso molto sul serio anche una dichiarazione rilasciata dal generale Mladen Kruljac che. In una testimonianza seguita al suo arresto (con l’accusa di malversazioni) Kruljac ha affermato che il generale Slavko Barić un giorno era entrato nel suo ufficio dicendogli che voleva uccidermi, e questo per via degli articoli che avevo scritto sul suo conto.
Sono stato minacciato inoltre molte volte via mail. Ho ricevuto l’ultima minaccia solo due giorni dopo l’aggressione terroristica al settimanale Charlie Hebdo.
Le minacce hanno modificato il tuo modo di essere giornalista o la tua vita privata?
Le minacce sono scomode ed hanno sempre un loro effetto. Io trovo molto problematico che sia anche la mia famiglia ad aver subito tempi duri a causa di queste ultime. In particolare mia madre, quando era già anziana. E’ morta l’anno scorso. Ho tentato di fare in modo che questi pericoli non condizionassero la mia vita e ho continuato a frequentare luoghi pubblici anche dopo essere stato minacciato.
Le minacce ti hanno portato a non scrivere di alcune questioni o ad autocensurarti?
Sono sicuro che le minacce non hanno condizionato il mio lavoro giornalistico nel senso di auto-censura o dell’evitare tematiche complesse che potevano causare minacce da parte delle persone di cui scrivevo nei miei articoli.
Sino a che punto ti hanno difeso le istituzioni pubbliche?
Ho denunciato tutte le minacce subite alla polizia. Loro hanno condotto il loro lavoro in modo molto professionale. In due occasioni, quando ritenevano la situazione fosse molto pericolosa, sono stato messo sotto protezione 24 ore al giorno. Quando ho denunciato la lettera anonima ricevuta dopo gli attacchi a Charlie Hebdo la polizia ha reagito immediatamente: hanno mandato un esperto forense per valutare la presenza di impronte sulla mia cassetta delle lettere ed hanno avviato un’indagine molto puntuale.
In queste occasioni SEEMO ti ha sostenuto in modo significativo?
Le reazioni e il sostegno di SEEMO sono state molto significative non solo dal punto di vista morale ma hanno anche contribuito ad una più rapida reazione da parte delle istituzioni. Questo tipo di pressioni attuate dalle istituzioni internazionali sulle autorità della Croazia sono molto importanti perché dimostrano che il caso è seguito anche dall’estero. E’ per questo che continuerò ad essere riconoscente nei confronti di SEEMO e delle altre organizzazioni che si occupano di proteggere la libertà di stampa e tutelare i diritti umani per aver reagito prontamente quando ero in pericolo a causa del mio lavoro da giornalista.
Quale il tuo consiglio per un collega più giovane che potrebbe subire minacce simili? Cosa si dovrebbe fare?
E’ essenziale denunciare ogni minaccia. Anche se l’obiettivo delle minacce è solitamente quello di spaventare il giornalista in modo da bloccare il suo lavoro investigativo non si può mai essere sicuri. Oltre a denunciarle alla polizia, è utile riferirle alle organizzazioni che si occupano di libertà dei media, come SEEMO, perché la loro reazione aiuta a favorire indagini più efficienti da parte delle autorità.
editor's pick
latest video
news via inbox
Nulla turp dis cursus. Integer liberos euismod pretium faucibua