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Dossier: la libertà di stampa in Bulgaria

Intrecci pericolosi tra media, politica e affari nel paese che detiene la presidenza semestrale dell’Ue. Un approfondimento curato da OBCT

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Il 1° gennaio scorso la Bulgaria ha assunto per la prima volta la Presidenza semestrale  del Consiglio dei ministri dell’Ue. Dopo una faticosa transizione dal comunismo, nel suo primo decennio europeo (2007-2017) il paese ha registrato cambiamenti rilevanti: mentre i fondi strutturali – che nell’ultimo anno hanno raggiunto quasi i sei miliardi di euro , pari a oltre il 9% del PIL nazionale – incidevano visibilmente sul tessuto infrastrutturale, all’interno dell’Ue la Bulgaria ha trovato un valido riparo alla crisi economica esplosa nel 2008 e una nuova identità geopolitica su cui impostare il proprio futuro.

Ma se i dati economici migliorano, lo stesso non può essere detto per il sistema democratico nel suo complesso. Tra i segnali più preoccupanti vi è il grave stato in cui versa la libertà di stampa. Nonostante le garanzie costituzionali e legislative, negli ultimi dieci anni il pluralismo e l’indipendenza dei media hanno subito una notevole restrizione: nelle classifiche stilate ogni anno da Reporters Without Borders , il paese è precipitato dal 35° posto nel 2006 al 111° nel 2018. Come si spiega un tracollo simile? Cosa sta succedendo nel paese?

Privatizzazioni: tra capitali stranieri e oligarchi locali

Nel corso degli anni Novanta, la Bulgaria ha liberalizzato il mercato dell’informazione: carta stampata, tv e radio sono stati acquisiti da attori privati e si sono affacciati nel paese gruppi editoriali stranieri interessati a scommettere su un’economia emergente – tra i primi il tedesco WAZ, che nel 1997 acquistò gli allora dominanti quotidiani “24 Chasa” e “Trud” e la cui uscita di scena nel 2010 coincise con l’inizio del declino del pluralismo informativo. Come denunciato dal giornalista Stefan Antonov nello studio “The age of the oligarchs”, lo scoppio della crisi economica tra il 2008 e il 2009 ha permesso a pochi, potenti uomini d’affari di affermare la loro influenza sulla politica e, di riflesso, sull’informazione. Il crollo dei proventi pubblicitari ha reso i mezzi di comunicazione più dipendenti dai sussidi statali e, conseguentemente, più vulnerabili. Secondo quanto indicato da IREX nel suo ultimo rapporto, i media in Bulgaria si possono oggi dividere in quattro categorie: le emittenti pubbliche (BNT, BNR e BTA); le testate di proprietà, indiretta o diretta, degli “oligarchi”; i gruppi d’informazione a capitale straniero, per lo più in fuga (bTV e Nova TV); i media che lottano per rimanere indipendenti.

Non esistono barriere all’ingresso per quanto riguarda la carta stampata, mentre le emittenti radiotelevisive possono trasmettere solo dopo aver ottenuto la licenza dal Council of Electronic Media (CEM), organo teoricamente indipendente il cui bilancio è approvato dal Parlamento. Diverse organizzazioni e studi internazionali hanno criticato l’arbitrarietà della concessione dei permessi da parte del CEM e la pressoché inesistente rilevazione dell’audience. Altrettanto difficile è stabilire quali siano i giornali più letti in Bulgaria, perché i dati dell’Ufficio Nazionale di Statistica  non rilevano le copie vendute ma solo quelle distribuite; nell’ultimo anno disponibile, il 2016, risultano attivi 262 quotidiani e periodici (contro gli oltre 900 del 2007), per un totale di 229.000 copie in circolazione. Se si considera che uno dei più importanti gruppi editoriali del paese, il New Bulgarian Media Group, è anche il maggiore azionista (80%) dell’unica società di distribuzione della stampa, si è portati a concludere che la mancanza di misurazioni effettive origini anzitutto da un conflitto di interessi.

Un quadro legale insufficiente

La libertà di stampa è garantita dalla Costituzione promulgata nel 1991. In particolare, l’articolo 40 (1) stabilisce che la stampa deve essere libera e non soggetta a censura. In Bulgaria i media cartacei sono considerati “entità commerciali libere” e non esistono leggi apposite che ne regolamentino l’attività. L’attività dei media audiovisivi è invece regolamentata dalla Legge sulla radio e la televisione del 1998, che nel 2010 è stata armonizzata con la Direttiva sui servizi audiovisivi (2007).

Le leggi esistenti contro l’interferenza della politica nei media non impediscono esplicitamente la proprietà dei media né altri meccanismi di controllo diretto o indiretto da parte di personaggi politici. Al contempo, la legislazione bulgara non tutela adeguatamente la formulazione di linee editoriali autonome. L’articolo 11 (2) della summenzionata legge sulla radiotelevisione recita: “I giornalisti e gli artisti che hanno firmato un contratto con i fornitori di servizi di media non ricevono istruzioni e orientamenti per l’esercizio della loro attività da parte di persone e / o gruppi al di fuori degli organi di gestione del fornitore di servizi multimediali”. Rimangono indefiniti i confini della relazione tra proprietari, caporedattori e giornalisti, mentre l’articolo 6 (5/6) della medesima legge prevede che tali disposizioni non si applichino alle versioni elettroniche dei giornali e delle riviste.

Diverse leggi trattano la questione della trasparenza della proprietà dei media,  un tema cruciale perché intreccia il problema dell’influenza politica. Dal 2010 la “Legge sulla deposizione obbligatoria della stampa e altre opere” prevede che i media cartacei ed elettronici presentino al ministero della Cultura una dichiarazione con i nomi dei proprietari. Nel luglio 2014 è entrata in vigore un’altra legge che vieta a compagnie offshore di possedere licenze per le trasmissioni TV o radio. Tuttavia, diversi osservatori  sottolineano la mancata o difettosa applicazione delle normative in vigore.

Secondo la legge bulgara le concentrazioni dei media sottostanno alla legge sulla concorrenza. In un’intervista rilasciata a OBCT, la giurista Nelly Ognyanova ha dichiarato: “La legge sulla radio e la televisione  pone solo un principio generale, secondo il quale la concessione di licenze ai media non deve avvenire in violazione della legge sulla concorrenza. Sfortunatamente, limitarsi a questa previsione si è rivelato inadeguato”. Per Ognyanova se ci fosse la volontà politica, i media  potrebbero trovarsi ad operare in un quadro legale adeguato: “In poche parole, lo sviluppo di media liberi e democratici è anche funzione della volontà del Parlamento bulgaro e della sua spinta verso la democrazia”.

Nel febbraio 2015, dopo aver reso visita al paese, il Commissario per i diritti umani del  Consiglio d’Europa (CoE) Nils Muižnieks ha pubblicato un dettagliato report , in cui specifica la necessità di introdurre  leggi sulla trasparenza della struttura proprietaria e delle fonti di finanziamento. Lo stesso studio, inoltre, lamenta la definizione dei reati di diffamazione e ingiuria nella legislazione sui media: nonostante già dal 1999 siano state abolite le misure detentive per il reato di diffamazione, per i reati di “insulto” (146 C.P.), “diffamazione criminale” (147 C.P.) e “insulto pubblico” (148 C.P.) le sanzioni arrivano fino 10.000 euro. Una misura che, sebbene raramente applicata, secondo il CoE contribuisce a rafforzare una “cultura dell’ autocensura” già estremamente forte.

Infine, risale al 2000 la legge sull’accesso alle informazioni , la quale mira, tra le altre cose, a proteggere le fonti, elemento di fondamentale importanza per  il giornalismo investigativo. Tuttavia, considerati gli ostacoli che tanto i giornalisti quanto i comuni i cittadini incontrano nell’ottenere documentazioni riguardanti lo stato, anche in questo caso la legge non sembra implementata in maniera coerente.

Media (apparentemente) senza proprietari

Diversi studi internazionali concordano sul fatto che la concentrazione della proprietà e l’assenza di trasparenza negli assetti proprietari sono tra i principali ostacoli alla libertà di stampa in Bulgaria.

Al momento esistono due registri pubblici: il CEM per i proprietari delle emittenti radio-televisive e il Ministero della Cultura per quelli dei mezzi stampa. Tuttavia, questo sistema non garantisce la trasparenza, perché la maggior parte dei media sono intestati a società offshore, società anonime o prestanome. D’altro canto, anche quando i proprietari risultano riconoscibili, i loro interessi, obiettivi e modalità di finanziamento non sempre sono chiari; diversi giornalisti hanno ad esempio dichiarato di non conoscere con esattezza né i “veri proprietari” né la linea editoriale della testata per cui lavorano. Secondo questo report pubblicato dalla Konrad Adenauer Stiftung (KAS ), vi sono infatti diversi motivi per dubitare che determinate società o persone registrate come proprietarie siano i veri decisori editoriali, in primo luogo perché i media bulgari sono generalmente in perdita e non è chiaro da dove vengano i fondi per l’appianamento del bilancio. A indebolire l’indipendenza del giornalismo è infatti la sempre più accentuata dipendenza delle testate dalle banche e da altri attori esterni – tanto per fare un esempio, a seguito della crisi economica del 2009 i rapporti di una parte dei media più influenti con la Corporate Commercial Bank (oggi fallita) emersero chiaramente. Media, politica e finanza risultano così intrecciati in un continuo esercizio di mediazione delle risorse e dell’informazione.

Stando alle proprietà formali, negli ultimi dieci anni il mercato dei media bulgari ha registrato importanti cambiamenti. Nel 2007 Irena Krusteva (madre del controverso esponente politico Delyan Peevski) ha acquisito i giornali “Monitor”, “Telegraph” e “Politika” e fondato il New Bulgarian Media Group, un gruppo che ad oggi possiede sei giornali e come detto detiene una posizione di monopolio nella distribuzione. Di fatto, nel decennio di eurointegrazione appena trascorso la tendenza principale è stata il ritiro di prestigiose società straniere, spesso sostituite da società offshore. Tra le ultime cessioni annunciate quella di Nova Broadcasting, tra le più grandi società di mezzi comunicazione del paese, cui fanno capo 7 canali televisivi e 19 siti web, ceduta dal gruppo svedese Modern Times Group al miliardario ceco Peter Kellner, uno degli uomini più ricchi dell’Europa centro-orientale.

Per quanto riguarda il tycoon e deputato Delyan Peevski, pluricitato da tutti gli studi internazionali come figura emblematica dei conflitti di interesse che affliggono il panorama mediatico del paese, va detto che la sua posizione dominante non si esplicita tanto nell’auto-promozione politica, ma viene piuttosto impiegata a beneficio del governo di turno – anche quando il Movement for Rights and Freedoms, il partito della minoranza turca di cui Peevski è leader, siede all’opposizione. Lo scorso febbraio è stato proprio il deputato Peevski a presentare una proposta di legge sulla trasparenza che obbligherebbe i media a rendere pubbliche le fonti di finanziamento esterne, diverse dagli investimenti pubblicitari. In una lettera pubblicata da alcuni giornali bulgari, Peevski ha scritto che tale iniziativa intende “mettere a tacere le speculazioni di alcune testate” riguardo l’opaca proprietà dei media in Bulgaria. Secondo l’avvocato Alexander Kashumov “non c’è neanche il tentativo di nascondere il fatto che questa legge vada contro quei media che sono in competizione [con Peevski]”: primo tra tutti l’Economedia Group che dipende dai finanziamenti dell’America for Bulgaria Foundation. Con riferimento all’iniziativa legislativa di Peevski, la giurista Nikoleta Daskalova ha commentato: “Penso che il fine non sia l’adozione della legge, ma la sua mera proposta. Ciò che importa è dire: ‘siamo puliti e lo dimostriamo chiedendo trasparenza’”.

Nel già menzionato report del CoE, il Commissario Nils Muižnieks ha parlato di “guerra” in corso tra i grandi gruppi privati operanti nel settore dell’informazione. Una polarizzazione che, a sua detta, rifletterebbe le divisioni politiche ed economiche del paese: da un lato l’“esercito” guidato dal deputato Delyan Peevski; dall’altro il “battaglione” che ruoterebbe attorno all’Unione degli Editori di cui fanno parte gli imprenditori Sasho Donchev (proprietario di Sega), Ivo Prokopiev e Theodore Zahov (proprietari di Economedia Group). A simboleggiare la distanza dei due schieramenti, l’esistenza di due distinti “codici deontologici”: l’ultimo redatto nel 2014 dai giornalisti afferenti al New Bulgarian Media Group, solo per contestare la validità del primo, uscito nel 2004. Talvolta, questo contrasto latente si manifesta in esplicite prese di posizione di giornalisti a difesa dei media per cui lavorano, come quelle di Lyubomira Budakova e Natalia Radoslavova, che recentemente hanno denunciato l’esistenza di “una fabbrica delle fake news” contro i media dell’area di Peevski. Tuttavia, sembra che a risentire di questa estrema polarizzazione siano principalmente le testate che cercano di esistere al di fuori dei due poli. Tra gli esempi più noti la campagna denigratoria avviata dai quotidiani facenti capo a Peevski contro il sito di giornalismo investigativo “Bivol”. Lanciata nel 2015, quella campagna seguì non a caso la pubblicazione di alcune inchieste su società offshore e sull’abuso di fondi Ue.

Le tante facce della censura: influenza politica ed intimidazioni

“Le tue parole possono toglierti il pane di bocca”, ha detto il vice-premier bulgaro Valeri Simeonov al presentatore Victor Nikolaev, reo di aver fatto domande troppo scomode durante una trasmissione televisiva andata in onda lo scorso ottobre sull’emittente privata Nova TV. Un episodio che ha spinto centinaia di cittadini a scendere in piazza e che ben rappresenta lo stato attuale dell’informazione in Bulgaria. Negli ultimi anni, la crisi economica ha ridotto le vendite e le pubblicità, rendendo qualsiasi tipologia di media – pubblico, privato, tv, radio o stampa – sempre più dipendente dal sostegno statale. Non a caso, l’Associazione Europea dei Giornalisti Bulgari (AEJ – Bulgaria ) ha intitolato la sua ultima indagine “Il grande ritorno della pressione politica ”.

Fonte: AEJ, The Big Comeback of Political Pressure in Bulgaria , 2017

Oltre due terzi dei 200 giornalisti bulgari intervistati dall’Associazione riconoscono che sono i politici a interferire maggiormente con il loro lavoro, e il 92% del medesimo campione definisce “abituali” e “diffuse” le interferenze in redazione. I quotidiani, sia nazionali che regionali, sono i primi a fare i conti con pressioni di questo tipo. Le forme più comuni di restrizione della libertà di espressione sono identificate come “pressioni interne” (65,7%) ed “esterne” (59,1%), seguite dall’“autocensura” (26,3%), mentre solo un’esigua minoranza afferma di non saper rispondere (4%). Questi dati sono direttamente connessi al controllo governativo sulla distribuzione delle risorse pubbliche e sul supporto economico agli editori. Il Media Freedom White Paper pubblicato nel 2018 dall’Unione degli editori in Bulgaria (UBP) afferma che il supporto finanziario del governo sta avendo “un ruolo sempre più cruciale”

Fonte: AEJ, The Big Comeback of Political Pressure in Bulgaria , 2017

Nel suo ultimo rapporto anche il Centro per il Pluralismo dei Media e la Libertà d’informazione (CPMF ) ha rilevato un alto rischio di intromissione della politica nel settore dell’informazione. A destare particolare preoccupazione il fatto che le risorse che lo stato alloca in maniera selettiva derivano in gran parte dai fondi strutturali che l’Ue riserva alla comunicazione. Secondo Reporters Without Borders (RWB), “l’assegnazione da parte dell’esecutivo di fondi UE ad alcuni media avviene in completa assenza di trasparenza, corrompendo di fatto gli editori per fare in modo che trattino con cautela il governo nel riportare fatti di politica o astenendosi del tutto dal trattare determinate notizie problematiche”. Affrontando il tema della corruzione nel paese, un recente studio commissionato dal gruppo dei Verdi al Parlamento europeo evidenzia lo stesso problema, affermando che “alcuni media, che si ritiene abbiano violato gli standard deontologici del giornalismo, beneficiano anche dei fondi UE, che ricevono per promuovere programmi dell’Unione”.

Stando ai dati messi a disposizione da SEEMO , tra il 2007 e il 2014 sono stati spesi più di 36 milioni di euro per informare sui risultati del Programma di Sviluppo Rurale comunitario, distribuiti in prevalenza a cinque televisioni (bTV, BNT, Nova TV, TV Europe, Channel 3) e tre emittenti radio (Radio Focus, Bulgaria On Air, BNR).

Questo denaro viene distribuito ai media dai ministeri al fine di pubblicizzare l’attuazione delle politiche Ue in Bulgaria, tuttavia non disponiamo di dettagli sul processo di allocazione: non sappiamo quali media ricevono denaro, secondo quali criteri, e come viene elargito

Maria Neikova, docente della Facoltà di Giornalismo dell’Università di Sofia St. Kliment Ohridski

Nel 2013 l’ex ministro dell’agricoltura Miroslav Naydenov è stato intercettato mentre confidava all’attuale premier Boyko Borisov e al Procuratore Generale di Sofia Nickolay Kokinov che, per ricevere tali fondi, i media dovevano sottostare a “condizioni non scritte”. La ricattabilità delle redazioni cresce lontano dalla capitale Sofia, dove le condizioni di precarietà lavorativa peggiorano (l’80% dei giornalisti locali intervistati da AEJ dichiara di ricevere uno stipendio inferiore ai 500 euro mensili). Un’inchiesta del giornalista Spas Spasov per le testate “Dnevnik” e “Kapital” ha dimostrato che, tra il 2013 ed il 2015, le municipalità bulgare hanno speso almeno un milione e mezzo di euro per finanziare quotidiani, tv e radio locali, assicurandosi, tramite fondi propri o derivanti dagli stanziamenti comunitari, il loro sostegno. 

Intimidazioni frequenti, violenze in aumento

Pubblicare inchieste o criticare i politici può avere conseguenze dirette anche sui singoli giornalisti. Ne è un esempio il recente caso di Dimitar Stoyanov, un altro giornalista di “Bivol” che ha cercato rifugio nel programma “Journalist in Residence ” del consorzio European Centre for Press and Media Freedom (ECPMF ) dopo aver ricevuto minacce di stampo mafioso per aver pubblicato un report sulla corruzione nella vita pubblica. Nell’aprile del 2016, invece, uno dei principali canali commerciali in Bulgaria, Nova TV (all’epoca di proprietà del gruppo svedese Modern Times), ha terminato il contratto di lavoro del vignettista Chavdar Nikolov, dopo che questi aveva disegnato il premier Bojko Borisov come leader di un gruppo di vigilanti “a caccia” di migranti al confine tra Bulgaria e Turchia. Il canale, che ha anche eliminato tutte le vignette di Nikolov dal proprio sito web, ha definito la tempistica del licenziamento del vignettista “una coincidenza”.

I crimini contro i giornalisti sono rari in Bulgaria, ma stanno aumentando principalmente a causa dell’inefficienza dell’apparato giudiziario: l’impunità, interiorizzata come norma, favorisce da un lato l’auto-censura dei giornalisti e, dall’altro, protegge i criminali. Non esiste, del resto, nessuna legislazione specifica in materia di protezione dei giornalisti, per cui sono le organizzazioni non governative, locali o internazionali, a monitorare gli attacchi alla stampa. Esemplare il caso di Georgi Ezekiev, editore della testata online “Zov News”, che, a fine novembre 2017, ha saputo da un pentito che il gruppo mafioso su cui stava indagando il suo giornale ordiva il suo omicidio. Malgrado le minacce siano registrate in un’intervista video , la polizia non ha finora [aprile 2018] aperto un’indagine.

Sebbene, dal 2010 a oggi, nessun giornalista sia stato ucciso, non sono mancati i casi di aggressione grave: un esempio è quello di Stoyan Tonchev, redattore del portale di notizie locali “Pomorie” e politico locale, attaccato e picchiato violentemente con una mazza da baseball a inizio 2016. Nel 2012 l’auto di Lidia Pavlova , giornalista specializzata sul crimine organizzato nel sud est della Bulgaria, è stata data alle fiamme, così come l’auto di Genka Shikerova , giornalista investigativa di bTV, bruciata per due volte consecutive tra il 2013 e il 2014; la stessa modalità di intimidazione ha colpito, nell’ottobre 2017, la reporter Zornitsa Akmanova. Secondo la giornalista Maria Dimitrova “le aggressioni sono più comuni rispetto ai ricorsi contro i giornalisti. In Bulgaria le persone tendono a non utilizzare le vie legali per risolvere le dispute. Ma più che minacce fisiche si ricevono chiamate intimidatorie, insulti o similari”. Almeno dieci sono i casi di intimidazione registrati da AEJ e Index on Censorship nel 2017.

Cittadini bulgari, cittadini europei

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