Tipologia: Intervista

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Dopo vent’anni mi sento ancora mostarino

La storia del giovane Semir raccontata attraverso i ricordi di un operatore di pace nella Mostar del 1994. Una storia di amicizia, coraggio, morte. Una testimonianza raccolta grazie al crowdsourcing di Cercavamo la Pace

03/12/2013, Claudio Gherardini -

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Dopo 20 anni posso raccontare perché anche io sono uno che si sente mostarino. Mostar è ancora oggi nei guai. Seicentomila turisti la scorsa estate sono la speranza ma ancora molto dobbiamo fare per il ritorno a una vera convivenza.

Mostar. Io arrivai dopo, e trovai lo sfacelo…. Io non ho mai visto il Ponte Vecchio di Mostar originale. Quando arrivai per la prima volta c’era una passerella tra le macerie che faceva paura a camminarci. Ma quando lo vidi ricostruito, nel 2004, mi si appannò la vista. Quale essere primitivo e selvaggio poteva essere regredito a uno stadio di alienazione tale da poter ordinare l’abbattimento di un segno quasi trascendentale della geniale bellezza e inventiva umana?

Lo Stari Most (vecchio ponte) è un arco in cielo, come un riferimento e ammonimento: "Umani, voi sapete e potete fare, creare, invenzioni oltre ogni vostra stessa immaginazione. Questo ponte lo dimostra in modo inoppugnabile. Ma potete solo se volete". Questo è quello che a mio immodesto parere significa lo Stari Most e che dovette sbalordire per secoli e ancora sbalordisce.

Resta un mistero ancora come sia stato possibile costruirlo e per questo è una sfida alla fratellanza e all’ingegno. E questa sfida come si sa, infastidisce i primitivi, i selvaggi, i violenti, i perfidi, gli alienati. Coloro che vogliono restare nella melma dell’ignoranza odiano la Creazione e la Cultura e solo loro possono essere capaci di distruggere un ponte venerato o una biblioteca antichissima.

Arrivai a Mostar trasportato in una utilitaria da un addetto stampa della Repubblica di Herzeg-Bosna. Un tentativo di creare una enclave croato bosniaca che stava per essere smantellato. Questo distinto signore che credo fosse in origine un insegnante mi disse: "Dovete cominciare a portare libri invece di cibo, altrimenti la guerra non finirà mai". Niente male pensai. A Mostar la guerra era appena finita mentre altrove si combatteva parecchio. Era la fine del 1994. Il cessate il fuoco di Mostar fu firmato a Washington. "Gli Accordi di Washington furono degli accordi di pace tra i croati della Bosnia ed Erzegovina e la Repubblica di Bosnia ed Erzegovina (l’unico Governo internazionalmente riconosciuto), svolti a Washington DC e a Vienna con la mediazione degli Stati Uniti, conclusisi il 1º marzo 1994 e siglati a Washington il 18 marzo successivo. Gli accordi furono firmati dal Primo Ministro bosniaco, Haris Silajdžić, dal Ministro degli Esteri croato Mate Granić e dal Presidente dell’autoproclamata Repubblica Croata dell’Herceg Bosna Krešimir Zubak.

In base a tali accordi i territori controllati dai croati di Bosnia venivano riunificati a quelli controllati dalle forze governative della Bosnia ed Erzegovina con la creazione di una Federazione Croato-Musulmana che prendeva il nome di Federazione di Bosnia ed Erzegovina. Il sistema amministrativo si componeva di cantoni affinché nessun gruppo etnico potesse acquisire sugli altri una posizione politica dominante. La nuova federazione veniva divisa in base a tali accordi in 10 cantoni di cui 5 bosniaci, 3 croati e 2 etnicamente misti, vale a dire con procedure legislative speciali per la protezione dei gruppi etnici costituenti." (http://it.wikipedia.org/wiki/Accordi_di_Washington )

Per la prima visita rimasi dalla parte croata e alla seconda incontrai la dottoressa Gianfranca Russo che lavorava per ARCS, la NGO dell’ARCI. Questa quel giorno mi disse: "Vuoi venire a vedere l’ospedale di Mostar Est (bosgniacco-musulmano)?". Andammo a quella che era l’area dei mercati dove dentro un enorme hangar fetido e maleodorante era situato l’ospedale diretto dal dottor Imamovic. "Devo vedere un ragazzino, aspettami qua" – restai all’entrata. Dentro l’hangar erano sistemati moduli trasportabili di formato container, ognuno con un arredo determinato, modulo sala operatoria, modulo letti degenza, modulo uffici direzionali. Il tutto avvolto in un fetore micidiale. "Questo ragazzino qui non lo può curare nessuno. Vedi se riesci a portarlo a Firenze". Mi disse la dottoressa Russo. Forse la frase che ha deciso la più travolgente svolta nella mia vita. Senza alcuna cognizione partii in automatico per portare Semir a Firenze. Dopo la triste storia di Semir (io e suo padre siamo quasi fratelli ormai), divenni molto popolare a Mostar fra le madri di bambini malati e portai al Meyer di Firenze diversi altri piccoli ammalati. Con molti sono ancora in contatto e in formidabile amicizia. Ecco perché Mostar è una delle mie città, delle mie Hometown. Mi sento un poco mostarino anche io.

Ecco la storia del primo ricovero così come la comunicai:

Comunicato Stampa – 12 giugno 1995

"Il Policlinico di Careggi ospiterà un ragazzo di Mostar est gravemente malato. Nelle prossime ore arriverà a Firenze con il padre. E’ affetto da un grave tumore ed è impossibile curarlo nella sua città. Subito disponibile la Direzione Sanitaria e la sezione di Radioterapia. Semir è un ragazzo musulmano di 11 anni affetto da un osteosarcoma periostale, cioè da un tumore all’anca sinistra e nella parte est della città erzegovese non può trovare cure adeguate. Tra le molteplici organizzazioni italiane che operano in difficili condizioni per tenere unita la città dilaniata due anni fa da una guerra fratricida, è presente anche l’ ARCI nazionale con la sigla ARCS.

Gianfranca Russo, Enzo Piperno, Corrado Minervini e molti altri lavorano a progetti per rialzare il livello dell’assistenza sanitaria in ambedue le parti della città contro una minoranza di estremisti nazionalisti che fa di tutto per boicottare chi tenta di ricucire il baratro fisico e psicologico tra le due etnie e di sedare la tensione di tutti in una realtà dove tutti tengono in casa un arsenale e non si sa cosa accadrà domani. Nel salone dell’Hôtel ERO a Mostar ovest, dove ha sede l’amministrazione europea della città, l’EUAM, in mezzo ai tavoli spesso è appeso un cartello che avverte di possibili bombardamenti da parte delle artiglierie serbe che sono a meno di dieci chilometri dalla città.

Il "sindaco" tedesco Koschnik e la sua équipe di esperti fa il possibile per non far fallire il primo esperimento di forza amministrativa di pace mai visto in Europa, al quale partecipano anche poliziotti di vari paesi compresi i Carabinieri, che non di rado si incontrano durante la ronda urbana e che sono gentilissimi. Mostar ovest ha un ospedale composto da moduli da campo dentro container. Il tutto è montato dentro un capannone industriale appena fuori città sulla statale principale in direzione dell’adriatico. Vicino ci deve essere una discarica visto il fumo ributtante che lo avvolge. Fuori un’ambulanza con la mezzaluna rossa dono del Kuwait. Visitato sul posto, la Dottoressa Gianfranca Russo, decide di attivare più canali per ricoverarlo il prima possibile in Italia. Con poche telefonate riusciamo ad avere conferma che Careggi è disponibile. Una breve ed efficace catena di solidarietà che già si pensa di utilizzare per altri casi analoghi. Senza formalità abbiamo chiamato da Mostar, l’amico Beppe Pirrone, poi Benedetto Annigoni che ha chiamato Il Professor Boncinelli che assieme al Dottor Marsili ha provveduto a chiedere l’assenso del responsabile sanitario Dottor Trianni che ha risposto in pochi minuti. Nel frattempo abbiamo contattato il Sindaco Primicerio che ha garantito il suo interessamento per alloggiare il padre del ragazzo. E’ così iniziata la procedura burocratica per l’espatrio del ragazzo dalla Bosnia Erzegovina, che ha necessitato qualche giorno di attesa. In queste ore il ragazzo sta giungendo a Firenze. Fuori dalle zone sotto assedio come Sarajevo, Bihac, Gorazde, non è il cibo che necessita, ma denari per acquistare attrezzature sanitarie e scolastiche. Pur in condizioni difficili le popolazioni, vittime di una aggressione durissima, desiderano solo poter vivere in modo dignitoso, riattivando anche le attività economiche e commerciali.

Per questo non sono più così importanti gli aiuti alimentari non richiesti, ma sostegno economico e culturale. 12 giugno 1995 Claudio Gherardini from: ARCS – Mostar – phone no. 387 88 313770 Jun. 06 1995 – 01:44 am I dati del bambino: Semir Nato: 10.07.1984 a Mostar. Nato: Clinica ortopedica di Mostar. Diagnosi ortopedica: Osteosarcoma periostale (juxta articularis) sinistro eseguiti RX femore. Proposta: Pregasi inviare presso centro specialistico in Italia".

Comunicato Stampa – 19 giugno 1995

"Semir è ora al Meyer, Semir è un ragazzo musulmano di 11 anni affetto da un osteosarcoma periostale, cioè da un tumore all’anca sinistra e nella parte est della città erzegovese non poteva trovare cure adeguate. Per questo i medici hanno contattato i colleghi del Policlinico di Careggi ed è stato possibile effettuare il viaggio. Dal reparto del Dott. Capanna del CTO, domenica scorsa Semir, accompagnato dal padre, è stato trasferito nell’ospedalino Meyer, nel reparto di oncoematologia diretto dalla Professoressa Bernini, dove si sta iniziando le terapie del caso, nel disperato tentativo di salvarlo. Ormai sono tantissimi coloro che hanno contribuito a rendere possibile l’ospitalità di Semir e Halil Sunje a Firenze. Impossibile fare tutti i nomi, ma indispensabile ringraziare tutti, compresi coloro che hanno telefonato per dare un contributo, che andrà direttamente nelle mani degli ospiti. Ringraziamo anticipatamente anche quanti vogliono contribuire che possono chiedere informazioni al numero 0336/602402.

Comunicato stampa – 28 giugno 1995

"Semir non ce l’ha fatta. Il piccolo Semir di 11 anni, arrivato da Mostar est assieme al padre perché affetto da grave forma tumorale è spirato attorno alle ore 21.00 di martedì 27 tra lo sgomento di quanti gli sono stati vicino sino all’ultimo, del personale del reparto oncoematologia dell’ospedale Meyer e del primario Professoressa Bernini, impotenti di fronte al male che ha divorato il ragazzo e che già aveva compromesso l’esito di qualsiasi cura, peraltro tentata. Giunto il 10 scorso assieme al padre Halil, Semir aveva mostrato di essere felice di quanto si stava facendo per lui e sperava di tornare presto alla sua passione, giocare al calcio con la sua squadra dalla parte musulmana della città erzegovese di Mostar. Suo desiderio era acquistare un paio di belle scarpe da calcio in Italia. La morte di Semir può essere considerata effetto indiretto del conflitto in atto. In tempo di pace o anche solo senza l’assedio a Sarajevo, sarebbe stato possibile ricoverare e curare il piccolo già da tempo con discrete possibilità di salvarlo. La Prof. Bernini ha confermato che se l’osteosarcoma alla gamba sinistra fosse stato curato con qualche settimana di anticipo avrebbe potuto essere battuto prima che la metastasi attaccasse i polmoni in modo irreparabile. Purtroppo non è stato possibile intervenire prima dato il collasso delle strutture sanitarie dello Stato Bosniaco e nonostante l’intervento del volontariato italiano a Mostar che è costretto a lavorare in condizioni di grave disagio".

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